La peggior parola del vocabolario della lingua italiana. Il caso Pancari.
Mi chiamo Andrea, sono l’estensore di questo breve scritto con il quale inauguro una piccola collaborazione con il giornale online “scomunicando.it”. E’ la prima volta che qualcosa da me prodotto è reso pubblico. Non sono un giornalista professionista, non un saggista o uno scrittore di mestiere, sono solo un appassionato di storia, di fatti di cronaca, amo la narrativa e la letteratura in generale. Con questi brevi scritti vorrei solo riportare alla luce fatti e storie dimenticate, poco note ai più. Le fonti che ho utilizzato sono di dominio pubblico, possono essere facilmente rintracciate sia in rete, sia in testi di professionisti e noti autori. Chiedo scusa in anticipo se non sarò riuscito ad essere esaustivo e completo, gli argomenti sono del resto molto vasti, le fonti senza fine e le opinioni degli esperti estremamente varie. Spero solo di riuscire a risvegliare la curiosità e riportare l’attenzione, anche solo per pochi attimi, su storie, fatti di uomini e luoghi ormai dimenticati.
A.P.
La prima Mafia siciliana e l’omicidio di Mario Pancari
“La Mafia” non è solo crimine organizzato, non è pensabile come fenomeno circoscritto a un determinato territorio o contesto sociale. La mafia è un modo di essere e di pensare, è radicata nel territorio come e più di un’idea, è nella mente e nella cultura delle persone, è folklore; s’impara in famiglia s’insegna a scuola, si subisce in strada.
Nel 1861 oltre il 70% della popolazione nelle regioni del meridione era analfabeta. L’economia era per lo più agricola e si basava sul latifondo; grandi distese di terra erano coltivate a grano e cereali. La popolazione viveva in piccoli centri o borghi rurali. Dal 1838 era stato abolito l’ordinamento feudale, ma questo era ancora pesantemente radicato nel territorio e nella cultura locale, in particolare nei contratti agrari stipulati tra proprietari terrieri e lavoratori braccianti. Gli accordi economici erano basati sullo scambio in natura (baratto), mentre il rapporto tra signori e contadini era caratterizzato da forme di dipendenza salariale diretta e personale.
Al servizio di latifondisti e proprietari terrieri c’erano ancora piccoli eserciti personali, retaggio del periodo feudale, e costituiti perlopiù da sgherri o persone poco avvezze alle buone maniere.
Il meridione d’Italia era terra di latifondi e contadini e, insieme a parte del Veneto, considerati più arretrati del continente. I grandi proprietari terrieri erano soliti utilizzare piccoli gruppi armati, i “picciotti”, per intimidire e tenere sotto controllo i braccianti agricoli, qualora questi avessero accennato a rivendicare migliori condizioni lavorative o salariali.
La violenza, la prevaricazione e le prepotenze in generale, erano lo strumento di questi gruppi; avevano la possibilità di controllare e gestire vastissimi appezzamenti, conoscere perfettamente i territori dove operavano, determinare il diritto al lavoro, riscuotere le tasse e ogni altra attività, lecita o illecita che era loro delegata dalla nobiltà feudale latifondista.
Questo profondo controllo, e la possibilità di utilizzare impunemente la violenza generò la peggior parola del vocabolario della lingua italiana: Mafia. La paura di denunciare, il timore per la perdita del lavoro, il terrore di poter subire ritorsioni e violenze di ogni genere, permise il proliferare del fenomeno.
Ufficialmente la parola “Mafia” comparve per la prima volta nel titolo di un testo teatrale del 1863, “li mafiusi della Vicaria”, scritta da Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca, mentre nel 1865 venne utilizzata in un atto ufficiale dell’allora Procuratore di Palermo Filippo Antonio Gualterio. Nel ‘Nuovo dizionario siciliano-italiano’ del 1876 curato da Vincenzo Mortillaro per Mafia s’intende: “Voce piemontese introdotta nel resto d’Italia che equivale a camorra”. Per altri il lemma sarebbe stato in uso in Toscana e in Piemonte sempre con un’accezione negativa. Dalla seconda metà dell’ottocento il termine non è più inteso solo come fenomeno criminale, ma anche come costume popolare radicato nel meridione d’Italia, in particolare nelle regioni che erano state sottomesse alla dominazione Borbonica. Varie le teorie sull’origine etimologica del termine “mafia”. Una delle più note lo farebbe risalire alla dominazione araba della Sicilia: “marfud” sinonimo di reietto, dal quale poi “mafiuso”, utilizzato solitamente per apostrofare una persona arrogante, prepotente .
La criminalità nel meridione della penisola non era un sistema “organizzato” ma una particolare struttura sociale e ideologica, accettata, conosciuta e spesso subita in tutti gli strati della popolazione.
