Perché di cose strane nella morte di Attilio Manca, l’urologo di Barcellona specializzatosi alla Cattolica di Roma e poi a Parigi dove apprende una tecnica particolarissima di operazione alla prostata in laparoscopia, il primo passo verso la sua fine, anche se ovviamente non poteva saperlo, ce ne sono davvero tante.
A partire dal fatto che resta ancora da capire come un mancino possa iniettarsi non una, ma due dosi letali di sostanze stupefacenti nel braccio sinistro.
Come una caduta sul materasso gli possa avere rotto il setto nasale. Come un’impronta possa resistere 2 mesi in un bagno. Come si tenti in ogni modo di far archiviare il caso, che solo grazie all’ostinazione della famiglia resta ancora aperto. Come sia possibile che solo a otto anni di distanza il Pubblico Ministero Petroselli chieda di esaminare le due siringhe recuperate accanto al corpo. Roba che neanche la squadra di CSI potrebbe riuscire dopo tutto questo tempo a trovare qualcosa.
Con la forza di chi non si arrenderà mai fino a quando la verità gridata diventerà anche una verità ufficiale, la madre ed il fratello di Attilio, Angela e Gianluca, ripercorrono gli ultimi giorni prima del suo omicidio, ché di questo si tratta.
“Lui -ricorda la madre- è stato il primo a portare questo intervento in Italia (l’operazione della prostata in laparoscopia, ndr), credo uno dei primi ad eseguirlo al Gemelli di Roma.
Ed è stata proprio questa sua specializzazione a portarlo alla morte, perché molto probabilmente è stato lui ad operare il mafioso Bernardo Provenzano in un ospedale di Marsiglia”.
Non il boss o il capo dei capi.
Il mafioso, perché questo è uno come Provenzano. Un mafioso e nient’altro.
“E questa è più che un’ipotesi -interviene Gianluca, che è avvocato- almeno per quanto riguarda l’intervento o la visita fatti a Provenzano. Ci sono accertamenti che dicono che Provenzano sia stato visitato o addirittura operato da un urologo siciliano con quel tipo di intervento. E qui il campo si restringe, perché allora lo eseguivano pochissimi in Italia, si contavano sulle dita di una mano. Abbiamo chiesto più volte al procuratore Grasso, visto che il campo si restringeva ad un urologo siciliano, di poter capire grazie ai loro mezzi e strumenti, che sono superiori a quelli di Procure decentrate come Viterbo o Messina, chi potesse essere l’urologo siciliano che ha operato Provenzano di tumore alla prostata. Ma nonostante i potenti mezzi del Procuratore Grasso non si è ancora saputo nulla”.
Passato il primissimo periodo dello stordimento, a mettere la pulce nell’orecchio della famiglia che troppe cose non quadravano è stato anche il comportamento di Attilio Manca nei giorni precedenti la morte.
“Nell’ultimo periodo non era come al solito – racconta Angela Manca. Lui aveva un carattere molto allegro, estroverso.
Mentre nell’ultimo periodo faceva delle telefonate molto brevi e nello stesso tempo sfuggenti, senza entrare nei particolari di quello che aveva fatto, della sua vita, della sua quotidianità.
Una decina di giorni prima della sua morte ci telefonò alle 7 del mattino per chiederci informazioni di un certo Porcino, che doveva andare da lui per dei consigli.
Mio marito non sapeva che questo Porcino era un delinquente ed era già stato condannato per estorsione ed altro e gli ha detto che era una brava persona.
Però ci siamo meravigliati, perché era la prima volta che Attilio chiamava a quell’ora.
disse e questa è la prima cosa strana.
La seconda cosa strana era l’atteggiamento scostante.
Ed inconsueta è stata l’ultima telefonata, l’11 febbraio alle 9.30 del mattino, fatta sparire dai tabulati non so da chi.
Mi chiedeva di far riparare la moto che teneva nella casa al mare di Tonnarella.
Una richiesta strana dato il periodo, perché era l’11 febbraio e lui la moto l’avrebbe usata solo in agosto.
Io gli chiesi <
Rispose che non lo sapeva e mi ha lasciato in modo brusco.
Ecco, anche quella è stata un’altra telefonata strana. Secondo me con quella telefonata lui mi ha voluto mandare un messaggio, I suoi colleghi mi hanno detto che la sera prima di morire lui era molto preoccupato. Lo si capiva dalle continue telefonate, dalle richieste che faceva agli altri. Con quella telefonata mi ha voluto dire <
E il filo che lega suo malgrado Attilio al mafioso Provenzano diventa sempre più forte.
