Il ricordo di Gigi Martorelli – recentemente ricordato dagli amici con la scopertura di una lapide – a cura del critico d’arte Felicia Lo Cicero.
Ho conosciuto Gigi gli ultimi anni della sua “immaginifica” vita, gli anni in cui con fervida fierezza e sofisticata ironia avrebbe voluto continuare a guardare in faccia la libertà, ma era stanco, tanto stanco.
Così, adunando le sue subatomiche forze di necessità e di speranza si ricostruiva dentro e liberando una nuova religione dello spirito creava, creava, creava…donandoci l’essenza del suo essere nulla, identico, diverso.
Nei racconti di cose, fatti e persone integrava arte e vita, frattanto che il colore, il segno, la materia e la struttura compositiva prendendo vita sulla superficie e nel volume, si caricavano di richiami e allusioni a un tempo “in infinitum”.
Gigi abitava quegli intervalli pittorici di pura spazialità in un perfetto presentarsi di stile e complessità.
Penso a Gigi come a un uomo estremamente intelligente nell’accezione etimologica del saper “leggere oltre la superficie” e l’intelligenza è un onere assai gravoso da portare per un artista onesto quale era lui, nel rifiuto costante della “cultura di serie” e della parata spettacolare del “sistema ufficiale arte”.
Nel periodo in cui l’ho incontrato, stava per adempiersi quella che definisco essere una insofferente e atavica lotta fra l’istinto di conoscere e quello di vivere, o piuttosto di sopravvivere.
Quello il momento in cui il sentimento dell’esistenza si è fatto tragico e il dolore più acerbo: desiderare molto e non potere nulla.
La sua intelligenza e la sua intolleranza l’hanno reso apparentemente indifferente al proprio destino, sino a scortarlo d’innanzi la morte.
Ma in arte bisogna sapersi fermare e per Gigi non ci si sarebbe potuti sbagliare nell’intuire l’attimo in cui apporre l’ultima pennellata.
Come direbbe Aristotele:”la tragedia è soltanto subordinatamente all’azione”.
Per un atto a mio intendere autodeterminante, Gigi è andato via come apponendo quell’ultima pennellata in una euritmica sintesi d’essenza e d’esistenza. Forse una buona dose d’ottusità gli sarebbe stata utile per plasmare una vita “felice”, diradando la caligine della scontentezza e dell’irrequietezza, ma la sospensione implicata dell’ingegno unita alla caducità del corpo, gli impediva di aggrapparsi a semplicistiche convinzioni. La felicità di cui furono impressi gli ultimi suoi anni, si colora sulla fragile e instabile pietra del desiderio d’immortalità.
Grande stoltezza è condannare un tale anelito, con le parole di Miguel de Unamuno: “uno dei vantaggi di non essere felice, è che si può desiderare la felicità”.
Questo il messaggio che inconsapevolmente ci ha lasciato Gigi, tinto in una duplice verità fatta di lacrime e di sole, carnale e segreta; la verità di un cuore innocente, verde come il cielo e azzurro come l’erba bagnata; una verità terrena come il mare e lunare come l’immensità cosmica; una verità che profuma suadente e aspra di policromi limoni.
Ciao Gigi, sei negli sguardi trasfigurati dei tuoi amici ad ogni loro incontro, nel cuore di ciascuno e nell’amore deliberato di ogni volontà creatrice.
Grazie!
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