Nel 1838 il Procuratore Generale di Trapani funzionario del Regno delle Due Sicilie Pietro Calà Ulloa ebbe a dire: “Non c’è impiegato in Sicilia che non si sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia passato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senza altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di fare esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione con i rei. Come accadono furti, escono dei mediatori a offrire transazioni per il recupero degli oggetti rubati. Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di una protezione impenetrabile, come lo Scarlata, giudice della Gran Corte Civile di Palermo, come il Siracusa alto magistrato… Non è possibile indurre le guardie cittadine a perlustrare le strade; né di trovare testimoni per i reati commessi in pieno giorno. Al centro di tale stato di dissoluzione c’è un capitale col suo lusso e le sue pretenzioni feudali in mezzo al secolo XIX, città nella quale vivono quarantamila proletari, la cui sussistenza dipende dal lusso e dal capriccio dei grandi. In questo ombelico della Sicilia si vendono gli uffici pubblici, si fomenta l’ignoranza… ”.
Alla fine dell’ottocento Vittoria era un importante centro della provincia di Siracusa, noto per la produzione del vino. La vita scorreva tranquilla, il sostentamento per la popolazione derivava dall’agricoltura. Durante la sera di domenica 12 marzo del 1861 all’interno del “casino di conversazione” cittadino, oltre ai soliti numerosi avventori, c’erano quattro giovani seduti a un tavolo, intenti a giocare a carte.
Il casino si trovava nei pressi della pizza principale del paese proprio vicino la nuova Casa Municipale. All’esterno numerose le persone a passeggio, il tempo è bello, la primavera già nell’aria. D’improvviso un boato, unico e sordo, alle ore ventuno scosse la tranquilla vita della cittadina. Qualcuno aveva sparato dalla strada in direzione del casino con un fucile. All’interno del locale, a terra, sotto il tavolo rovesciato, in una pozza di sangue giaceva un uomo colpito alla testa. La vittima era Mario Pancari, un giovane appena trentenne della ricca borghesia locale.
Dai resoconti del tempo sembra che fin dagli anni ’60 la famiglia Pancari fosse contrapposta agli Jacono, ai quali apparteneva il sindaco del paese, Giombattista Jacono.
Dopo lo sbarco di Garibaldi sull’isola, il padre di Mario Pancari fu accusato dalla famiglia Jacono di essere una spia borbonica, di aver denunciato al governo del Regno delle due Sicilie i “liberali” che appoggiavano l’impresa dei Mille. Tra le famiglie inoltre non correva buon sangue per via di problemi legati a delle terre e a un corso d’acqua che provvedeva all’irrigazione delle stesse.
A livello locale la famiglia dei Pancari sembrava politicamente legata alla sinistra dei Cancellieri, mentre la famiglia Jacono era naturalmente legata al Sindaco del paese, appoggiato dalla destra liberale.
Sul luogo del delitto giunse subito il “delegato di Pubblica Sicurezza” Greco Colosa, che dopo aver svolto l’attività di rito sul corpo della vittima e aver ascoltato le persone presenti quella sera nella piazza del paese e all’interno della sala da gioco, redasse un primo verbale. Nello stesso indicava che si sarebbe trattato di omicidio su mandante commesso da un sicario prezzolato; La prima idea del Delegato di P.S. fu che i mandanti dell’omicidio del giovane Pancari potevano essere i cugini Giovanbattista Mazza Jacono e Antonio Jacono, rispettivamente cugino e fratello del sindaco di Vittoria, che il movente del delitto poteva essere ricercato nelle storiche contrapposizioni tra le famiglie e per alcune discussioni e negli odi scaturiti dalla gestione del casino di conversazione.
Per accertare e giungere alla risoluzione del caso Pancari non saranno sufficienti tre livelli di Istruttoria e il trasferimento definitivo della sede processuale al Tribunale di Ancona. E’ opportuno però ricordare che nella prima fase fu nominato quale Giudice istruttore per le indagini il dott. Nicolò Cipri. Lo stesso dopo aver ricevuto l’incartamento con gli atti del delegato di Pubblica Sicurezza, si premurò di interrogare quest’ultimo con l’idea di capire perché le indagini vennero da subito indirizzate verso la famiglia degli Jacono. Il funzionario di P.S. rispose, senza esitazione alcuna: “Per le antecedenti e per la voce pubblica”.
Nei giorni seguenti l’omicidio, il clima a Vittoria era incandescente; poche le persone in giro per la città. Come si può leggere nel bel testo scritto da Paolo Monello, dove è dettagliatamente ricostruito il caso: “Mentre la giustizia si impantanava da se stessa, la voce pubblica la vedeva incapace di colpire coloro che tutti additavano come colpevoli. Costoro continuavano a passeggiare in piazza, circondati dai loro bravi, mentre sui muri della città comparivano manifesti di minaccia con su scritto: chi tacerà vivrà, chi parlerà morirà. Senza che nessuno venisse in mente di chiedere al tipografo (Velardi, dirà Pancari in seguito) chi gli avesse ordinato di stamparli. E tutto ciò mentre fiorivano da ogni parte imbroglioni che dicevano di sapere tutto sull’assassinio”.
