Sono rimasto davvero sorpreso dai toni e dalla ipocrisia di molti commenti nella contestazione che si è generata rispetto all’annuncio uscito qualche giorno fa della ricerca per un casting di una persona nana o disabile che facesse tenerezza.
A parte forse la leggerezza ed ingenuità di comunicazione (che oltretutto ha avuto come conseguenze un disoccupato in più), ritengo che sarebbe stato opportuno contestualizzare meglio di cosa si stesse parlando prima di commentare e dissacrare in questo modo l’opportunità invece che viceversa poteva esserci di raccontare determinate situazioni di vita.
Dov’è la quotidiana indignazione per le mancate politiche sulla disabilità che valorizzino realmente le singole identità delle persone?
Con tutti i loro attributi politically correct..autonomia, inclusione..etc.. ?
Di cosa stiamo parlando quindi?
Per cosa ci indigniamo?
Per la tenerezza?
La tenerezza è una sensazione molto soggettiva che è utilizzata in ogni campagna di sensibilizzazione anzi, in ogni campagna pubblicitaria, proprio per colpire nel cuore delle persone.
Da quelle contro la fame nel mondo, alle immagini di raccolta fondi, ma ogni foto di un proprio figlio nella maggiore parte dei casi ha come elemento oggettivo la tenerezza (basta vedere i commenti che tali foto scatenano in Face Book).
Non credo che certe campagne di sensibilizzazione avrebbero lo stesso effetto se non avessero un elemento di tenerezza al centro.
Mi occupo oramai da diversi anni di cultura sulla diversità con lo scopo di valorizzare le identità dei singoli qualsiasi esse siano, cercando di dare un significato alle parole che vada oltre l’uso che ne viene fatto.
Da questa prospettiva, che vuole portare un punto di vista diverso, credo che certe contestazioni seppure possono avere degli aspetti condivisibili in realtà diventino dei boomerang per coloro che le usano.
Portare punti di vista diversi non è ruolo semplice; ma forse, come ho avuto modo di dire settimana scorsa alla conferenza stampa dell’inaugurazione di una mostra alla Galleria Palatina di palazzo Pitti a Firenze su “Buffoni, Giullari e Giocatori alle corte dei medici” uno dei ruoli “storici” della persona con acondroplasia è sempre stato quello di portare punti di vista differenti e di potersi permettere di farlo. (Marco Sessa)
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