L’opera di Luciano Armeli Iapichino, fresca di stampa, volutamente una via di mezzo tra l’inchiesta giornalistica ed il romanzo che parla di un giovane uomo “ucciso non solo dalla mafia”, appunto Attilio Manca, non un eroe, ma semplicemente un talentuso professionista che si apriva alla vita tra affetti ed emozioni, sarà presentata nlla sala multimediale “Rita Atria.
La manifestazione che si avvierà alle 18,30, va ben oltre l’incontro letterario; sarà un momento di riflessione, di denuncia, di richiesta della “verità” processuale che tarda ad arrivare, e si avvarrà di tanti preziosi contributi da parte dei presenti in sala.
Dopo gli interventi, nel prologo dell’incontro, di Salvo Messina, il sindaco di Brolo e di Maria Ricciardello, l’assessore alla cultura del luogo, a parlare sarà Giuseppe Scandurra, Presidente Nazionale FAI.
Poi seguiranno le testimonianze dei giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Antonio Mazzeo, quindi l’intervento di Sonia Alfano, europarlamentare e Pres. Ass. Naz. Familiari Vittime di Mafia che ha scritto una delle due prefazioni del testo ( l’altra porta la firma di Nichi Vendola) e che recentemente ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica, Gorgio Napoliano, affinche si intervenga su questo caso giudiziario da troppo tempo “impantanatosi”.
Nella parte conclusiva della presentazione si registreanno gli interventi di Gianluca Manca, fratello di Attilio, e di Luciano Armeli Iapichino – scrittore e filosofo, giovanissimo – l’autore di “le vene violate” già vincitore con la sua opera prima del premio internazionale “Elio Vittorini”.
A moderare il tutto ci penserà Ornella Fanzone.
Leggeranno alcuni brani: Vincenzo Crivello – attore, e Linda Liotta – scrittrice, mentre Sara Marino Merlo darà voce al testo scritto dallo stesso Vendola.
Dopo Brolo, appena la settimana seguente, il libro sarà presentato a Barcellona quindi a Viterbo.
Ufficio Stampa – Massimo Scaffidi.
L’intervista alla madre di Attilio, Angelina Manca di Daniele Camilli.
“MIO FIGLIO È STATO UCCISO A VITERBO DALLA MAFIA. CHIEDIAMO GIUSTIZIA”
Per la madre Angela Manca, e non solo, è stato ucciso dalla mafia.
A Viterbo, a pochi passi dalle nostre coscienze.
Per gli inquirenti ancora non si sa.
Il gip viterbese Salvatore Fanti dovrà decidere se archiviare definitivamente il caso – siamo già alla terza richiesta di archiviazione – oppure aprire le porte al processo.
Una decisione che va avanti da circa un anno.
E dire che dal 12 febbraio del 2004 sono passati quasi sette e mezzo.
Sette anni d’attesa senza processo né indagati.
Tutto sembrerebbe al punto di partenza.
Fu suicidio dovuto ad overdose oppure “morte accidentale” di un medico che non doveva rivelare ciò che aveva visto, che non doveva dire di aver operato il superlatitante Bernardo Provenzano (arrestato soltanto l’11 aprile del 2006) e che nessuno avrebbe mai dovuto sapere che nell’ottobre del 2003 il boss mafioso si trovava a Marsiglia?
Fatto sta che Attilio Manca, originario di Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia e giovane urologo del Belcolle, verso le 11 del 12 febbraio del 2004 venne ritrovato cadavere nell’appartamento viterbese in cui abitava.
Non aveva ancora 35 anni, li avrebbe compiuti qualche giorno dopo: il 20 febbraio.
Una vita professionale prestigiosa e di altissimo livello.
A partire dalla carriera scolastica e accademica: 60/60 al Liceo classico, 110 e lode all’Università e 50 e lode a conclusione della specializzazione.
È stato anche tra i primi medici in Italia a saper operare il tumore alla prostata per via laparoscopica.
Circostanza che forse gli è costata la vita.
“La morte dell’urologo – scrive Joan Queralt ne ‘L’enigma di Attilio Manca’ – è un crimine che diventa un mistero, un delitto che si trasforma nell’enigma che sconvolge da anni l’esistenza dei suoi familiari”.
Un enigma dai contorni però ben definiti. La speranza? Che sia finalmente fatta luce e perché no giustizia.
E intanto, mercoledì sera verso le 22 – spiega Angela Manca in una nota apparsa su Facebook – un ciclomotore con due occupanti con casco si è fermato davanti al cancello di casa della madre di Attilio a Barcellona “ed ha fatto esplodere un ordigno.
utta la strada veniva invasa dal fumo fino ad un’altezza di 10/15 metri.
Appena il fumo si è diradato era visibile una bomboletta di circa 30/40 cm abbandonata in prossimità del cancello”.
Allertati da un vicino di casa, lei e il marito sono “arrivati nel giro di 20 minuti. La bomboletta stranamente era sparita!
La mafia barcellonese comincia a preoccuparsi seriamente?”
Signora Angela Manca, fu omicidio o suicidio?
È stato logicamente un omicidio. Attilio non aveva alcun motivo per uccidersi. La sua era una vita perfetta e in continua evoluzione. Un medico eccellente che voleva farsi una famiglia. Per quale ragione avrebbe dovuto suicidarsi? E poi la scena del delitto presentava elementi chiari che fanno pensare solo al fatto che sia stato assassinato.
Ce li può descrivere?
Il suo corpo era seminudo e riverso trasversalmente sul piumone del letto. Un letto intatto e in ordine, come se non fosse andato a dormire. In perfetto ordine anche l’appartamento in cui viveva.
