In un suo verso, Rilke scrive che “Lo scopo della vita è fallire in imprese sempre più grandi”. Probabilmente, è l’espressione che meglio permette di avvicinarsi all’essenza di “Tutto su mia madre”, spettacolo teatrale in scena al teatro Vittorio Emanuele di Messina ed ispirato al pluripremiato capolavoro di Pedro Almodovar.
Un’operazione indubbiamente complessa, quella di trasporre sul palcoscenico le scene cinematografiche, l’intreccio di storie ed emozioni, gli aspetti ilari e quelli più crudi di realtà “al margine”. Come sostiene Rilke, trovare un obiettivo alla vita, vuol dire profondersi nelle imprese più grandi. Queste, il più delle volte, coincidono con le questioni dei sentimenti umani: è qui che il fallimento può diventare distruttivo.
“Tutto su mia madre” è il racconto crudo di vite che hanno oltrepassato il confine dell’ordinario, che hanno storie anticonvenzionali, ma dai sentimenti comuni. La figura di Manuela ne rappresenta il fulcro: lei, così addolorata per gli sconvolgimenti della vita, di un amore lontano, perduto chissà dove, lei così madre, così protettiva nei confronti del figlio che vive l’ansia di sapere, di cercare quel volto di padre stracciato via da ogni foto. Manuela è l’amore di una madre che sbaglia nel celare il passato ed alla quale non è dato tempo di recuperare il tempo sprecato a nascondere ed a nascondersi verità. Il presente le lascia solo il diario del figlio, con la sua profonda delusione, il suo desiderio di divenire scrittore e quello di veder recitare su un palcoscenico la madre. Manuela è la figura che unisce tutte le donne protagoniste della narrazione.
Quest’ultima scorre più lentamente, rispetto al film, ma non appesantisce, non stanca.
Le emozioni di Uma, attrice preda di un amore travolgente per una donna molto più giovane di lei, perduta coma lei, la personalità di Agrado e delle vicende tragicomiche della sua vita, lo smarrimento ed al contempo l’ottimismo di chi crede nell’esistenza di un amore assoluto della giovane suor Rosa, arrivano leggere e pregne di significato che emoziona lo spettatore.
“Tutto su mia madre”, del resto, racconta emozioni forti perché estremamente forti sono le tematiche trattate: i tradimenti, le profonde solitudini, gli abbandoni, l’aids e la morte.
Uno spettacolo, dunque, tanto complesso quanto riuscito. La poeticità struggente di Almodovar nel raccontare questi mondi “marginali”, di un’umanità sofferente e smarrita, si ricompone tutta una volta che si apre il sipario. Lascia la commozione quando si cala.
Quel che resta, come Agrado afferma nel suo meraviglioso monologo, è l’autenticità di queste vite, anche nel loro fallimento.
Forse, soprattutto in esso.
foto di Max Majola