All’incontro interverranno: il presidente della Provincia regionale, on. Nanni Ricevuto; l’assessore provinciale alla Cultura, Mario D’Agostino; il sindaco di Castroreale, Salvatore Leto; il curatore della manifestazione, Nino Sottile Zumbo; e gli esperti della Provincia, Lucio Barbera e Saverio Pugliatti.
Le opere realizzate dai partecipanti e dall’artista giapponese saranno esposte nel Museo Civico di Catroreale.
Domenica 22 agosto 2010, alle ore 18 nell’Aula consiliare di Palazzo Peculio, verrà conferita la cittadinanza onoraria di Castroreale ad Hidetosci Nagasawa.
Biografia di Hidetoshi Nagasawa
Hidetoshi Nagasawa nasce in Manciuria (da genitori giapponesi, ivi trasferitisi per il lavoro del padre, medico militare) il 30 ottobre del 1940. Durante il conflitto mondiale con l’attacco dell’Unione Sovietica la famiglia costretta a fuggire in Giappone, vicino Tokyo. In questi difficili anni minati dalla guerra, Nagasawa frequenta la scuola secondaria dove si avvicina all’arte contemporanea aprendosi ai gruppi d’avanguardia (Neo-Dada) e in particolar modo scoprendo l’attività del gruppo Gutai (di cui ammira la creatività, la libertà di espressione attraverso le loro Azioni e la novità del linguaggio – con ogni mezzo si può esprimere l’idea – in opposizione alla tradizionale cultura accademica dell’ambiente artistico giapponese) visitando le loro ripetute Esposizioni Indipendenti organizzate al Museo di Tokyo dal giornale Yomiuri News Paper fino al 1964. Nel 1963 si laurea al corso di Architettura e Interior Design e in seguito lavora in uno studio di design di un grande magazzino e poi in uno studio di architettura. Nel 1966 inizia il suo – quanto mai fondamentale e per la sua vita e per la sua arte – viaggio in bicicletta attraverso l’Asia toccando Bangkok, la Malesia, Singapore, l’India, il Pakistan, l’Afghanistan, la Persia, l’Iraq, la Giordania, il Libano, la Siria, la Turchia. Dall’Oriente all’Occidente, dalla Grecia all’Italia, da Brindisi a Napoli, Roma, Firenze e Milano, dove nel 1967 si conclude la sua irripetibile avventura (tipicamente zen: non proporsi dove arrivare, ma far tesoro di ogni esperienza vissuta per il raggiungimento del profondo sì – che per l’artista si sublimerà con la pratica dell’Arte). Negli anni Sessanta a Milano si respira un clima di stimolante fervore artistico (l’esperienza dell’operato di Manzoni, di Fontana, e ora dell’Arte Povera) al quale non si sottrae Nagasawa che, trasferendosi nel quartiere operaio di Sesto San Giovanni, entra in contatto con artisti come Castellani, Fabro, Nigro, Trotta, Ongaro. In particolar modo stringerà una forte amicizia con Fabro. Dal 1968 il lavoro di Nagasawa procede senza interruzioni creando i Solidi di plexiglas, gli Oggetti manipolati, le Azioni nella campagna lombarda. Nello stesso anno prende parte all’Art Festival di Anfo – Brescia – insieme al Gruppo Torinese (Marisa Merz, Getulio Alviani, Nanda Vigo). Dei primi anni Settanta le prime personali, a Milano (Gallerie Lambert, Toselli), Roma (Gallerie L’Attico, Arco d’Alibert), Torino (Galleria Christian Stein) in cui l’artista rivela un suo percorso che si inserisce nell’ambito dell’Arte Concettuale passando dai video alle parole, concepite come elemento visivo, incise su lastre metalliche. In questi anni prende corpo anche una vera e propria produzione scultorea, con l’impiego dell’oro, del marmo, del bronzo. Nel 1972 partecipa alla XXXVI Biennale di Venezia e sviluppa un importante rapporto di lavoro con Ardemagni della galleria milanese Arte Borgogna, che cura il catalogo della mostra dello stesso anno tenuta da Nagasawa a Basilea, Internationale Kunstmesse Art 3 ’72, con testi di Pierre Restany e Gianni Schubert. Questo decennio ed il successivo vedono l’artista cimentarsi con successo in una produzione vasta e varia per temi (l’impronta del corpo, lo spazio, il tempo), mezzi di espressione, materiali (legno, ferro, cera, carta, bambù). Riscopre il valore della manualità e la scultura si espande su scala spaziale, risolvendosi in vera e propria creazione di ‘luoghi’ (tra i soggetti ricorrenti, dimore, stanze, porte, muri, recinti, barche, paraventi). I riferimenti alla cultura orientale si accentuano; il tema del viaggio come passaggio tra diverse realtà, il bilico delle sue opere tra visibile e invisibile, la materialità della scultura che si rende leggera e trasparente sono condizioni determinanti nella manifestazione del proprio linguaggio. Conseguentemente, gli impegni espositivi nazionali ed internazionali in personali e collettive, in spazi pubblici: 1978, Firenze, Palazzo Strozzi; 1982 e ’88, Biennale di Venezia; Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna e privati: 1981, Galleria Sperone, Torino. Si susseguono Documenta di Kassel (1992), Biennale di Venezia (1993) – con sala monografica nel Padiglione Italiano – International Exhibition Center di Tokyo (1995, Giardino delle Sette Fontane, il primo giardino realizzato dall’artista), Fattoria di Celle di Pistoia (Iperuranio) e Fondazione Mir di Palma di Mallorca (1996, Jardin), Palazzo della Triennale di Milano e Palazzo Pretorio di Certaldo (2001, Giardino della casa del tè), Palazzo delle Stelline di Milano (2002), Il Caffè Letterario di Modena (2003). Molte sono anche le collezioni pubbliche e private, in America, Belgio e Giappone, che espongono i suoi lavori.