“Una settimana dopo la morte di Attilio – continua la madre dell’urologo – il papà di un suo carissimo amico ci ha parlato di Provenzano.
Quando noi stavamo impazzendo, quando ci domandavamo perché fosse morto, chi e perché lo aveva ucciso lui ci dice <
E dopo un anno io mi sono ricordata delle sue parole. Perché dopo un anno? Perché ho letto sulla Gazzetta del Sud che Francesco Pastoia, quel mafioso che poi si è suicidato, o l’hanno suicidato perché è una prassi, ha detto che un urologo ha visitato Provenzano nel suo rifugio.
A quel punto ho pensato che allora un anno prima avrei dovuto cercare questa pista.
E dico io perché le istituzioni quando si indaga su un delitto di mafia, soprattutto se dietro c’è un delitto di Stato, non indagano, non vogliono che si arrivi alla verità. Parlo di delitto di Stato perché dietro la latitanza di Provenzano c’è sicuramente lo Stato. Una persona che è latitante per 43 anni, che gira per le strade di Roma, che si nasconde a Roma dove Ciancimino lo andava tranquillamente a trovare a piazza di Spagna, che ha la carta di identità falsa, che va a Marsiglia, non poteva non avere delle grossissime protezioni”.
“Anche a Messina non poteva non avere delle protezioni – aggiunge Gianluca Manca. Anche perché non dimentichiamo che Provenzano è stato nascosto sia a Portorosa, che è un centro vicino a dove noi abbiamo la residenza estiva e dove si trovava la moto della quale poco fa ha parlato mia madre, che in un convento a Barcellona. Dal quale tutti i preti sono stati trasferiti all’indomani del trasloco di Provenzano da quel convento”.
Ma la mappa dei rifugi messi a disposizione dei mafiosi è piuttosto ampia. Tanto che per Provenzano si parla anche di Castanea, villaggio della cintura comunale messinese, mentre la provincia peloritana ha dato ospitalità anche Totò Riina, a Gerlando Alberti junior, che ha voluto la morte di Graziella Campagna, uccisa a 17 anni per un’agendina che non avrebbe dovuto vedere, a Nitto Santapaola a Barcellona. Una presenta che ha portato alla morte del giornalista Beppe Alfano.
“Dal passaggio di un latitante purtroppo emerge sempre un assassinio – commenta Gianluca. Al passaggio di Provenzano è toccato ad Attilio.
Le istituzioni del messinese invece di stare a guardare la tragedia che si è consumata sia a Barcellona che all’interno della mia famiglia, avrebbero dovuto cercare insieme a noi la verità.
Io punto il dito anche nei confronti del Procuratore Generale Franco Antonio Cassata, che è stato diffidato dall’Associazione Nazionale Antimafia presieduta da Sonia Alfano dal fare conferenze in merito alla pubblicazione del libro su mio fratello.
Libro pubblicato dopo mille difficoltà solo di recente e Cassata ha reagito con una citazione a giudizio, avviando un processo civile per diffamazione.
Ha chiesto un risarcimento molto alto all’editore e la cosa strana è che essendo lui un Procuratore Generale, e quindi un alto conoscitore del diritto penale, avrebbe dovuto sapere che una denuncia per diffamazione si sarebbe dovuta presentare in sede penale e non civile per avere risarcimento danni.
Come mai lui, che è un Procuratore Generale, ha scelto la via più semplice? Che però scoraggerà altri editori dal pubblicare libri su Barcellona e sulle istituzioni deviate di Barcellona”.
E come spesso capita quando si parla Barcellona, salta fuori l’associazione Corda fratres. “Un’associazione pseudo culturale paramassonica (e questo non lo dico io, basta cercare e si troverà tutto quello che è stato detto e fatto al suo interno. Dove peraltro risultavano iscritti quando era presidente dell’associazione il Procuratore Cassata anche Saro Cattafi, cui il GICO di Bari ha sequestrato beni per 10 milioni, e Giuseppe Gullotti, che attualmente è detenuto in quanto killer di Beppe Alfano. Ma oltre a questi due esponenti abbastanza strani, dobbiamo ricordare anche che il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca risultava iscritto nello stesso periodi in cui lo erano Gullotti e Cattafi”.
