Indagini partite male e forse finite peggio anche se condussero alla condanna in primo grado per il boss di Cosa nostra Tano Badalamenti, ma ci sono archiviazioni, depistaggi, interferse e “convergenze di interessi” . Anni che non sono bastati a scrivere la verità sull’omicidio dell’attivista di Democrazia proletaria, assassinato a Cinisi nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. Sullo sfondo resta la relazione dell’Antimafia che parla di “patti” tra mafiosi e pezzi dello Stato e tanti sospetti a destra e a manca.
Di certo chi l’ha ammazzato ha fatto male i conti. Doveva essere un semplice, quanto ingenuo, pazzo, saltato in aria mentre voleva far derragliare un treno. Invece hanno consacrato la sua figura di eroe, sognatore, comunista, irrequieto ma coriaceo ribelle e non solo contro Cosa nostra. Ma la rivolta fatta da un figlio di Cosa nostra.
Oggi superata l’emozione della cronaca, di quei giorni, di quell’epoca resta la certezza di storie di depistaggio, di insabbiamenti, di pezzi dello Stato che proteggevano l’antistato e la stessa mafia.
Sarebbe passata alla storia come la notte della Repubblica, con i telegiornali a raccontare del ritrovamento di via Caetani, la Renault, le Brigate rosse e il cadavere di Aldo Moro. In coda una notizia locale: la morte accidentale di un bombarolo in terra di Sicilia. E’ passata con una sporca storia e di come insabbiarono l’omicidio con il lavoro della commissione parlamentare Antimafia, che ha messo in fila omissioni e buchi di un’indagine deviata già sulla scena del delitto.
Peppino Impastato però ha vinto su tutti, anche sui mafiosi.
Il giorno della sua morte, nonostante la tensione che c’era in tutta Italia per il delitto di Aldo Moro, migliaia di ragazzi sono arrivati a Cinisi da Palermo e altre città siciliane per manifestare contro la mafia, gridando subito che erano stati gli uomini delle cosche a uccidere il loro compagno. Quella è stata la prima manifestazione in piazza contro la mafia, in un paese di mafia. Al suo funerale c’era più gente di quanta il militante di Democrazia proletaria ne avesse mai raccolta in piazza, da vivo, durante i suoi comizi per la campagna elettorale in cui si era candidato a consigliere comunale. E, dopo morto, anche il suo primo successo: alle elezioni del 14 maggio lo votano in 260, quasi il sei per cento della “capacità” elettorale di Cinisi. Un’affermazione senza precedenti se si pensa che nello stesso paese il Pci aveva ottenuto appena il 10 per cento dei suffragi e che quella che allora veniva definita la “nuova sinistra”, si manteneva nella zona su percentuali molto più basse.