Mentre no si spengono i riflettori delle attenzioni, e non solo di quelli che amano il calcio, sulla morte di Totò Schillaci, pubblichiamo le considerazioni di Don Enzo Caruso, parroco di Brolo. Per lui quel Mondiale del 1990 resterà per sempre impresso nella memoria di chi ha vissuto quell’estate irripetibile, fatta di esami di maturità, prime patenti, e serate passate insieme ai compagni di liceo, prima di intraprendere le nostre strade.
Era l’anno delle “notti magiche”, scrive il parroco, ricorda la voce graffiante di Gianna Nannini e l’indimenticabile telecronaca di Bruno Pizzul. Ma soprattutto, era l’anno di Totò Schillaci, che definisce “un eroe improvviso, un simbolo capace di unire un’intera nazione”. Schillaci fece sognare, trascinandoci in un’estate che, seppur non coronata dalla vittoria, ci ha lasciato un dono eterno: la convinzione che, contro ogni pronostico, ogni sogno è possibile. Totò ci ha insegnato a credere, a lottare, a sperare.
il post
Quel mondiale del 1990 resterà nella memoria, in un modo unico, di quelli che hanno la mia età. Fu per noi l’estate più lunga, più bella, quella degli esami di maturità, della patente appena presa, delle serate estive passate insieme ai neo ex-compagni di liceo, prima di prendere ognuno la nostra strada nella vita.
Fu l’anno dei mondiali della nazionale di Azeglio Vicini, delle “notti magiche”, rese ancora più magiche dal maestoso inno e dalla voce graffiante di Gianna Nannini e dalla voce indimenticabile del telecronista Bruno Pizzul.
Certo, ricordiamo anche i mondiali dell’82, quelli da brividi di Paolo Rossi ma eravamo appena ragazzini. Nel ’90 eravamo già diciottenni. Era l’età in cui il mondo si distendeva tutto davanti a noi, con la forza dei nostri sogni. Volevamo conquistare il mondo, ma avevamo già una prima consapevolezza che non sarebbe stato come per i nostri genitori.
Quell’estate, in quel mondiale, improvvisamente, esplose la nazionale, trascinata da un irresistibile Totò Schillaci. I giornali avrebbero detto che quelli suoi erano “gol-rapina”. E fu così. Era qualcosa di diverso dal gol indimenticabile di Maradona contro l’Inghilterra nei mondiali dell’86. Con Totò stava succedendo qualcosa di nuovo, che non ci aspettavamo. Fu come una tempesta.
Con Totò tutto era questione di un attimo. E se ti distraevi perdevi tutto. La sua capacità era quella di rapinare, letteralmente, la palla agli avversari e lanciarla come un missile in porta. I portieri non capivano cosa li stesse colpendo. Di partita in partita ci rendemmo conto che qualcosa di incredibile stava succedendo.
Man mano che si procedeva, le nostre serate passavano nei bar, davanti agli schermi giganti posizionati nelle piazze. Lì facevamo cena e poi lo spuntino, aspettando anche un’ora per l’inizio della partita, in attesa del prossimo gol di Schillaci. Eravamo davvero convinti di potercela fare. Vedevamo già le coppa in mano a Totò. Fu la rivelazione che pose un incantesimo sull’intera nazione. Era semplicemente irresistibile.
Quei mondiali li perdemmo. Il dolore fu grande ma oggi, guardando indietro a un mondiale che fu giocato ben 34 anni fa (!), mi rendo conto che il miracolo di Totò fu più grande dei suoi gol. Più di Paolo Rossi nell’82, forse più di altri campioni del passato.
Totò Schillaci, senza saperlo, era riuscito a unire una intera nazione che aveva finito di consumare uno stato di felicità e spensieratezza durato alcuni decenni nel dopo guerra e che stava entrando, senza averne ancora la consapevolezza, nella prima fase di quello che poi risultò essere l’inesorabile declino, a tutti livelli, della nazione. In quel momento, per noi che vivevamo l’età più bella, non esistevano più le becere rivalità calcistiche. Non c’erano più juventini, milanisti, interisti. Con Totò eravamo italiani.
Totò, con i suoi gol-rapina, ci stava insegnando che ogni sogno era possibile, che quando tutti i pronostici sono contrari, se ci credi, se sei disposto a buttarti a testa in avanti in mezzo ai leoni, se sei disposto a rischiare, se hai l’energia di una pantera, prima o poi la vita ti fa arrivare in testa o tra i piedi quel pallone e tu devi fare una sola cosa: raccogliere tutte le forze, prendere bene la mira e lanciare quel missile verso la porta. E anche se non porterai a casa la coppa nascerà ugualmente un miracolo. La vita è così. Non è fatta solo di coppe e trofei.
Quella notte della sconfitta fummo in pochi a non piangere. Il silenzio fu di ghiaccio. Lunghissimo. I nostri mondiali erano finiti. Passato il tempo dei rimpianti, prendevamo coscienza che nella vita tutto è possibile. E quella lezione ce la regalò Totò Schillaci. Di quei mondiali si parla ancora, dopo tanti anni, perché quelle furono davvero notti magiche, più ancora di quando portammo di nuovo a casa la coppa, nel 2006. Strano che di quei mondiali non si parla con lo stesso cuore in gola. Quella volta ci fu tutta l’esultanza, sì, ma non c’era la stessa magia. Eravamo di nuovo in cima al mondo, ma l’Italia era una nazione che aveva già smesso di sognare.
Delle lunghe notti del 1990 ricordiamo perfino le voci di chi era accanto a noi e persino gli odori. Totò era uno di noi, non si dava le arie di un dio del calcio, era lo specchio di una Italia che credeva ancora in sé stessa.
Qualche anno dopo, nel 1994, scoppiava Tangentopoli. Scoprimmo, come ipocriti, che l’Italia era dotata di una delle reti di corruzione più sofisticate e articolate al mondo. Finiva la Prima Repubblica. Finiva il grande sogno italiano.
Ma quelle notti magiche del mondiale del ’90 sono il regalo che Totò Schillaci ci lasciò. Ed è un regalo che forse dovremmo saper apprezzare al di là del suo valore calcistico.
Grazie, Totò.
Riposa in pace!