Categories: Cronaca Regionale

31 anni fa la morte di Mattarella.

Il 6 gennaio 1980 viene assassinato in via Libertà, Mattarella, l’erede politico di Aldo Moro, era il presidente della Regione Sicilia, aveva 45 anni. I neofascisti non c’entravano con l’omicido. Il depistaggio servì per frenare le indagini.

Uomo di spicco della DC siciliana, l’unico leader dell’amministrazione regionale che manifestava una linea di rinnovamento, di apertura alla sinistra, molti lo consideravano un erede di Aldo Moro.

L’artefice del cambiamento di linea era lui, figlio del potente Bernardo Mattarella molto potente è influente negli anni 50, presente in tutti i governi regionali di quegli anni, da molti indicato come il mandante della strage di Portella delle Ginestre.

Piersanti faceva parte di una nuove generazione di politici, allievo dei gesuiti, erede di Dossetti e di La Pira, aveva cercato con forza di prendere le distanze dall’ingombrante eredità paterna.

Di tutti i delitti politici-mafiosi, l’omicidio di Mattarella è quello che interessa di più non soltanto per il significato di spartiacque che questo delitto assume nella sentenza di appello di Palermo tra l’Andreotti amico dei boss e l’Andreotti che gli dichiara guerra, ma anche perché nelle indagini fu coinvolto il terrorista Giusva Fioravanti, presunto killer di Pecorelli nella prima inchiesta della procura di Roma.

Mattarella aveva avuto sentore di quanto stava accadendo, infiniti segnali stavano a indicare che era in pericolo; era corso a Roma, dall’amico Virginio Rognoni, allora ministro dell’Interno, per raccontargli cosa stava accadendo nelle file del partito in Sicilia.

Prima di partire aveva detto alla sua segretaria Maria Grazia Trizzino:Se mi dovesse accadere qualcosa si ricordi di questo viaggio.

Che cosa abbia detto Piersanti a Rognoni, quali nomi abbia fatto, quali accuse abbia rivolto ai suoi colleghi di partito con esattezza non si sa, ma al centro dei suoi sospetti c’era ancora una volta Vito Ciancimino.

Non a caso la difesa di Andreotti  ha puntato a ridimensionare i rapporti tra il senatore e l’ex sindaco di Palermo: Ho incontrato Ciancimino non più di due, tre volte, e in occasione di alcuni suoi viaggi a Roma.

E i giudici di Palermo gli hanno dato credito.

In verità erano molto complessi i rapporti tra Don Vito e gli uomini della corrente siciliana, Salvo Lima lo considerava da sempre un rivale nella complicata  rete di interessi politico-mafiosi della DC siciliana; fu lui nel 1970 a farlo decadere dall’incarico di Sindaco,dopo solo dodici giorni, grazie all’accordo con la corrente di Gioia.

Ma dietro lo scontro politico c’era anche uno scontro di interessi mafiosi: Lima era legato a Bontate e ai Salvo, Ciancimino a Riina e Liggio.

Nel corso del processo di Palermo ha certamente pesato nei confronti del senatore quel contributo di quaranta milioni dai suoi amici romani che consentì al barbiere di Corleone di dare la scalata alla DC siciliana a metà degli anni settanta.

Ma ciò avvenne nel “77 , prima che Don Vito giocasse il suo supposto ruolo nei delitti di Palermo, ciò che rendeva imbarazzante il riconoscimento di ogni possibile rapporto con lui.

Ma cosa lega l’uccisione del Presidente della Regione siciliana a quella di un giornalista romano troppo intraprendente e in cattiva fama? 

Il “movente politico”, sostiene una tesi: tutti e due sono delitti di mafia dove il mandante non doveva comparire, per questo i due omicidi dovevano essere camuffati come “terroristici”.

Uno scenario complicato, se vogliamo, ma che regge all’usura del tempo, anche se a mettere un bastone tra le ruote a questa ricostruzione è stato Don Masino-Buscetta, che, per una sorta di orgoglio mafioso, non è stato disponibile ad accettare il fatto che omicidi compiuti da Cosa Nostra potessero essere stati commissionati a ragazzetti che agivano al di fuori dello stretto controllo mafioso: Signor giudice, mi creda, i terroristi non c’entrano niente, quello di Mattarella è stato fatto da Cosa Nostra, andate a vedere a chi furono affidati gli appalti dopo la sua morte, cose che fanno paura!.

Valerio Fioravanti venne accusato dell’omicidio del presidente della Regione Sicilia  Piersanti Mattarella.

Il 1992 è l’anno delle stragi mafiose, degli omicidi di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, degli uomini e le donne delle loro scorte.

Ma è anche l’anno della nuova ondata di “pentimenti” tra il popolo di Cosa Nostra, e degli altri veli sollevati da vecchi collaboratori di giustizia, che decidono di dire ciò che fino a quel momento hanno taciuto.

Come Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia, da tempo rifugiatisi negli Stati Uniti, che ricominciano a parlare. Sono loro a spostare i riflettori del processo per l’omicidio di Mattarella, a scagionare Valerio” Giusva” Fioravanti, e Cavallini.

Comincia don Masino, che durante una sua permanenza in Italia, nel novembre di quell’anno, viene ascoltato dalla commissione parlamentare antimafia.

E al presidente che gli chiede del delitto Mattarella risponde: A me dispiace che non potrò vedere la fine di questo processo negli anni, perché sono abbastanza vecchio e malandato, ma le garantisco che i fascisti in questo omicidio non c’entrano. Quei due sono innocenti, glielo garantisco. E chi vivrà vedrà.

