– di Corrado Speziale –
“Se vogliamo tornare alla normalità, dobbiamo prima uscire dalla psicosi…”. Avevamo incontrato la prima volta lo specialista il 21 febbraio, allo scoppio dell’epidemia in Lombardia e Veneto. Ad un mese di distanza si era fatto il nuovo punto della situazione, analizzandone l’evoluzione. Adesso, a lockdown concluso e vita sociale in via di normalizzazione condizionata da regole e accorgimenti, si possono tirare le somme analizzando gli effetti del passato e azzardando qualche previsione. La Sicilia e Messina stanno venendo fuori dall’emergenza limitando i danni, segnando dati diametralmente opposti rispetto alle regioni più colpite. A cento giorni dallo scoppio del Covid, col verificarsi dei primi decessi in Lombardia, restituiamo la parola allo specialista, in prospettiva di lasciarci alle spalle le preoccupazioni e affrontare l’estate in maniera quanto più serena possibile.
Dott. Cannuni, abbiamo superato il terzo mese dai primi contagi in Italia. Cosa le hanno lasciato questi cento giorni?
Al di là di quanto successo in Lombardia ed in minor parte in Veneto e Piemonte, in cui palesemente qualcosa non ha funzionato – e dispiace per le persone morte, a prescindere dalla presenza o meno di responsabilità – quello che resta è la psicosi a livello globale, le conseguenze psicologiche di un lockdown dalla dubbia utilità, dal momento che siamo stati uno dei paesi più colpiti al mondo. Ma in particolare mi ha colpito la capacità mediatica di installare una paura e di ingigantire il senso del pericolo provato dalle persone. Se ricordi, non a caso avevo parlato a più riprese di un cut off di contagiati che poteva sembrare una banalità, su cui ammetto di aver ricevuto anche diverse critiche. Al tempo parlai dell’1% dei contagiati, e, numeri alla mano, che sia una regione, una nazione qualsiasi o il mondo, questa soglia di contagiati non si è mai raggiunta.
A voi specialisti sono stati forniti studi e informazioni per comprendere meglio ciò che è successo? Esistono delle evoluzioni nelle sequenze del virus? Potrebbe essersi trasformato, indebolito?
Tra fake news, studi monchi, pareri dati come verità inconfutabili e poi ritrattati, il caos è regnato sovrano, anche causato dai protagonismi di chi ha scritto o ha presenziato nelle trasmissioni televisive. Quello che vedo io, di cui avevo parlato – quindi non vengo ad aggiungere nulla di nuovo a quanto già detto – è una semplice evoluzione biologica, che necessita di alcune informazioni di base, che cerco di spiegare nel modo più semplice e chiaro possibile. La prima è che abbiamo un sistema immunitario deputato a contrastare eventuali insulti da agenti infettivi, fatta eccezione per persone con disordini di quest’ultimo. La seconda è che ci troviamo di fronte ad un virus estremamente più antico dell’uomo, che potremmo definire evoluto. Provo a semplificare ulteriormente: il virus che uccide l’ospite, uccide se stesso. Il prototipo della patologia più contagiosa al mondo è il comune raffreddore, che non a caso è un Coronavirus nel 70% circa dei casi. Questo non è eclatante come piace ai media, ma per un virus un meccanismo molto efficiente è lasciare l’ospite in buone condizioni, in modo tale che aumenti le possibilità di contagio e diffusione. Questi due fattori andranno a sovrapporsi in un arco di tempo relativamente breve.
Lei alla prima intervista, sulla Sicilia e Messina si era dichiarato ottimista. A giudicare i risultati ha avuto ragione, ma è stata una vittoria o la partita non è neppure iniziata?
Sicuramente grande merito va a chi si è preso cura dei pazienti. Per il resto, per i disfattisti, gli esperti laureati su Facebook o social vari, per chi predicava il famoso picco, l’ecatombe tanto annunciata al centro-sud non si è verificata. Non credo ci siano mai stati i presupposti affinché ciò potesse avvenire. L’incidenza sulla normale mortalità in molte regioni italiane non è stata statisticamente significativa rispetto agli anni precedenti, malgrado il Covid-19.
