28 gennaio – … per non dimenticare gli altri stermini
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28 gennaio – … per non dimenticare gli altri stermini

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Un giorno, il 27 gennaio per ricordare l’Olocausto forse il genocidio più tristemente famoso del Novecento. Famoso ma, purtroppo, non unico: se infatti le testimonianze dei sopravvissuti e lo sdegno internazionale hanno fatto molto affinché nulla di quanto accaduto in quegli anni andasse dimenticato, lo stesso non si può dire di altri genocidi che nell’ultimo secolo, ma anche in questo poco meno di un  ventennio del nostro secolo, hanno insanguinato il pianeta. Se si considera valida la definizione stabilita dall’ONU, secondo cui costituiscono genocidio ‘gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso’, è forse giusto che accanto alle vittime della follia nazista, anche il giorno dopo di quello  della Memoria si ricordino anche le vittime di altri genocidi che invece sono stati dimenticati. Non solo Armenia, ma tra gli altri genocidi dimenticati si sommano la Strage dei curdi. Massacro di Timor Est. il Burundi, quello del Darfur, nei Balcani e Patagonia, dei palestinesi e perchè no anche dei soldati del Regno delle due Sicilie massacrati dai piemontesi nella fortezza di Fenestrelle.

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Popoli senza giustizia. Che spingono l’Onu a riconoscere il proprio «sterminio». Gli armeni aspettano che la storia riconosca il loro genocidio.

Alcuni Stati, tra i quali la Francia e l’Italia – nonostante le diatribe nel governo – l’hanno fatto. In altri, tra i quali gli Usa, le risoluzioni pendono in parlamento.

ACCELERAZIONE DEI TEMPI.

La citazione di papa Francesco, in occasione del centenario, del predecessore Giovanni Paolo II che definì la persecuzione «primo genocidio del XX secolo» servirà forse ad accelerare i tempi. Di sicuro, per ora, ha provocato l’irritazione di Ankara: «Non ripeta questo errore», ha replicato il premier turco Recep Tayyip Erdogan.

Ma, nonostante per il parlamento europeo il riconoscimento del genocidio sia un prerequisito per l’ingresso della Turchia nell’Ue, secondo l’attuale segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon fu ‘solo’ un «crimine atroce».

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PROGETTO DI STERMINIO?

Come sempre quando si tratta di classificare un crimine contro l’umanità aberrante come l’Olocausto, lo scontro è se nell’impero ottomano vi fosse stata, come nel caso dei nazisti, «l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso» (articolo 2 della Convenzione Onu sul genocidio del 1948). In poche parole, un progetto di sterminio.
I numeri variano sempre a seconda delle parti (per gli armeni, dai 950 mila ai 3 milioni e mezzo di morti) come i pareri degli storici.
In questo e in altri casi, gli esperti sono arrivati a contestare la terminologia dell’art. 2 per la definizione di genocidio, mentre per i governi il numero e il metodo delle morti è secondario alle alleanze politiche.

PERSECUZIONI DIMENTICATE.

Una condizione di non identità e assenza di giustizia nella quale versano, oltre agli armeni cristiani, diversi popoli poco ricordati ma vittime, nel corso dei secoli, di persecuzioni spesso ripetute.
Il 14 aprile ricorre per esempio l’anniversario di una delle operazioni militari di pulizia etnica del 1988 di Saddam Hussein contro i curdi.
Sugli orrori sistematici in Darfur del 2003 non è stata fatta mai chiarezza e le condanne per genocidio per Srebrenica vengono contestate da Stati in lista d’attesa per l’ingresso nell’Unione europea. Senza contare i molti massacri dimenticati dell’America latina.

Tra l’aprile e il settembre di 27 anni fa, il regime iracheno condusse la vasta campagna anti-curda dell’al Anfal: otto operazione militari, in sei aree geografiche del Nord del Paese, sotto il comando di Ali Hassan al Majid «il chimico», il cugino di Saddam Hussein noto per il ricorso alle armi di distruzione di massa.

NIENTE TRACCE DEI CORPI.

Bersaglio dichiarato erano i maschi tra i 12 e gli 80 anni, considerati parte della Resistenza, ma in realtà le armate irachene ricevettero l’ordine di distruggere tutti e villaggi (circa 1.200). Dei 180 mila curdi mancanti all’appello non sono state trovate tracce: i loro resti potrebbero essere sepolti nelle fosse comuni con migliaia di corpi, rinvenute nel deserto iracheno.
STRAGI CHIMICHE E TUMORI.

Tra le 3.200 e le 5 mila vittime avevano perso la vita – e altre migliaia negli anni successivi, per complicazioni e tumori – nell’attacco chimico sulla città curda di Halabja, il venerdì di sangue del 16 marzo 1988. Altre uccisioni di massa furono ordinate, fino dal 2003 da Saddam contro i curdi.

Il primo marzo 2010 l’Alta Corte penale irachena, non l’Onu, ha riconosciuto la strage di Halabja come atto di genocidio.

TIMOR EST, 180 MILA MORTI.

