di Giulia Quaranta Provenzano
Oggi vi proponiamo l’analisi della blogger e critica Giulia Quaranta Provenzano a riguardo della canzone “Polvere”, di Olly. Con codesto brano il giovane cantante genovese si è raccontato, sul palco del Teatro Ariston, al Festival di Sanremo 2023…
Che io ammiri il cantante genovese Olly non è un segreto, anzi ammetto che vorrei poter collaborare con lui sia per quello che concerne soprattutto i testi delle sue canzoni che come sua fotografa e magari anche ufficio stampa. Il suo modo di porsi e smuovere la polvere dalle crepe del cuore è davvero rara e preziosa, non è mai banale – negli argomenti che affronta e nel come li tratta – per quanto sia immediato alla comprensione tutto ciò che esprime attraverso le barre che scrive (complice, forse, quello che è stato definito il suo stile – cito – caratterizzato dall’uptempo in cassa dritta e dal racconto cantautorale, in cui presenta tutte le sue sfaccettature ossia dalla più vivace e spontanea alla più malinconica e intimista) …e proprio nel brano “Polvere”, che ha portato al Festival di Sanremo 2023, ho letto in controluce non poco dell’interessante questione della Teodicea (su cui io stessa ho scritto la mia tesi di laurea triennale, intitolata “La crisi della Teodicea nel Candide di Voltaire”).
Nei brani di Federico Olivieri vi è una ricchezza di simboli che, in lui conscio o inconscio che sia tale stupefacente impiego di segni, regala una fotografia di autenticità disarmante: si sente la sincerità di Olly in quanto ogni parola che usa e ogni frase che compone non tradisce mai né la precedente né la successiva.
È interessante notare che è proprio Olly stesso ad aver anticipato quello che qui sotto spiegherò inerentemente la canzone “Polvere” [clicca qui https://g.co/kgs/rSUsX2 per leggere il testo] – frutto della sinergia tra lui, Julien Boverod alias Jvli ed Emanuele Lovito – e cioè che l’unica legge a cui risponderà e alla quale vale la pena rispondere almeno in ultimo è quella dettata da se medesimi: “Tutti abbiamo uno scatolone impolverato, abbandonato e dimenticato nella mensola più alta. Io mi sono chiesto chissà che vista si ha, da lassù, della casa e delle cose attorno a sé. Ho voluto condividere la mia idea che insicurezze, paure, difficoltà e disagi – la polvere che annerisce lo scatolone – possono essere un modo per farci vedere la realtà in maniera diversa, da un punto di vista insolito, non per forza sbagliato. Ci sono momenti in cui, nello scatolone là in alto in mezzo alla polvere, sto bene”. Lo scatolone è metafora dunque della nostra esistenza, che talvolta non viviamo come attori e nemmeno in piena e totale consapevolezza bensì estraniandoci e separandoci così dal mondo circostante e lasciandoci soffocare, appesantire e coprire da tutto quello con il quale non abbiamo voluto prendere confidenza – chiusi nella nostra irremovibile bolla che crediamo possa farci a balsamo dalle difficoltà e dal non escludibile incorrere in alcune spiacevolezze dei dì – per i più numerosi motivi.
Nel videoclip [clicca qui https://youtu.be/6jFvKmxxIxM per visionarlo], prodotto da Borotalco.TV e diretto da Nicola Bussei e Asia Jennifer Lanni, la sopracitata metafora dello scatolone dimenticato (oserei dire scordato) e fragile prende forma. Il quasi ventiduenne ligure, nei panni di una bambola, si trova avvolto nel suo imballaggio che è stato affermato essere – cito nuovamente – luogo che riconosce come casa e in cui si sente a suo agio. Quel piccolo universo che il “pupazzo” Olly si è costruito non è un limite ma è qualcosa che ama, nonostante vari ostacoli e avversità cercheranno di rovinarne il contenuto. L’imballaggio appunto attutisce eventuali colpi, tuttavia al costo di non mettersi in gioco.
Addentriamoci pertanto adesso nel filmato che vede colui che prepara e trasporta in bici lo scatolone quale sorta dio che lascia la sua creatura alla mercé di persone malintenzionate come il cuoco col coltellaccio, così come d’un cane che orina dentro il cartone finito in mezzo all’immondizia. Olly che impatta, quindi, sia col male morale che con quello naturale e che se vuole provare a non continuare a incappare in essi e tantomeno senza un magari possibile sbocco positivo non deve fare passivamente affidamento all’onnipotenza-onnipresenza-onniscienza di una divinità buona che evidentemente non possiede tutti e quattro gli attributi. L’essere umano, per quanto imperfetto e finito per sua natura mortale, non dovrebbe esimersi cioè dal cercare di essere artefice della propria sorte… di affrontare ossia la vita con intraprendenza come infine, nel clip, decide di tentare la bambola col suo aeroplanino.
Ecco che considero molto belli i frames dal minuto 1:23 al 2:11 che, con ironia sottile delle immagini utilizzate, si pongono quale preludio alla riappropriazione da parte di Olly del proprio spazio vitale e della propria volontà di autodeterminazione in quanto desideroso di non rimanere più, inerme, spettatore di se stesso. Soltanto così il nuvolone cantato da Federico Olivieri, ossia gli eventi che si lascia ci accadano (compreso il suddetto male naturale e/o morale che sia) e che – quando restiamo passivi e in mano altrui – ci arrivano addosso sottoforma di polvere (mentre ci accontentiamo di quell’unico spicchio che crediamo concessoci, in contrappeso a quanto ci viene negato… un po’ come i ciechi con gli odori, come i muti coi rumori che finiscono per “innamorarsi” di quello che solo hanno a disposizione), non avrà più potere né influenza su di noi e sulla nostra mancanza di audacia. Bisogna cioè prendere consapevolezza di sé e di cosa si potrebbe avere d’altro rispetto a quello che ci viene gettato come un osso. Ci si renderà conto allora, ci si accorgerà che più lontano c’era il sole ma – perché ciò avvenga – è doveroso affrontare e andare oltre le proprie insicurezze, fragilità e paure ovvero non ci si deve lasciare distrarre come un bimbo con un gioco/ come un lupo con il fuoco/ che se lo agiti, scappa via.
