LEO STORIE DI VITA – Leucemia dalla rabbia alla consapevolezza di avercela fatta
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LEO STORIE DI VITA – Leucemia dalla rabbia alla consapevolezza di avercela fatta

Questa è stata la prima reazione, il sentimento iniziale che ho provato quando mi hanno detto che ero ammalato. Io faccio canottaggio e di lì a poco c’era una gara nazionale e non potevo partecipare. Ero arrabbiatissimo. Il giorno in cui ci siamo accorti, io e i miei genitori, che qualcosa non andava era il 22 giugno 2012, avevo 13 anni: mi allenavo, stavo in barca, ma mi sentivo molto stanco, mi sono comparsi dei puntini rossi su gambe e braccia. Al Bambin Gesu’ e’ arrivata la diagnosi: si trattava di leucemia linfoblastica acuta.
Dopo la rabbia e’ subentrata la paura, ho iniziato le cure, la chemio, avevo valori immunitari bassi, ma ho capito che la cosa più importante era non mollare. Dovevo stringere i denti. In ospedale non mi sono sentito mai solo: oltre alle visite con i medici c’erano i professori con cui facevo lezione in alcune ore della giornata e i miei genitori. E poi, tra una chemio e un’altra, venivano a casa, quando i valori lo permettevano, i miei amici e c’era anche mio fratello più piccolo. Dovevano disinfettarsi e mettersi la mascherina perche’ l’ambiente doveva essere reso più sterile possibile. Anche gli insegnanti di classe venivano a casa per darmi delle lezioni. Poi e’ arrivato il trapianto di midollo, una donazione ‘familiare’, di mio papà: e’ stato applicato un protocollo sperimentale, sotto la guida del professor Locatelli prelevando e ripulendo le cellule con una speciale macchina.
In totale, a causa della chemio, ho perso un anno di frequenza a scuola (per l’esame di terza media ho fatto gli scritti a casa con i professori, l’orale l’ho fatto a scuola) mentre per riprendere a fare sport c’è voluto ancora un altro anno. Avevo perso molti chili, ero magrissimo. Sono tornato ad allenarmi, tornare in barca sull’acqua e’ stato bellissimo, io vengo da una famiglia di allenatori. Da una parte vorrei cancellare, dimenticare i momenti dolorosi, dall’altra invece credo che mi abbiano aiutato a maturare, a trovare la grinta per non mollare. Io, che ora ho 17 anni, ce l’ho fatta anche grazie all’aiuto delle persone che mi sono state vicine, dagli amici ai familiari: mia madre Daniela e’ stata molto premurosa, ha dovuto lasciare anche il lavoro per un periodo per starmi vicino, mio padre ha continuato a lavorare ma tutti i pomeriggi veniva a trovarmi. Il messaggio che vorrei trasmettere ai ragazzi che affrontano la malattia e’ molto semplice: sentire il parere dei medici, stringere i denti e andare avanti.

10 Luglio 2016

Autore:

redazione


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