E’ lunghissimo l’elenco dei cronisti di guerra morti in questo ultimi 15 anni nei vari campi di battaglia, in tutto il mondo e Simone non sarà certo l’ultimo e noi qui vogliamo ricoradre un amico Almerigo Grilz, primo ucciso dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Lui è morto in Mozambico come corrispondente della Albatross Press Agency che avevo fondato nel 1983 insieme con Fausto Biloslavo e Gian Micalessin.
All’alba del 19 maggio 1987, il 34enne – dalla fine degli Anni 70 aveva documentato i territori più caldi del mondo dal Libano alla Birmania, passando da Cambogia, Iran, Iraq e Afghanistan – fu colpito da una pallottola alla testa mentre stava filmando un attacco nella città di Caia.
Veniva spesso in Sicilia a far politica, a Capo d’Orlando, amico di tanti, di Renato Lo Presti, per esempio.. aveva coraggio, un osso duro e a Trieste dove viveva militava nel Fronte della Gioventù.
Ma tornando alla cronaca.
Il 15 luglio scorso la freelance Barbara Schiavulli ha scritto che il giornalismo è una professione, come fare il medico, come fare l’avvocato o l’idraulico, ma con qualche rischio in più.
Dal 1987 sono tanti i giornalisti italiani morti svolgendo il loro lavoro in zone di guerra o guerriglia.
Ci ricorda Mimmo Candido su la Stampa, che fu in Crimea che nacque il giornalista di guerra, nel 1854, mentre Ighilterra e Francia (e Impero Ottomano) stavano combattendo contro l’impero zarista, trascinandosi senza grandi risultati militari, pur se con un forte dispendio di vite umane e di risorse economiche.
Fu per questo che il premier inglese convocò a Westminster il direttore del “Times” e gli rivolse un invito: “Le parlo a nome della Corona, preoccupata per i costi crescenti di questo conflitto e però, anche, per la poca attenzione che la nostra società sta dando allo sforzo del paese.
La Corona le chiede di inviare in Crimea uno dei suoi migliori giornalisti, perché il suo racconto dell’eroismo dei nostri soldati – che stanno combattendo in un terreno difficile e assai rischioso – possa trovare eco nel pubblico inglese e suscitare quella partecipazione e quell’entusiasmo che finora sono mancati”.
Il risultato, si sa, fu l’illogica ed eroica carica dei 600, emblama poetico e cinematografico del fatto che ogni guerra è fatta di avvenimenti dove retorica ed epica stravolgono le dimensioni della realtà, ma che, grazie ai cronisti che ne descrivono impietosamente i costi umani, le deficienze militari, la disperazione dei sopravvissuti, l’angoscia di scelte di cui spesso non si riconosce alcuna razionalità, è di fatto la follia più assurda per possa prendere l’uomo.
Quella dei giornalisti che hanno perso la vita nelle zone di guerra ha ormai assunto i contorni della strage.
Confermata dai numeri dell’organizzazione indipendente Committee to protect journalists (Cpj).
Dal 1992, anno d’inizio delle rilevazioni, sono 1.068 i reporter uccisi in zone di conflitto.
DRAMMA CAMILLI A GAZA.
L’ultimo italiano a morire, mercoledì 13 agosto, è stato Simone Camilli il reporter che lavorava per l’Associated Press nella Striscia di Gaza: il 35enne romano è stato coinvolto nell’esplosione di un missile sganciato da un F16 israeliano e rimasto sul terreno a Beit Lahiya: alcuni artificieri avevano provato a disinnescare l’ordigno, quando è esploso improvvisamente, uccidendo nel complesso sei persone.
ROCCHELLI UCCISO IN UCRAINA.
Prima di Camilli, a maggio era stata la volta di Andrea Rocchelli, ucciso da alcuni colpi di mortaio in un villaggio vicino a Slaviansk, nell’Ucraina dell’Est, dove sono in corso combattimenti tra i miliziani filorussi e i soldati di Kiev.
In quell’occasione morì anche Andrey Mironov, giornalista e attivista per i diritti umani e a sua volta in prima linea per documentare il fronte caldo del Paese.
NEL 2014 GIÀ 30 MORTI.
Dall’inizio del 2014, stando alle statistiche del Cpj, sono già 30 i reporter che hanno perso la vita. I Paesi più pericolosi per i reporter, secondo l’organizzazione no-profit, sono Siria (cinque morti), Ucraina (quattro), Israele e Gaza (quattro) e Iraq (3).
Nel 2013, invece, secondo i dati di Reporter senza frontiere (Rsf), sono stati 71 i giornalisti morti in aree di conflitto, di cui il 40% negli scontri in Siria, Somalia, Mali, nelle province dello Chhattisgarh (India), Belucistan (Pakistan) e Daghestan (Russia).
Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, il primo italiano inviato di guerra a morire è stato Almerigo Grilz, al lavoro in Mozambico come corrispondente della Albatross Press Agency che avevo fondato nel 1983 insieme con Fausto Biloslavo e Gian Micalessin.
All’alba del 19 maggio 1987, il 34enne – dalla fine degli Anni 70 aveva documentato i territori più caldi del mondo dal Libano alla Birmania, passando da Cambogia, Iran, Iraq e Afghanistan – fu colpito da una pallottola alla testa mentre stava filmando un attacco nella città di Caia.