Il lavoro di Nagasawa è strettamente legato alla filosofia orientale, le sue opere sono sempre molto evocative e hanno un forte valore simbolico e lirico, in loro l’artista fonde le eredità spirituali dell’Oriente e quelle dell’Occidente .
Nagasawa rende visibili forze invisibili, cercando la forza dell’equilibrio e un contatto diretto con le cose, con il loro “interiore”, nel corso di trent’anni, infatti, il suo lavoro è cambiato si è trasformato, ma ha seguito una sua coerente, naturale evoluzione.
Le opere di Nagasawa danno corpo all’ombra e sono il corpo dell’ombra, nascono e si collocano nello spazio Zen del ” Ma”,” La soglia”, un luogo fisico e mentale dove si concentrano tutte le energie; possiamo dire che le sue opere sono come gli Haiku poetico-filosofici dove c’è estrema concisione, semplicità, essenzialità e condensazione di pensiero che stimola l’immaginazione.
L’artista fa levitare marmo, ferro, legno ed altri materiali, innescando un sistema di leve, di spinte reciproche e di incastri, privo di bulloni, viti, o saldature. Per il fruitore la sensazione è quella di un guardare obliquo, indiretto, un’osservazione “yin”, che scivola in uno spazio austero, sottratto alle accelerazioni della cultura metropolitana, dove il tempo risulta pausato da una dimensione di “dormiveglia”, una dimensione in bilico tra il sonno e la veglia. Qui hanno inizio le spedizioni nella profondità del “tempo zero”, una profondità intrisa di percezioni oniriche e di stimoli tattili, calibrati dal proprio spirito e dal proprio soffio: «quando il tempo si muove più adagio, un profumo attraversa lo spazio. Quando il profumo aumenta d’intensità si avvicina il tempo zero. Il tempo zero è la via che congiunge i due mondi» (Nagasawa).
Il pensiero di Nagasawa rompe i netti confini della realtà razionale, la supera per entrare in un’altra realtà. Questa realtà differente è una dimensione sensibile di vicinanza con la materia e lo spirito, con ciò che è visibile ed invisibile. Un territorio di passaggio e di tensione verso una superficie ricca di accadimenti visivi e di sconvolgimenti psichici.
Nagasawa parla spesso di natura parallela o doppia, dove indicare la possibilità di un varco, insieme l’esistenza di una soglia che possa mettere in comunicazione i fenomeni e le cose con i corpi umani. Presenza adibita alla meditazione, in cui si annidano intervalli di tempo, vuoti pieni di “densità” interiori, dove le cose palpabili e impalpabili si confondono in un estatico silenzio.
Il luogo metafisico dell’artista ci avvicina ad una sfera psicofisica di equilibrio e di armonia, riferibile all’idea di un vuoto che è pienezza e totalità: “il vuoto, il silenzio, il non-agire sono la livella dell’equilibrio dell’universo, la perfezione della vita e della virtù”.
Pari alle posture lente e silenziose del registro scenico del teatro Nô (Nogaku), o ai gesti ponderati durante la cerimonia del tè, la composizione delle opere sembra muovere verso la relazione illimitata ad una totalità. Il rigore formale e la semplicità degli elementi, invitano all’attenzione verso l’essenziale, svolta attraverso la sua estensione nello spazio: uno scambio emozionale mediante il quale si instaura la purificazione di un’animo carico di sensazioni.
Quella tracciata da Nagasawa è una zona di sospensione del reale che si fa spazio sensoriale dai risvolti inattesi, dove, sparito il confine, si instaura una osmosi tra la mancanza e la presenza creativa, tra riflessi inafferrabili ed impalpabili.
Nagasawa arrotola, piega, ritaglia superfici di rame, ottone, carta, le contamina a volte con acidi che dipingono macchie dal verde-azzurro al nero fumo. Si alternano interventi diversi utili ad una orchestrazione luminosa seguita attraverso reticoli di tubi d’ottone e nastri di rame, pieghe inventate con fogli d’ottone. Nagasawa dota la superficie di una plasticità animosa e incessante.
La fattura “aptica” di un’immagine di Nagasawa può risolversi in un’appercezione puramente ottica, favorendo la mente oltre che i sensi. Oltrepassa le vie praticate dal modernismo, che prevedeva la prosecuzione dell’ottico nel tattile, dove guardare fosse già toccare. L’aptico evoluto pare quello in cui toccare è come guardare, dove, una volta escluso il tocco e il tatto, resta lo sguardo.
Nagasawa ha rigenerato la vita latente nella materia e sulla superficie di grandi strutture, avvicinando il corpo alla forma e allontanando lo sguardo nella luce.