La notte tra il primo e il due maggio del 1871 nei pressi di una località chiamata Vallelunga Pratamento in provincia di Caltanissetta fu assaltata la corriera che portava l’incartamento processuale a Palermo. Il delegato di P.S., i Carabinieri e la Procura incaricata delle indagini si videro costretti a riascoltare nuovamente tutti i testimoni e produrre una nuova istruttoria scritta praticamente da zero, tutto il lavoro fin li svolto era stato vano.
Non è possibile, in questa sede, ricostruire tutte le vicende processuali, è però necessario tener presente che vi furono almeno tre istruttorie condotte da diversi Giudici e che per via del clima di tensione che si venne a creare nel paese di Vittoria, tra intimidazioni, ritrattazioni e cambi di casacca dei vari testimoni, il processo ebbe termine ad Ancona(!) nel 1876, dopo che il Tribunale di Siracusa aveva condannato i fratelli del sindaco Jacono, Antonio e Salvatore, quali mandanti dell’omicidio del Pancari.
La giunta del comune di Vittoria fu sciolta dal Prefetto di Siracusa, nonostante il parere contrario del Sotto Prefetto di Modica. Dai resoconti del tempo e come si può leggere nel libro di Paolo Monello, Giombattista Jacono fu tutto sommato un buon sindaco, a lui si devono molte delle opere di rinnovo della cittadina, non ultima la sede della nuova casa Municipale e le bonifiche delle zone limitrofe alla campagna locale.
Le vicissitudini processuali in corso scossero terribilmente la vita nel paese di Vittoria a tal punto, che il Prefetto di Siracusa Tiberio Berardi in una lettera scritta all’allora Ministro del Regno riferì: “In Vittoria la mafia si mostrò già tempo indietro con i reati di sangue, fra quali il più clamoroso fu quello di tal Pancari, giovine ricco e aspirante a popolarità, ucciso con una fucilata nel casino di conversazione, ne sono imputati per mandato i capi del partito avverso, che volevano ad ogni costo mantenersi nel potere municipale. Gli imputati attendono il giudizio della corte di Assise di Trapani, alla quale è stato demandato per tenerlo lontano dagli intrighi e dalle intimidazioni della mafia locale, sebbene ora da qualche tempo si mantenga tranquilla”.
Il procedimento giudiziario terminò solo nel settembre del 1877. Il Tribunale di Ancona, dove il procedimento giudiziario era giunto a seguito delle varie vicissitudini nel corso degli anni, condannò quale esecutore materiale dell’omicidio tale Salvatore Lomonaco e quale mandante Giombattista Mazza Jacono, cugino dei fratelli Jacono. Furono scagionati da ogni accusa i fratelli Antonio e Salvatore Jacono. Il padre di Mario Pancari, che negli anni aveva combattuto per avere giustizia, fino al giorno della sua morte, proverà più volte a far riaprire il procedimento, mai soddisfatto dalla sentenza pronunciata dal tribunale di Ancona.
L’omicidio di Mario Pancari è stato un omicidio di mafia.
Lo è stato non solo per com’è avvenuto e per come potrebbe essere stato pianificato. Lo è stato per via delle lungaggini processuali, lo è stato per tutta l’infinita serie d’istruttorie, asserzioni e strani “assalti a corrieri”, per le testimonianze e ritrattazioni dei protagonisti, lo è stato per come la vita di un intero paese si è fermata per quasi un decennio.
Basti pensare alle dichiarazioni di personaggi che ricoprivano importanti funzioni pubbliche quali il Procuratore Pietro Ulloa o quelle del Prefetto Tiberio Berardi. Un omicidio nel quale, a distanza di tempo, anche il Delegato di P.S., Greco Colosa, che per primo indirizzò le indagini in una determinata e chiara direzione, si vedrà costretto a rivedere improvvisamente le sue posizioni, addirittura già nelle fasi investigative della prima istruttoria.
Nonostante il tribunale di Ancona avesse pronunciato una sentenza definitiva di condanna, a Vittoria tutti sapevano che giustizia non era stata fatta, o per lo meno, non era stata fatta completamente.
1 Fonte sito internet Wikipedia: Mafia
2 Fonte sito internet Wikipedia: Mafia
3 Leonardo Sciascia : “La storia della Mafia” ed. Barion anno 2013, pp17-1
4 Paolo Monello: “Assassinio al tavolo da gioco”. Il caso Pancari, storia di sangue e intrighi a Vittoria nel 1871”, versione e-book posizione. 298.
5 Paolo Monello: “Assassinio al tavolo da gioco”. Il caso Pancari, storia di sangue e intrighi a Vittoria nel 1871”, versione e-book posizione 1267
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