Ma che cos’è la polvere? La polvere è quel qualcosa che come la Vanitas seicentesca, come il senso imminente di una fine che tutto cancella – e soprattutto di un’impotenza e inutilità certa invero, però, solamente se non ci si oppone – si accumula e sicuramente finisce per essere inibente se si è privi di iniziativa e se non ci si prende la responsabilità di uscire dallo scatolone anche e soprattutto quando piove… perché la pioggia, al contrario della polvere, è catartica se ci si lascia bagnare e si è disposti a lasciarsi vivificare dal primitivo e dall’inconscio portato a consapevolezza ascoltandosi, dall’istintivo e dunque sincero, fino a divenire fertilmente in contatto con quello che è il nostro nucleo caldo come una fenice che risorge non dalle ceneri bensì per l’appunto dall’acqua che scioglie la terra arida (e gli antichi mitografi Egizi dissero difatti, non a caso, che è dall’acqua che essa risorge!).
É bene, inoltre, sottolineare che la pioggia raggiunge il suolo sottoforma di gocce e stille sono anche le lacrime… pioggia che pertanto, così come il pianto, simboleggia una metaforica rinascita e rinnovamento. È, questo, un invito pure a noi ascoltatori ad andare al di là della circoscritta apparenza e del superficiale ché quello che sembra incontrovertibilmente negativo e che per un certo lasso di tempo quasi ci soffoca, talvolta, serve ed è propedeutico al nostro risveglio interiore …non per nulla chi, nel videoclip, vomita rosso – rosso che allude alla proposizione passionale, attiva, nel vivere – è il “pupazzo” Olly dacché presto non più passeggero che si pensa costretto nei capricci di una divinità antropomorfa quale è l’uomo che lo ha imballato e messo nello scatolone.
Non deve sorprendere, ebbene, se quando il genovese canta <<Facciamo un giro se piove/ piove/ Fino a che (fino a che)/ Non ci si bagnerà il cuore, cuore/ Io e te (io e te)/ Ma su di me/ Solo polvere/ Vuoi sapere che si vede/ Qui da sopra uno scaffale/ Io che ho molta fantasia/ Vedo mare, mare, mare/ Vedo Dio mentre pittura/ Che sorride perché sa/ Che se fa una sbavatura/ Poi non la cancellerà/ Io/ Davo peso alle parole/ Poi mi sono accorto che/ Mi coprivano dal sole, aah-aah/ Ho visto uno scatolone/ C’era scritto “fragile”/ Ma che senso ha?>> è stata filmata la bambola Olly come a significare che, per il giovane cantante ligure, è l’uomo a essere creatore e ordinatore di sé (e non un’entità superiore ed esterna alla propria persona) …e che si diviene tali se, pur ancora sotto il controllo dell’Io freudiano organizzatore e mediatore delle pulsioni e delle esigenze sociali, ci si inizia a collegare e a prendere confidenza – grazie alla personale facoltà dello spirito di riprodurre o inventare immagini mentali in rappresentazioni complesse, in parte o in tutto diverse dalla realtà data – con le proprie emozioni latenti delle quali il mare, anche simbolo di vita e di rinascita, è emblema. Finché tuttavia non si applica l’arte di essere liberamente sé, le parole – che sono appunto il principale mezzo con cui ci si indirizza alle altre persone e con le quali le altre persone si rivolgono a noi, spesso giudicando – continueranno a pesare su di noi e a impedirci di sbocciare in autenticità ovverosia a impedirci di prendere coraggio ed essere leali con noi stessi nell’imboccare la direzione che si confà alla nostra vera natura.
Orientarsi alla pienezza della vitalità e della maturità è possibile ma è necessario che il Me – teorizzato da William James – che rappresenta il modo in cui l’individuo si vede, quanto del Sé è conosciuto dall’Io, non sovrasti più e non abortisca un’identità che non sia attenta esclusivamente a come il me corporeo e fisico in senso largo appare e al me sociale che si definisce nelle relazioni e interazioni appunto sociali, nei rapporti con la gente e nei differenti contesti nei quali si è immersi.
Il fatto che poi, subito dopo, su di Olly lampeggi una luce rossa è significativo perché il rosso è il colore del sangue… sangue come veicolo di vita e generazione, ma non di meno di morte. Spetta a noi esseri umani decidere se disporci nei confronti degli eventi come opportunità o no – ed ecco che la pioggia fa della polvere pharmakon nella sua accezione semantica di veleno solo se non reagiamo ad alcunché, mentre funge da medicina se ci si ricollega con fiducia (simboleggiata dal blu intorno alla bambola) alla parte più profonda e originaria, a livello di desii, di sé (parte dalla quale tutto scaturisce, potente, simboleggiata dal nero in cui ogni cosa v’è e a cui tutto in ultima istanza ritornerà) …è così che il cantante di Genova ci suggerisce e richiama alla mente di tutti noi la consapevolezza che, prima di tornare polvere, c’è un mondo da esplorare fuori dai nostri limiti mentali e non soltanto di quelli.