– di Corrado Speziale –
“Eliminare fisicamente alcuni inquirenti evidenziatisi nella recente, proficua, attività di repressione”. Da una nota inviata il 20 giugno 1992 dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri al direttore del Sismi, si evidenziavano tutti i pericoli cui andavano incontro cinque persone, tra politici e inquirenti, fra cui spiccava la figura del magistrato assassinato il 19 luglio in via D’Amelio. La nota scaturiva da un rapporto riservato, inviato il giorno precedente, esattamente un mese prima dell’attentato, dal comandante del Ros, Antonio Subranni, inerente “fatti operativi e urgenti”. Lo stesso Subranni riferì su tale circostanza alla Commissione Parlamentare Antimafia l’8 marzo 2011. “Vorremmo sapere quali erano le sue fonti informative”, gli chiese il senatore Lumia. La sua risposta: “Potrei mai rispondere su di esse? Non riesco a capirlo”.
19 giugno 1992: il comandante pro tempore del Ros – Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, gen. Antonio Subranni, manda un rapporto riservato al Comando Generale dell’Arma: “Il dott. Paolo Borsellino, procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, correrebbe seri pericoli per la sua incolumità a causa delle ultime inchieste”, soprattutto “sulla mafia trapanese che, fortemente colpita dai recenti successi investigativi, ha di molto ridotto la propria credibilità in seno ai vertici di Cosa nostra”.
20 giugno 1992: il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, a firma del comandante del tempo, gen. Antonio Viesti, scrive al direttore del Sismi, gen. Luigi Ramponi. La parte che riguarda Borsellino, con i pericoli imminenti per la sua incolumità, è praticamente un copia-incolla: Borsellino è in pericolo di vita.
Tra le possibili future vittime di Cosa nostra venivano annoverati anche gli onorevoli Calogero Mannino e Salvo Andò; il capitano Umberto Sinico, addetto alla sezione Anticrimine dei Carabinieri di Palermo e il maresciallo Carmelo Canale, addetto allo stesso reparto.
I risvolti: per il capitano e il maresciallo sono state prese le dovute cautele. l’8 marzo del 2011, in audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia, il comandante del Ros di allora, gen. Antonio Subranni: “Per i dipendenti Sinico e Canale ho provveduto nella competenza e ho adottato misure di tutela. Tali misure consistono nel trasferimento di Umberto Sinico a Roma, presso il reparto operativo del Ros e nell’assegnazione a Canale di un’autovettura protetta per i suoi spostamenti, attesa l’assoluta indisponibilità del sottufficiale al trasferimento, posizione questa sostenuta dal procuratore Borsellino, che riteneva indispensabile la collaborazione del sottufficiale”.
19 luglio 1992: la storia è drammaticamente nota. Paolo Borsellino viene barbaramente assassinato. Con lui perdono la vita gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Si tratta di una delle giornate più buie e angosciose della storia dell’Italia repubblicana: una tragica sequenza con la strage di Capaci del 23 maggio dello stesso anno. Lo Stato è in ginocchio sotto gli attacchi di Cosa nostra. La storia della strage di via D’Amelio, ancora oggi, a distanza di 27 anni, è caratterizzata da tante ombre e poche luci: la famosa agenda rossa del magistrato non verrà mai ritrovata. Borsellino, dopo la tragica fine dell’amico e collega Giovanni Falcone, poteva essere salvato.
“Nel quadro dell’attività informativa finalizzata a chiarificare le attuali direttrici operative di Cosa nostra – riporta la nota del Comando generale dell’Arma – sono state acquisite da più fonti fiduciarie notizie circa l’intendimento dei vertici dell’organizzazione criminale di opporsi con determinazione all’attuale azione di contrasto dello Stato, agendo contemporaneamente su due fronti: indurre un clima di grave intimidazione nei confronti di politici, per flemmatizzare l’impegno contro la criminalità; eliminare fisicamente alcuni inquirenti evidenziatisi nella recente, proficua attività di repressione”. La nota, inviata al direttore del Sismi, scaturiva dall’informativa del Ros. In tal senso, erano stati informati i soggetti interessati: Mannino, Andò, Borsellino, Sinico e Canale. Contestualmente, su tale grave circostanza, erano stati allertati i ministri dell’Interno, della Difesa e della Giustizia, il capo della Polizia, l’Alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, il Segretario generale del Cesis, il direttore del Sisde, il comandante generale della Guardia di Finanza e il direttore della DIA.
Le fonti. “L’azione informativa condottasi in ambiente estraneo alla criminalità organizzata (…) ha consentito di acquisire da più fonti fiduciarie notizie circa l’esistenza di un intendimento dei vertici di Cosa nostra di opporsi con determinazione all’attuale offensiva dello Stato”, scriveva il Ros. Sull’argomento, al comandante Subranni, in Commissione Antimafia, il senatore Lumia rivolgeva la seguente domanda: “Vorremmo sapere quali erano le sue fonti informative”. La risposta di Subranni: “Non ci sono fonti confidenziali, ma anche se ci fossero, potrei mai rispondere su di esse? Non riesco a capirlo”. Ovviamente la notizia era coperta da segreto.
Rapporto mafia – appalti: la famosa inchiesta del Ros. Data cruciale, 25 giugno 1992. Sempre in Commissione, su domanda del senatore Li Gotti, circa l’incontro e l’accordo riservato, di cui tanto si è parlato, tra gli ufficiali del Ros – il colonnello Mori e il capitano De Donno – e Paolo Borsellino, Subranni ha così risposto: “Il lavoro di Palermo fu un po’ frazionato, per cui i risultati furono molto meno di quelli che ci aspettavamo”. Il generale incontrò Borsellino il 10 e l’11 luglio del 1992. Li Gotti gli rivolge proprio la domanda se avessero affrontato o meno l’argomento mafia – appalti. Il comandante del Ros: “Non abbiamo parlato di qualcosa di importante, nel modo più assoluto. Il magistrato Borsellino era venuto per farmi visita”. Ed è proprio su mafia – appalti che in quella audizione del 2011 si sarebbe trovata una chiave importante riguardo all’ultimo periodo di Paolo Borsellino. Lo evidenzia Li Gotti: un rapporto in due distinte edizioni, la prima delle quali ometteva il coinvolgimento di politici. La seconda, quella coi nomi, venne fuori dopo la strage di via D’Amelio.
Intanto, proprio a cavallo del giorno della strage, l’indagine su mafia – appalti veniva archiviata.