A riportare il discorso sulle stranezze che circondano la morte di Attilio Manca ci pensa la madre, che sottolinea come chi non lo conosce lo fa morire apparentemente per overdose, ma al braccio sbagliato. “Della sua morte lo abbiamo saputo solo il giorno dopo -spiega. Ci hanno ingannato dal primo momento, perché ci hanno detto che era morto per aneurisma.
Siamo partiti subito per Viterbo, dove non ce lo hanno fatto vedere.
E non ce lo hanno fatto vedere il primario di Urologia, il professor Rizzotto, e Ugo Manca, un nostro cugino, che si è precipitato a Viterbo non appena ha saputo della sua morte.
Insistevano che era meglio che ce lo ricordassimo come era da vivo, perché aveva il viso completamente deformato: cadendo sul telecomando posato sul letto si era provocato una deformazione del setto nasale tale da renderlo irriconoscibile.
Il professore Rizzotto ci ha detto che era stata una morte fulminante per aneurisma, che era morto in piedi e che era caduto di botto, di peso e sbattendo con violenza. L’inganno è stato totale”.
“Ma tutto questo – puntualizza Gianluca Manca- è stato smentito da stesso esame autoptico. Ma il telecomando è stato trovato sull’avambraccio sinistro sul quale erano evidenti i segni della pressione esercitata dall’oggetto. Quindi Attilio come si è rotto il naso se è caduto su materasso? Inoltre, un tecnico chiamato dalla stessa Procura per eseguire una perizia su alcune impronte trovate nell’abitazione di Viterbo di Attilio, ha stabilito che ci sono delle impronte che non sono sue e che non hanno né un nome né un cognome.
Ma c’è l’impronta del palmo di una mano individuata in bagno sopra il water, dove c’è la cassetta dell’acqua, che un nome ed un cognome ce l’ha perché appartiene con assoluta certezza ad Ugo Manca.
Che è stato sentito in merito a questa impronta ed ha dichiarato di essere stato a casa di Attilio tra il 13 ed il 15 dicembre 2003.
Ma quell’ultimo Natale a casa mio fratello ci siamo stati anche noi ed alcuni amici che avevano cenato con lui alcune settimane prima che morisse.
Le nostre impronte e quelle degli non sono state trovate. Invece, come il perito ha precisato con assoluta certezza, l’impronta rinvenuta è di Ugo Manca, che ha resistito per due mesi.
Quindi, o Manca ha mentito ed è stato a casa di mio fratello una seconda volta oppure dovrebbe essere sentito di nuovo dal Pubblico Ministero per capire come siano andate le cose.
E mi preme chiarire che il caso di Attilio non si può comprendere se non si conosce la realtà di Barcellona. Il Procuratore Guido Lo Forte, disse tempo addietro su “S”, un magazine, che così come Corleone stava a Palermo per interessi economici imprenditoriali e mafiosi, adesso Barcellona sta a Messina”.
Anche se non lo dice con chiarezza, il dramma di Angela è quello di non avere compreso cosa stesse succedendo al figlio nell’ultimo periodo della sua vita.
“La prima ipotesi è stata quella dell’aneurisma – ricorda ancora.
Poi viene fuori che lui si drogasse. Io questa versione che Attilio fosse un drogato l’ho sentita qualche giorno dopo la sua morte a Bercellona.
Perché l’ho sentita?
Perché dopo 2-3 giorni abbiamo saputo che Attilio era morto per overdose.
Tutta Barcellona lo sapeva, tutta, tranne noi genitori, che siamo stati gli ultimi.
Abbiamo iniziato a chiederci chi avesse diffuso questa voce.
Alcune persone ci hanno detto che le voci erano uscite dal solito circolo barcellonese che io preferisco non nominare e dove si diceva che era drogato e che era morto per overdose.
Ma noi ci siamo interrogati su queste cose.
Poi ci ha chiamato la polizia di Barcellona, che ci ha detto <
Ma perché due? Era impazzito, si voleva suicidare?
Se anche uno impazzisce e decide di morire per overdose, se ne fa una, non se ne fa due.
Nel braccio sbagliato e due per giunta. Avevamo capito che si trattava di un omicidio, ma così abbiamo avuto la conferma. Avevamo capito che c’entrava la mafia di Barcellona, avevamo capito l’intreccio e l’inganno, ma non capivamo il motivo”.