Facendo le dovute proporzioni, in Lombardia hanno avuto un immenso incendio, mentre noi a sud abbiamo subito delle fiammelle. Da cosa può essere dipeso? Errori? Impreparazione? Casualità? Sfortuna? Possono aver influito sul contagio le condizioni ambientali? O forse in quelle zone, in soggetti deboli, si è potuta registrare una particolare fragilità degli organi vitali all’attacco del virus?
Mi limiterò a dare una risposta di massima e non scendere nei particolari, per una serie di motivi: primo su tutti il rispetto per coloro che hanno perso i propri cari, secondo perché la magistratura sta facendo già il suo corso. Ma ci sono grosse responsabilità politiche dietro, alcune più “datate”, altre inerenti al Sars-Cov-2.
Iniziamo dalla folle politica dei tagli sulla sanità, partita da decenni a questa parte, in particolare il Lombardia, poi la privatizzazione della stessa per creare centri di eccellenza mirati. Questo nella pratica si è tradotto nel perdere di vista il territorio nel suo insieme. Ma questa è storia che risale ad anni fa.
Per tornare alla storia recente, è facile rintracciare un primo documento in cui la Regione Lombardia autorizzava a “collocare” i positivi paucisintomatici nelle RSA. Oppure a lockdown iniziato, sembrava stridere che tutto fosse chiuso ad eccezione dei mezzi pubblici, in particolare quelli meno aerati come le metropolitane. Poi sicuramente si sono innescati anche altri meccanismi che hanno riguardato le strutture sanitarie e le eventuali terapie somministrate ai pazienti.
Su eventuali precedenti contagi e immunizzazione al sud, ne avevamo discusso in tempi non sospetti. Abbiamo qualche conferma di ciò?
Esiste uno studio privato, fatto in Puglia, in cui già si parlava di località con un alto tasso di popolazione con presenza di anticorpi specifici. Ma ripeto, è uno studio privato ed isolato e lascia un po’ il tempo che trova. Adesso si parla realmente di controlli sierologici, ma dopo tre mesi il numero di persone che risultano immuni non può dare contezza se il virus fosse arrivato prima, e se così dovesse essere, diventa difficile stabilire quando si è entrati in contatto con esso. Studi sui geni virali più avanti potranno dare una risposta più esaustiva. Ma quando questo avverrà, ovviamente la macchina socio-economica messa in piedi nel frattempo si sarà già esaurita.
Gli scienziati nella seconda fase sono apparsi ancora più divisi rispetto alla prima. Come mai tante divergenze in un campo dove invece l’univocità dovrebbe essere garantita?
Credo che molti si siano lasciati cogliere da protagonismi e sindromi profetiche. Ammetto di non aver seguito tutte le interviste possibili, per scelta personale e professionale, non sia un caso che la scienza si deve basare su metodi noti, riproducibili e dati certi. Persino i report quotidiani della Protezione civile erano diventati numeri “vomitati” che andavano a perdere senso perché non tenevano conto di tanti fattori.
Ma quello che davvero mi ha colpito, tra coloro che si presentavano come massimi esperti del settore, è stato non fare raffronti con gli altri ceppi di Coronavirus finora conosciuti. questa è disonestà intellettuale! Non saprei se sia stata una cosa fatta in buona o in cattiva fede, anche perché garantirsi nuove apparizioni mediatiche sarebbe stato garantirsi un introito in più, ma queste sono solo congetture che sto facendo.
I test sierologici possono servire a raggiungere la normalità? Cosa potrebbe servire, in alternativa, per convivere accanto agli altri in sicurezza?
Per come la penso io, dovremmo metterci in testa di non essere organismi asettici, anzi, tutt’altro, abbiamo bisogno di una flora microbica per sopravvivere. La storia dimostra che le pandemie, quelle devastanti, terribili, sono tutt’altra cosa. Mi sembra giusto ricordare che la prima causa di morte al mondo resta la malaria, con circa 6 milioni di vittime l’anno, poi nell’ambito delle malattie infettive mi viene in mente il morbillo con una cifra che si avvicina ai 2 milioni di morti l’anno. Se poi prendiamo in considerazione i ceppi influenzali più comuni, senza neanche scomodare la spagnola, questi fanno dai 300 mila ai 600 mila morti l’anno nel mondo. Tengo a precisare che questi sono dati pubblici. Se vogliamo tornare alla normalità dobbiamo prima uscire dalla psicosi.