Ma perché fu ucciso il presidente della Regione?

Credo, continua Buscetta, che Mattarella in special modo volesse fare pulizia negli appalti. Se andate a vedere a chi sono andati gli appalti in tutti questi anni,con facilità voi andrete a scoprire cose inaudite. Non avevano bisogno di due fascisti, Cosa Nostra non fa agire, per ammazzare un presidente della Regione, due fascisti. E’ un controsenso, non esiste questa possibilità. E’ quei due accusati sono innocenti.

Cinque mesi più tardi il procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli e il sostituto Guido Lo Forte volano negli USA, e nello Stato della Florida interrogano Tommaso Buscetta. L’ex  boss dei due mondi parla del coinvolgimento di Giulio Andreotti negli affari di Cosa Nostra e nel delitto Pecorelli.

E dice ai magistrati: “Apprendo oggi dalle signorie loro che per l’omicidio Pecorelli è stato imputato Valerio Fioravanti. Sapevo già, invece, che lo stesso Fioravanti è tuttora tra gli imputati dell’omicidio Mattarella. Ebbene, devo dirvi che almeno per quanto riguarda l’omicidio Mattarella dovete dimenticarvi di Valerio Fioravanti, che con questo fatto non c’entra assolutamente nulla”.

Tre giorni prima gli stessi magistrati avevano interrogato, nella sede del’Attorney’s Office del Distretto meridionale di New York, Francesco Marino Mannoia, conosciuto dai mafiosi col soprannome di Mozzarella, collaboratore di giustizia dal 1989 con Falcone.

Anche lui ha parlato di Andreotti, e degli incontri del senatore a vita col boss di Cosa Nostra Stefano Bontate prima e dopo l’uccisione di Mattarella. E ha aggiunto:” Per quanto riguarda l’esecuzione materiale dell’omicidio , io sapevo che sarebbe stato commesso, ma non vi ho preso parte. Ho saputo però dal Bontate che parteciparono Federico Salvatore ( il quale era a bordo di una autovettura), Davì Francesco ( uomo d’onore di una famiglia che in questo momento non ricordo, e di mestiere pasticciere), Rotolo Antonino, Inzirillo Santino e altri che in questo momento non ricodo…Ricordo anche che il giudice Falcone mi aveva parlato della stranezza di una targa tagliata in due, al che io avevo dichiarato che ero stato uno dei primi ad adottare questo sistema di falsificazione delle targhe, e aggiungo ora che questo sistema di targhe  alterate congiungendo due metà autentiche l’ho usato per alcuni omicidi”.

Dunque le voci di Cosa Nostra indicano dei killer mafiosi per il delitto Mattarella e negli uffici della Procura palermitana parte una nuova inchiesta.

I “neri” Fioravanti e Cavallini vengono definitivamente scagionati, ed evidentemente – se è vero quel che dicono i pentiti di mafia – il loro coinvolgimento è stato un depistaggio orchestrato da qualcuno..

All’inizio del 1995 il pubblico ministero del processo per l’omicidio Mattarella ha chiesto l’assoluzione di Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini dall’accusa di essere gli esecutori materiali, e il 12 aprile la Corte d’Assise di Palermo ha assolto i due imputati.

Tommaso Buscetta ha così potuto vedere la conclusione almeno di questa fase del processo.

 

FIORAVANTI ‘NON C’ ENTRO COL DELITTO MATTARELLA’

 I giudici palermitani del pool antimafia li hanno interrogati per oltre quattro ore nel carcere romano di Rebibbia nel quale sono reclusi.

Ma i terroristi neri Giuseppe Valerio (Giusva) Fioravanti e Gilberto Cavallini, si sono dichiarati completamente estranei all’ omicidio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, del quale il giudice Falcone li indica come gli esecutori materiali.

Nel corso dell’ interrogatorio, condotto congiuntamente da due giudici istruttori e due sostituti procuratori, Fioravanti ha chiesto l’ acquisizione di ulteriori atti istruttori che proverebbero, secondo lui, la sua innocenza rispetto a quell’ omicidio.

Le accuse che hanno determinato l’ emissione del provvedimento di Falcone si basano sulle dichiarazioni di Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, e del pentito Alberto Volo, che fu amico di un estremista di destra, Mangiameli, ucciso anni fa da esponenti dei Nar perché sospettato d’ aver sottratto al gruppo una somma di danaro.

Secondo il fratello di Fioravanti, Giusva e Cavallini si sarebbero prestati ad uccidere Mattarella su richiesta della mafia. Richiesta, secondo gli accusatori, fatta personalmente da Pippo Calò, l’ uomo dei corleonesi a Roma.

In cambio del favore, Cosa nostra avrebbe assicurato ai Nar il proprio intressamento per la liberazione di Pierluigi Concutelli dal carcere dell’ Ucciardone.

Ma Giusva avrebbe fornito agli inquirenti circostanze e nomi di testimoni per dimostrare che le modalità indicate dal fratello e da Cavallini per l’ esecuzione del delitto sono completamente inventate.

I magistrati, ai quali sono stati chiesti anche alcuni confronti, si sono riservati ogni decisione.

da

“la Repubblica”:

http://www.rifondazione-cinecitta.org/mattarella.html

da http://www.rifondazione-cinecitta.org/mattarella.html

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