“Vorrei tornare su 2 buchi – riprende il fratello. Mia madre parla con il cuore di una mamma, io invece vorrei sottolineare quello che c’è all’interno del fascicolo della Procura di Viterbo.
Dall’esame autoptico della dottoressa che ha sottoposto ad indagine il corpo di Attilio sottoscrive che mio fratello non aveva buchi né recenti né datati.
Ci sono soltanto quei 2 buchi maledetti che lo hanno portato alla morte. In pratica, in 24 ore è diventato un drogato ed è morto di overdose. Inoltre, tutti i medici e paramedici che lavoravano con lui e che sono stati interrogati hanno escluso con certezza di averlo mai visto strano o comunque che potesse far uso di sostanze stupefacenti.
Non solo se ne sarebbero accorti, ma soprattutto Attilio partecipava per ore ed ore adinterventi di una certa delicatezza, per i quali è necessaria una mente serena e pacata. Lo stesso primario ha escluso categoricamente non solo che potesse fare uso di stupefacenti ma anche di farmaci, perché Attilio era contrario ad assumerli e sosteneva che il decorso delle proprie malattie dovesse essere naturale. Questa è una storia complicata, più volte si è tentato di chiudere caso.
Le richieste di archiviazione sono state due. Non so cosa giustifichi questa fretta. Inizialmente pensavo che il Pubblico Ministero Renzo Petroselli potesse avere poca dimestichezza con gli omicidi.
Ma è anziano, non è alle prime armi e ha con quasi 30 anni di esperienza alle spalle, sa il fatto suo.
Scartata l’ipotesi della poca esperienza, mi è venuta in mente che la causa potesse essere la superficialità, ma anche in questo caso mi sono scontrato con la realtà.
Un Pubblico ministero non può essere superficiale, farebbe altro. Mi è venuta in mente la terza ipotesi, che non voglio dire perché sarebbe troppo brutta da pensare. Anche a me stesso fa male pensarla e per questo la scarto. Fate voi”.
Ma Angela non si limita a lottare in Tribunale. “Mi sono iscritta su facebook per entrare in contatto con tantissimi giovani e per far conoscere a più persone possibili il caso di Attilio. Non sono ancora riuscita ad ottenere la verità giuridica, ma essere stata capace di far conoscere Attilio a tantissime persone in Italia mi dà un senso di serenità, perché quando io sarò morta lui sarà ricordato. Non è più come prima, non è un nome sconosciuto. Tanti gli vogliono bene. Molte persone mi dicono <
Effettivamente, leggendo il fascicolo la verità è tutta lì, ma c’è qualcuno che ha messo un muro.
Una volta ero al cimitero e si è avvicinata una persona che io sapevo molto vicina alla mafia, che mi ha detto che la verità su Attilio non l’avremmo mai saputa.
Era quella che denunciavamo, ma non l’avremmo mai saputa perché hanno messo una catena.
La stessa cosa mi ha detto un maresciallo anziano: <
E se in questa vicenda ci può essere un lato positivo è la rete di solidarietà scattata con i familiari delle altre vittime della mafia.
“Con la moglie di Adolfo Parmaliana -dichiara Angela- si è instaurato un bellissimo rapporto, anche perché la lotta è comune. Ci sentiamo spesso per decidere, per lavorare insieme, per aiutarci.
Lo stesso con Piero Campagna, con Sonia Alfano. Tra noi si è creata una complicità bellissima e ci diamo forza gli uni con gli altri.
Se ognuno di noi cercasse di fare la propria parte come dice Don Ciotti, ed il noi è importante in questa lotta, riusciremo a sfondare questo muso di gomma e ad ottenere la verità e la giustizia che cerchiamo”.
“Attilio amava la musica, andare sullo skateboard, a teatro, al cinema a mangiare la pizza -conclude Gianluca. Quello che è successo a noi ed ha stravolto la nostra famiglia, potrebbe capitare ad altre persone della provincia di Messina, in particolare Barcellona. Ai giovani dico di aprire gli occhi, di guardarsi, di stare attenti, di non giustificare amicizie da non frequentare di cui già intuitivamente si sa che non sono corrette, che non sono buone.
Perché frequentarle potrebbe portare alla morte, al pericolo.
Mio fratello era un’anima nobile, raffinata, sensibile che non doveva essere uccisa. E mi auguro che con la morte di Attilio si chiuda quel cerchio maledetto che si è instaurato a Barcellona da più di un ventennio”.