Dal naso e dalla bocca era invece fuoriuscita un’ingente quantità di sangue, che aveva finito per provocare una pozzanghera sul pavimento. Il volto di Attilio presentava inoltre una vistosa deviazione del setto nasale, mentre sui suoi arti erano ancora visibili macchie ematiche. Nella stanza da letto si trovava ripiegato su una sedia il suo pantalone, mentre inspiegabilmente non furono rinvenuti i boxer né la camicia. Altrettanto inspiegabilmente sullo scrittoio erano poggiati i suoi attrezzi chirurgici (ago con filo inserito, pinze, forbici), che non aveva mai aveva tenuto in casa.
Sul pavimento del bagno, c’era poi una siringa da insulina, evidentemente usata, cui era stato riposizionato il tappo salva-ago. In cucina, nessuna traccia di cibo, consumato o residuato. E sempre in cucina, nella pattumiera si trovavano un’altra siringa da insulina – evidentemente usata e a cui erano stati riapposti il tappo salva-ago e quello proteggi-stantuffo – e due flaconi di Tranquirit (un sedativo), uno dei quali era completamente vuoto mentre l’altro solo a metà. La relazione autoptica e quella tossicologica attestarono che nel sangue e nelle urine di Attilio erano presenti tracce di un rilevante quantitativo del principio attivo contenuto nell’eroina, di un consistente quantitativo di Diazepam, principio attivo contenuto nel sedativo Tranquirit, e di sostanza alcolica.
La causa della morte di Attilio Manca è stata così ricondotta all’effetto di quelle tre sostanze che provocarono l’arresto cardio-circolatorio e l’edema polmonare. Dopodichè sul suo corpo erano visibili, al braccio sinistro, due segni di iniezioni (corrispondenti quindi alle due siringhe ritrovate): una al polso ed una all’avambraccio. Su tutto il resto del corpo nessuna traccia di altre iniezioni, recenti o datate. Tuttavia Attilio era un mancino puro.
E tutti coloro che lo hanno conosciuto sanno che aveva scarsissima praticità con la mano destra. Inoltre i suoi colleghi e amici frequentati nell’ultimo anno di vita, sentiti come testimoni nell’immediatezza, hanno dichiarato che era da escludersi che Attilio assumesse sostanze stupefacenti e che avesse ragioni per suicidarsi. Infine nella casa ci sono impronte che non sono state ancora attribuite, così come nessuno ha mai verificato se quelle sulla siringa fossero di mio figlio o qualcun altro.
Perché secondo lei sarebbe stato ucciso?
All’inizio non ne avevamo idea. Poi un nostro conoscente ci ha fatto notare che al funerale di mio figlio c’era tutta la mafia barcellonese e in seguito un’altra persona ci ha posto un quesito: “non è che Attilio ha operato Bernardo Provenzano?”.
Successivamente la conferma da alcune intercettazioni. La prima del mafioso Francesco Pastoia – che poco dopo morirà suicida in carcere – in cui parla di un urologo che ha visitato il superlatitante malato di tumore alla prostata.
Poi la sorella del boss Bisognano, oggi collaboratore di giustizia, che per telefono afferma che i Manca hanno ragione quando parlano di Provenzano.
Infine il procuratore Grasso che durante la trasmissione “Chi l’ha visto?”, mostrando l’identikit di Provenzano, spiegò che nell’ottobre del 2003 il capo della mafia si trovava a Marsiglia.
Lo stesso periodo in cui c’era pure Attilio per assistere, come mi fece sapere per telefono, ad un intervento chirurgico.
Perché la mafia barcellonese avrebbe scelto Attilio per operare Provenzano?
Perché lui e il professor Gerardo Ronzoni, con cui aveva studiato, erano gli unici in Italia a saper operare un tumore alla prostata per via laparoscopica.
E perché Attilio era di Barcellona.
E la mafia barcellonese, oltre a fornire il telecomando per l’attentato al giudice Falcone, ha protetto la latitanza di Provenzano.
I medici del Belcolle cosa le hanno detto?
Molti colleghi di Attilio si sono trasferiti dopo la sua morte.
Altri, come il primario Antonio Rizzotto con cui mio figlio ha lavorato, non hanno mai voluto parlare con noi.
Fu poi la moglie di Rizzotto a fare l’autopsia ad Attilio.
Altri infine non si sono più fatti sentire.
Hanno paura oppure avuto l’ordine di non parlare?
I giudici di Viterbo hanno mai chiesto di sentirvi?
Nessun giudice ci ha mai interrogato.
Abbiamo anche rivolto appelli al procuratore Grasso, senza avere però alcuna risposta.
Perché secondo lei nessuno vi ha interrogato o risposto?
Forse perché le indagini sull’omicidio di Attilio scoperchierebbero il calderone delle complicità nella vicenda della latitanza di Bernardo Provenzano.
Cosa si aspetta?
Sono pessimista, ma spero di sbagliarmi.
Tuttavia mi chiedo: perché il Gip di Viterbo sta impiegando un anno per decidere sull’archiviazione o meno?
Che cosa sta facendo?
Ulteriori e approfondite indagini?
Me lo auguro.
Vuole fare un appello?
Spero che finalmente si arrivi al processo e che vi siano delle persone indagate per quanto accaduto.
Spero che la vicenda che ha causato l’uccisione di mio figlio non sia archiviata e che sia fatta luce.
Spero infine sia fatta giustizia o che quanto meno ci si provi.
Tratto da: Informare per Resistere puubblicato il 17.luglio.2011