LUCCHETTA IN BOSNIA. Il 1994 fu, invece, un anno drammatico: a gennaio in Bosnia a Mostar persero la vita tre inviati della Rai, il giornalista Marco Luchetta, e gli operatori Alessandro Ota e Dario D’Angelo.
I tre erano impegnati a realizzare un servizio su alcuni bimbi ricoverati in ospedale: una granata, lanciata dalle linee croato-bosniache, li colpì mentre stavano filmando un giovanissimo che sotto le bombe giocava in strada.
IL MISTERO DI ILARIA ALPI. Pochi mesi dopo fu la volta della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore triestino Miran Hrovatin. La brutale uccisione dei due avvenne in Somalia il 20 marzo 1994: un gruppo di somali costrinse l’auto su cui viaggiavano i giornalisti a fermarsi e fece fuoco su Alpi e Hrovatin.
Per il duplice omicidio la giustizia italiana ha condannato Hashi Omar Hassan, che da anni si trova in carcere anche se il suo principale accusatore ha ammesso di aver mentito.
GIALLO DIETRO L’OMICIDIO. Il processo, infatti, non ha chiarito i dubbi della vicenda: secondo molti l’uccisione fu un’esecuzione preordinata affinché i due non potessero raccontare quello che avevano scoperto sul traffico di armi. E anche le rivelazioni degli atti appena desecretati dal governo sembrerebbero andare verso questa direzione.
PALMISANO A MOGADISCIO. Sempre in Somalia il nuovo lutto che colpì la stampa italiana arrivò a febbraio 1995.
A Mogadiscio il convoglio con la giornalista del Tg2 Carmen Lasorella accompagnata dall’operatore Marcello Palmisano fu coinvolto in una sparatoria tra la scorta dei reporter e un gruppo di miliziani armati.
Dalle ricostruzioni si apprese che Palmisano venne colpito mentre la macchina dei giornalisti prese fuoco: Lasorella si salvò riportando una leggera ferita, ma il corpo del 55enne venne ritrovato semicarbonizzato.
KOSOVO TOMBA DI GRUENER. Nel 1999 le brutte notizie arrivarono dal Kosovo. Qui, il 13 giugno alcuni cecchini presero di mira il giornalista italiano di lingua tedesca Gabriel Gruener, che morì sotto i colpi dei tiratori scelti, mentre era inviato per il settimanale tedesco Stern. Quel giorno morì anche il collega tedesco del 35enne Volker Kraemer.
Neppure l’inizio del terzo millennio ha posto un freno alle morti dei giornalisti italiani.
Tiblisi, capitale della Georgia, si rivelò fatale per Antonio Russo, inviato di Radio radicale che il 16 ottobre 2000 stava documentando la pulizia etnica a Pristina.
Il 40enne era nell’area del Caucaso da luglio e stava seguendo l’evolversi della guerra in Cecenia: fu l’ultimo giornalista occidentale a fornire documenti di quanto stava accadendo nella zona. Fu trovato morto nei pressi di una base militare.
CUTULI IN AFGHANISTAN. Tra le montagne dell’Afghanistan il 19 novembre 2001 mentre stavano percorrendo la strada che da Jalalabad porta a Kabul – a circa 40 chilometri dalla capitale – venne assassinata a colpi di Ak47 l’inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli. La giornalista era da un mese in Afghanistan ed era riuscita anche a introdursi nei covi di al Qaeda distrutti dalle bombe americane.
Per far luce sul tragico episodio sono stati istituiti due processi, uno in Italia e l’altro in Afghanistan: quest’ultimo procedimento ha portato alla pena capitale per tre persone.
SPARI FATALI PER CIRIELLO. Il 13 marzo 2002 il fotoreporter freelance Raffaele Ciriello venne stroncato da una raffica di proiettili israeliani a Ramallah, mentre stava documentando gli scontri.
Appassionato di fotogiornalismo in zone di guerra, Ciriello aveva realizzato servizi in diverse parti del mondo: dal Libano all’Afghanistan, dal Ruanda al Kosovo, dall’Eritrea alla Palestina.
L’inchiesta sulla sua morte aperta nel 2002 dalla procura di Milano è stata contraddistinta dall’opposizione di Tel Aviv che s’è rifiutata di identificare i soldati che fecero partire la raffica di proiettili che colpirono Ciriello.
BALDONI RAPITO E UCCISO. In Iraq perse la vita Enzo Baldoni. Entrato nel Paese come giornalista freelance venne rapito a Najaf, a circa 160 chilometri da Baghdad, il 21 agosto 2004 dall’Esercito islamico dell’Iraq: il reporter era nelle mani di un’organizzazione di fondamentalisti musulmani legata ad al Qaeda.
I rapitori di Baldoni posero un ultimatum all’Italia per ritirare le truppe in 48 ore: l’uomo venne ucciso in un luogo mai accertato e solo nell’aprile 2010 i suoi resti fecero ritorno in Italia.
POLENGHI IN THAILANDIA. Infine, nel 2010 è stato ucciso il fotoreporter Fabio Polenghi.
Era il 19 maggio e il 48enne si trovava a Bangkok quando fu raggiunto da un proiettile in dotazione alle forze armate della Thailandia sparato dalla parte in cui i militari avanzavano per contenere le camicie rosse.
E la lista di certo si allungherà ancora….