Dallo scorso 18 maggio si è allentato nella giusta misura, troppo o troppo poco? Distanziamenti, uso di mascherine, limitazioni e accorgimenti, quanto potrebbero ancora durare?
A questa domanda non saprei rispondere, non perché non sappia di cosa stiamo parlando, ma per il semplice motivo che non capisco dove si voglia arrivare. Premetto che in più di un’occasione, proprio qui, ho parlato di misure diverse dal lockdown, prima che venissero adottate in altri paesi che, tra l’altro, hanno avuto una diffusione ed un tasso di mortalità addirittura inferiore al nostro, dove abbiamo usato misure abbastanza draconiane. A questo punto diventa solo un fatto normativo, non più scientifico. Diciamo che durerà finché correremo dietro ai tamponi, alle mascherine ed a politici che cercheranno di proteggerci da cose che non conoscono minimamente.
Che estate sarà? Il caldo gioverà ad annullare i contagi? L’aria condizionata può costituire un veicolo di rischio?
Il caldo rende l’apparato respiratorio meno suscettibile agli insulti infettivi. Non manderà via il virus. Le arie condizionate possono essere veicolo di molti patogeni che si diffondono per via aerea, me ne vengono in mente almeno 4 o 5 in questo momento, ma non voglio dare suggerimenti sulla prossima psicosi da inseguire…
Nuova normalità e nuova vita. Che differenze ci saranno col passato? Che senso di consapevolezza dovremmo assumere nel convivere col virus o dopo il virus?
Allontanandoci un attimo dall’ambito scientifico, di qualsiasi cosa vogliamo parlare, dalla società, all’ambiente, alla politica, l’essere umano si è sempre dimostrato una specie con poca o nessuna memoria storica, per cui non credo che ci saranno cambiamenti nello stile di vita.
Quello che è successo col Sars-Cov-2 non è per niente un evento eccezionale in natura. Forse lo è diventato o lo abbiamo fatto diventare noi tale. In realtà i salti di specie in natura sono più frequenti di quanto si pensi, non all’ordine del giorno, ma quasi. Ci sono quelli che passano inosservati, quelli che danno sintomi minimi e quelli che possono causare o causano conseguenze serie.
Il virus il prossimo autunno potrebbe ripresentarsi?
Ho sentito e letto da più parti la tanto temuta seconda ondata. Ma anche andando a cercare, nella storia dei Coronavirus, quelli più patogeni, dalla Mers alla Sars, non ci sono mai state seconde ondate. Non capisco il ragionamento che porti a essere tanto sicuri di questa ipotesi. Personalmente la trovo improbabile.
Al di là dei giudizi nel merito o preconcetti. Molti specialisti per il prossimo autunno consigliano il vaccino antinfluenzale stagionale. Gioverebbe a ridurre i rischi da Coronavirus?
Mi preme fare una premessa: non sono contrario ai vaccini, purché abbiano un obiettivo ben preciso, sia esso un virus o un batterio, ad esempio polio, difterite, tetano, epatite B, ecc, guarda caso tutti microorganismi che non hanno contendenti in natura…Il vaccino antiinfluenzale copre in un periodo particolare dell’anno da una sindrome, causata da un virus, quello influenzale, che conta di per sé numerose varianti, non tutte coperte dal vaccino.
Il virus influenzale è, sia per modalità di trasmissione che per sovrapposizione stagionale, un naturale concorrente dei Coronavirus sullo stesso ospite. Adesso, ammesso che a breve si presentasse un nuovo ceppo di Coronavirus o virus influenzale, io mi chiedo: è una buona idea togliere o provare a togliere di mezzo un suo diretto concorrente, lasciando strada libera a un nuovo patogeno?
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