Gianni De Michelis muore ed un’altra stagione si chiude con l’interprete più vitalistico di quel mondo. Era il socialismo da bere che riuscì a lasciare traccia del suo passaggio nella storia italiana per essere, oltre tangentopoli, riuscito a ravvivare il dibattito pubblico virando verso un riformismo tricolore che provava a coniugare la sensibilità nazionale con l’idea di Stato, avviando un confronto importante sulle riforme costituzionali.
Oggi nel ricordo di molti rimane una stagione di grande animazione culturale e politica in un sistema bloccato dal bipartitismo imperfetto DC / PCI, di cui rimane poco perché la logica partitocratica si è imposta, saccheggiando le finanze dello Stato pur di controllare un elettorato ‘assistito’ e senza più valori.
Il popolo/elettorato così manipolato, inteso esclusivamente come preda di un capillare clientelismo amorale e vittima/complice di un pervasivo sistema corruttivo, ha reso la Repubblica Italiana ancora più fragile e soggetto ricattabile nel suo percorso storico di affrancamento dalla contrapposizione geopolitica tra USA e URSS, seppur con qualche sussulto dignitoso come quello di Sigonella, dove Bettino Craxi con Ministro degli Esteri Andreotti tentarono di pretendere rispetto da chi intendeva l’Italia solo una colonia senza autonomia e dignità.
Quei protagonisti contribuirono, nelle loro interpretazioni e con De Michelis anche nelle sue versioni mondane, con intelligenza e muniti di un patrimonio culturale, cercando di dimostrare che l’Italia avesse una dignità e fosse uno Stato Sovrano che meritava rispetto oltre ogni tracotanza, da qualunque parte potesse provenire.
(Rino Nania / 10 maggio 2019)