In Asia si trascina da anni anche l’istituzione di un Tribunale internazionale per il genocidio di Timor Est, in Asia: almeno 180 mila morti, secondo un rapporto Onu, per il massacro pianificato della popolazione durante l’occupazione indonesiana dell’ex colonia portoghese tra il 1975 e il 1999.

Altri stermini sono invece stati riconosciuti come genocidio in Asia.

Il più noto, quello dei Khmer rossi in Cambogia che fece tra 1 milione e i 2,2 milioni di morti tra il 1975 e il 1979.

In Africa, grande eco ebbe anche l’orrore del milione di morti tra i tutsi, nel 1994, uccisi con i machete dagli hutu in Ruanda, in 100 terribili giorni con un piano capillare: fu chiaramente un genocidio, riconosciuto dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda.

Meno citati sono massacri precedenti dei tutsi e anche le uccisioni di massa dei tutsi, per rappresaglia, contro gli hutu, durante la riconquista del Ruanda.

ODIO DI LUNGA DATA.

Un odio di lunga data: negli Anni 60 gli hutu erano bersaglio dei tutsi anche in Burundi, mentre in Nigeria l’autoproclamata Repubblica del Biafra veniva affossata con migliaia di morti tra il popolo igbo.
Un fascicolo rimasto aperto, come quello più recente sui barbari eccidi in Darfur, nel Sudan occidentale, in corso dal 2003 contro le etnie Fur, Zaghawa e Masalit.

Secondo le diverse fonti, i morti oscillano tra i 50 mila e i 450 mila: per gli Stati Uniti è genocidio ma, nel 2005, una Commissione d’inchiesta Onu sul Darfur ha riconosciuto «uccisioni di massa e violazioni, senza intenti intenzionalità».

Anche l’Europa ha la sua lunga lista di massacri civili passibili di genocidio.

L’Olocausto nazista contro 6 milioni di ebrei e varie minoranze (tra gli altri rom, omosessuali, comunisti e malati di mente) è stato riconosciuto tra i massimi crimini contro l’umanità.
Dibattuta è invece l’etichetta di genocidio per la carestia indotta tra gli ucraini, nel 1932, da parte del regime stalinista (tra le 1,5 e i 10 milioni di morti) per stroncarne le mire indipendentiste.
E per le deportazioni russe nei gulag dei contadini kulaki e di altri gruppi etnici sarebbe mancata – nonostante la pianificazione – la volontà di soluzione finale.

IL RICONOSCIMENTO DI SREBRENICA.

Sul massacro delle foibe degli italiani da parte dei partigiani di Tito (tra le 10 mila e le 20 mila vittime durante la Seconda guerra mondiale) è dubbio il fine di colpire l’etnia e non “solo” gli oppositori politici, non contemplati tra le vittime dei genocidi.

Nei Balcani, l’Assemblea e i tribunali penali internazionali dell’Onu hanno al contrario riconosciuto come «forma di genocidio» i crimini dei serbo-bosniaci contro i musulmani, in particolare il massacro di Srebrenica (circa 8 mila morti nel 1995) nella guerra in ex Jugoslavia. Ma la Serbia chiede a sua volta indagini sugli eccidi subiti. Mentre il Kosovo accusa Belgrado della deportazione di 800 mila civili di etnia albanese.

Patagonia e Argentina, le morti invisibili

Il genocidio principe delle Americhe è quello dei conquistatori europei contro gli indigeni.

Prima ancora della guerra civile che, tra il 1700 e il 1800 avrebbe sancito la nascita degli Stati Uniti e lo sterminio dei pellerossa – quando non uccisi, sterilizzati e chiusi nelle riserve – il lungo Olocausto d’Oltreoceano era iniziato con le spedizioni di Colombo di fine 1400: dai 50 agli oltre 100 milioni tra indiani d’America, indios e amerindi, eliminati da spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi e belgi, oltre a intere popolazioni schiavizzate.

È stato poi il tempo dei massacri dei regimi dei generali contro oppositori e migliaia di civili.

E I DESAPARECIDOS?

Ancora oggi si dibatte su come classificare le campagne argentine, cilene e anche dei coloni britannici, per strappare la Patagonia al controllo degli indigeni.

In San Salvador, le rivolte contadine del 1932 sfociarono nella mattanza etnica (stime fino a 25 mila morti) della giunta militare: crimine al quale non è mai stata resa giustizia.

I 200 mila morti civili del Guatemala, nei 30 anni di guerra civile, sono stati invece valutati da una Commissione Onu come, in parte, «politica di genocidio».

Mentre, in Argentina, migliaia di famiglie mutilate chiedono che i circa 30 mila desaparecidos tra il 1976 e il 1983 vengano almeno riconosciuti come il loro genocidio.

E ci chiediamo perché non c’è un giorno della Memoria dedicata alle vittime meridionali del Risorgimento.

Sono vittime di serie B?

Ma quando si deciderà l’Italia a ricordarli ufficialmente? 

 

“La fortezza di Fenestrelle, un luogo dove comincia e finisce una storia dimenticata del nostro Risorgimento, quella di migliaia di italiani prigionieri di altri italiani, deportati in veri e propri campi di concentramento. La storia dei prigionieri di guerra del Regno delle due Sicilie”.

 

 

 

 

 

28 Gennaio 2016

Autore:

redazione


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