Le foto hanno fatto il giro del mondo.
…una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa;
Sono quelle del cimitero d’emergenza per le vittime del Coronavirus.
La lingua di terra al largo del Bronx ha un passato sinistro che ospita, anche se le autorità dicono temporaneamente, le vittime del contagio. Hart Islan è una striscia di terra di poco più di un chilometro al largo del quartiere del Bronx. Qui le vittime del virus vengono seppellite individualmente in modo da consentire alle famiglie di reclamare in seguito le spoglie del defunto.
“Cercheremo di trattare ogni famiglia con dignità, rispetto, rispettando le volontà dei credenti”, ha dichiarato de Blasio alla CBS. L’isola di Hart ha in effetti una fama lugubre. La prima funzione pubblica, negli anni Sessanta dell’Ottocento fu quella di campo di addestramento per l’esercito dell’Unione. Da allora, Hart Island è stata la sede di un campo di prigionia della guerra civile, di un manicomio, un sanatorio per la tubercolosi, un riformatorio per minorenni, un carcere, un centro di riabilitazione per tossicodipendenti ma anche il luogo storicamente deputato dalla città a seppellire in fosse comuni i derelitti.
Di solito ad Hart Island, una volta alla settimana i detenuti del carcere di Rikers Island seppelliscono in media 25 cadaveri. Ma il numero ha iniziato ad aumentare a marzo con la diffusione del nuovo Coronavirus a New York, diventata l’epicentro della pandemia. E ora si stima che sull’isola vengano seppelliti una ventina dicorpi al giorno, cinque giorni la settimana. Si ritiene che il numero delle sepolture sia quadruplicato nella Grande Mela dall’inizio delladiffusione del Covid-19. Lo stato di New York, come è noto, ha più casi di Coronavirus di qualsiasi paese al mondo.
Ed inevitabilmente quelle immagini rimandano all’idea dei Monatti di Manzoniana memoria.
Infatti nei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, dal capitolo XXXII al XXXVI ci fa incontrare iMonatti.
Nella Milano consumata dalla peste e dalla paura, erano loro i signori incontrastati della città. Non esistendo cure al morbo, ricoprivano le funzioni dei moderni conduttori di ambulanze, pur usando metodi assai più spicci e con fini spesso criminali. Erano uomini che erano stati contagiati dalla peste e non ne erano morti, come del resto Renzo e Lucia, dunque possedevano gli anticorpi necessari. Portavano i morti alle fosse di sepoltura e portavano i vivi al lazzaretto, per evitare che diffondessero il contagio.
Renzo li incontra in giro per Milano: “Arrivato al crocicchio, vide da una parte una moltitudine confusa che s’avanzava, e si fermò lì, per lasciarla passare. Erano ammalati che venivan condotti al lazzeretto; alcuni, spinti a forza, resistevano in vano, in vano gridavano che volevan morire sul loro letto, e rispondevano con inutili imprecazioni alle bestemmie e ai comandi de’ monatti che li guidavano; altri camminavano in silenzio, senza mostrar dolore, né alcun altro sentimento, come insensati; donne co’ bambini in collo; fanciulli spaventati dalle grida, da quegli ordini, da quella compagnia, più che dal pensiero confuso della morte, i quali ad alte strida imploravano la madre e le sue braccia fidate, e la casa loro.” (Cap. XXXIV).
Da dove sia derivato il nome di Monatti non è chiaro. Il Manzoni scrive: “Il nome, vuole il Ripamonti che venga dal greco monos; Gaspare Bugatti (in una descrizione della peste antecedente), dal latino monere; ma insieme dubita, con più ragione, che sia parola tedesca, per esser quegli uomini arrolati la più parte nella Svizzera e ne’ Grigioni. Né sarebbe infatti assurdo il crederlo una troncatura del vocabolo monathlich (mensuale); giacché, nell’incertezza di quanto potesse durare il bisogno, è probabile che gli accordi non fossero che di mese in mese” (Cap.XXXII).
Giravano con una campanella attaccata alla gamba, per avvisare chi era sano di ritirarsi. Erano intoccabili e dunque potevano sfondare le porte per entrare a portar via gli infettati e i morti, oppure rubare quel che vi stava dentro. Se avessero trovato un cadavere in putrefazione, avrebbero chiesto soldi ai parenti per portarlo via. Si notato i loro modi spicci dal trattamento che riserbano a don Rodrigo, che due giorni prima aveva partecipato al funerale del conte Attilio e vi aveva fatto bisboccia. Tornato a casa, il Griso, uno dei suoi bravi, si rende conto che non sta bene. Don Rodrigo lo manda a chiamare un medico ma il Griso chiamò i Monatti perché se lo portassero via. Questi gli si buttarono addosso e gli strappano la pistola. Poi il Griso spartì l’oro del suo padrone con loro (Cap. XXXIII).
I Monatti sono i protagonisti di una delle scene più strazianti del romanzo.
L’episodio di Cecilia, definita “…una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo.” Cecilia carica sul loro carro il cadavere della sua bambina di nove anni, già morta, che aveva ben pettinata e vestita con un abitino bianco. Paga il monatto e gli chiede, con grande dignità, di seppellirgliela così, senza toccarla. Poi dice loro di tornare di sera a prendere anche lei e la sua figlia più piccola, già moribonda (Cap.XXXIV).
Un’altra scena che li vede protagonisti è il loro salvataggio di Renzo, scambiato per un untore.
I milanesi vorrebbero linciarlo, ma lui si salva, saltando su un carro di cadaveri condotto dai Monatti, che lo proteggono. Li ringrazia e uno di loro gli dice: “Di che cosa? – disse il monatto: – tu lo meriti: si vede che sei un bravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti; che, per ricompensa della vita che facciamo, ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la morìa, ci voglion fare impiccar tutti. Hanno a finir prima loro che la morìa, e i monatti hanno a restar soli, a cantar vittoria, e a sguazzar per Milano.” Giunti a una successiva fermata, Renzo saltò giù dal carro, ringraziando di nuovo i suoi salvatori: “Va’, va’, povero untorello, – rispose colui: – non sarai tu quello che spianti Milano.”
E qui anche i Monatti escono di scena.
Non esistono tracce di processi nei loro confronti, una volta che la peste smise di infierire, in città e nel contado.