Pubblichiamo integralmente:
Non è di oggi mio attestato di stima per Adriano Scianca, uno dei pochissimi analisti intelligenti di quest’ambiente, messi insieme i quali si avrebbe difficoltà a formare una squadra di pallacanestro.
Mi sorprende solo a metà il fatto che una persona nata nello stesso giorno in cui venne consumata la strage di Bologna, quindi praticamente alla fine degli anni di piombo, abbia colto degli aspetti essenziali che indicano come l’odierna scimmia degli opposti estremismi e della strategia della tensione sia relativamente fragile.
Identificando l’intervenuta frantumazione della società, la crisi della socializzazione, l’atomismo individualista, la perdita del senso del tragico, Adriano coglie la gran parte degli aspetti che rendono le due epoche incomparabili e, quindi, le giocate irripetibili.
Complimentandomi aggiungerei alcuni elementi.
La strategia della tensione nacque in un momento in cui coloro che la guerra civile l’avevano combattuta erano cinquantenni attivi e con molti conti in sospeso; infine, da ambo i lati, rimpiangevano e volevano riprendere una rivoluzione interrotta.
Essa fu poi anche l’effetto psicologico di una grande illusione generazionale – quella che aveva prodotto l’aborto del 68 – che sognava di conquistare il cielo e di cambiare il mondo.
La sopravvenuta delusione produsse il nichilismo distruttivo che avrebbe caratterizzato il movimento del ’77 e sarebbe stato l’humus della stagione del terrore. Infine l’Italia era al tempo stesso un luogo strategico nella centralità mediterranea e negli equilibri est/ovest oltre ad essere una protagonista regionale in conflitto con Francia, Inghilterra e Israele. Un vero e proprio campo di battaglia in cui si ebbe l’utilizzo dello stragismo e della lotta armata.
Oggi nulla di tutto questo è attuale.
Ha ragione Adriano nel sostenere che senza l’enfatizzazione dei social non si sarebbe neppur posto il problema.
Tutto bene allora, niente da temere?
Non proprio.
L’odio antifascista è stato nuovamente instillato, sia pure per un calcolo dozzinale.
Il governo delle sinistre, liberal in fatto di costumi (immigrazione, eutanasia, omosessualità) e liberista in fatto di economia, ha delegato a questa patologia morbosa il suo essere di sinistra.
In un agglomerato umano cinico ed isterico, quale è quello odierno, la brama del linciaggio è rinata e si esprime in isterie quotidiane. Alle quali, in senso eguale e contrario, si risponde dal pianeta social di destra, come mai era avvenuto al tempo di “uccidere un fascista non è reato” quando noi mantenemmo comunque il rispetto per il nemico e ci rifiutammo di cadere nei suoi stessi schemi.
Ce n’è quindi abbastanza perché si scivoli sulla china e perché vengano consumati drammi che resteranno probabilmente episodici perché è improbabile che la guerra civile diventi organica.
C’è però di peggio.
Con la disumanizzazione del fascista e con il baccano della canaglia, sono altresì prevedibili repressioni giudiziarie inique e insensate ma nondimeno violentissime. Queste potrebbero fornire il paravento per la classe politica italiana impegnata a breve a cercare un’impossibile quadratura del cerchio.
Negli ultimi decenni essa non ha visto o non ha voluto vedere come stava cambiando il mondo e si è ritrovata oggi con tutte le contraddizioni economiche irrisolte, a dover fare i conti con l’abbandono sostanziale del papà americano, impegnato altrove, con l’indebolimento del padroncino inglese, con il cambio di velocità dei tedeschi e dei francesi, e perfino degli spagnoli e dei mitteleuropei.
Tergiversando troppo, pensando di esser così furbetta, la classe dirigente italiana non ha preso provvedimenti di alcun tipo e adesso deve assumere in qualche modo il proprio default di cui dovremo pagare tutti le conseguenze.
Ecco che allora il pericolo fascista e il mostro fascista torneranno utili per i diversivi nei momenti topici. In questo malauguratamente le due epoche non sono così distanti.
Gabriele Adinolfi
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