Tra le definizioni cucite addosso ad Almerigo Grilz, quella di Fausto Biloslavo, suo amico fraterno e collega di mille avventure, lo rappresenta come meglio non si potrebbe.
Le peggiori? Spia, per uno che non ha mai avuto il timore di metterci la faccia.
Trafficante d’armi, a lui che odiava chi, pur dichiarandosi cattolico, si arricchiva con le guerre.
Mercenario, come sentenziò l’ineffabile “Repubblica”, anch’essa in prima linea, sì, ma sul fronte della mistificazione.
Per il quotidiano di Scalfari il giornalista trentaquattrenne colpito alla nuca il 19 maggio 1987 mentre filmava un assalto dei ribelli del Mozambico a Caya, città sullo Zambesi presidiata dai soldati del governo di Maputo, rimaneva un «attivista fascista morto in Angola».
Particolare trascurabile, che i servizi di Grilz e dell’Albatros – l’agenzia giornalistica fondata con altri due ragazzi di destra, Biloslavo e Gian Micalessin – venissero passati dalle più importanti emittenti televisive e testate giornalistiche del mondo, tanto che persino l’americana Cbs aveva deciso di raccontare la lotta dei mujaheddin contro le truppe dell’Armata rossa utilizzando il lavoro sul campo dei tre giovani triestini.
Ma cìè di più – come scrive http://www.nuovaalabarda.org parlando di Almerigo “e che non basta essere morti prematuramente per morte violenta per cancellare tutto il resto, né ribadire che Grilz aveva raggiunto la notorietà a Trieste ben prima di diventare giornalista perché era uno dei nomi più frequenti nella cronaca delle aggressioni contro militanti della sinistra negli anni Settanta, – aggiungendo – intendiamo invece chiarire un’altra cosa. Come abbiamo già avuto modo di dire e di scrivere, le situazioni di Marco Lucchetta, Saša Ota, Dario D’Angelo e Miran Hrovatin da una parte e Grilz dall’altra sono del tutto diverse. I primi tre sono morti mentre stavano svolgendo un servizio pubblico per conto della televisione pubblica italiana, e, cosa non indifferente, hanno dato la loro vita per salvare quella di un bambino dallo scoppio di una bomba. Hrovatin invece è stato ucciso in circostanze mai chiarite in un agguato teso a lui ed alla sua collega Ilaria Alpi mentre si trovavano a svolgere un’inchiesta giornalistica anch’essi per conto della televisione pubblica.
Almerigo Grilz non si trovava in Mozambico a svolgere un servizio pubblico. Grilz, che fu assieme a Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Riccardo Pellicetti, tutti ex militanti di estrema destra, tra i fondatori dell’agenzia di stampa Albatross, specializzata in reportages da zone di guerra, si era unito alle truppe guerrigliere della Renamo per far conoscere la loro “guerra dimenticata”, cioè praticamente fungeva da loro ufficio stampa. Nelle foto che lo ritraggono, infatti, non lo si vede vestito in modo tale da farlo apparire come un giornalista, un cronista imparziale: lo vediamo vestito da guerrigliero, come quelli con cui si trovava.- ed ancora – Ciò che vogliamo dire con questo è che Grilz non merita riconoscimenti pubblici non tanto perché nel suo passato di militante di destra ci sono più ombre di violenza che azioni positive, quanto perché non fu un cronista indipendente che diede la vita per la libertà di informazione, ma rimase sempre un militante anticomunista, motivo per il quale scelse di seguire le sorti della guerriglia della Renamo, e fu come fiancheggiatore di essa che perse la vita.
Queste le cose che andrebbero dette, al di là della retorica delle commemorazioni del “camerata” e del “martire” che ogni anno vengono riprese dai suoi ex sodali, oggi divenuti personalità importanti nella vita politica italiana. E, del resto, a Grilz è già stata intitolata una via a Trieste: l’accanimento di pretendere dall’Associazione della stampa una targa come quella dedicata agli altri giornalisti caduti in servizio sembra solo una ripicca di rivalsa nei confronti di un’opinione pubblica che comunque non dimentica chi fu effettivamente Almerigo Grilz e cosa abbia rappresentato per Trieste”.
Così lo vedono ancora chi è “contro”.. ma per noi Grilz rimane un amico, uno che vedevano alle “feste” dei disocccupati, il primo maggio, sull’Etna, agli attivi del Fronte della Gioventù, anche a Catania, Siracusa, e Capo d’Orlando, che ci raccontava storie, che disegnava fumetti, che parlava di una Trieste italiana.
Certo uno che non si tirava mai indietro.
Aveva una faccia non presentabile, un passato d’attivista, e Almirante lo preferì a Fini … , anche questa è una verità scomoda, a dirigire il Fronte, e lui non faceva parte nè di Linea nè era un rautiniano era un triestino.
Mas per tanti, a non commemorarlo da subito, la colpa imperdonabile di Grilz era l’essere stato tra i massimi dirigenti del Fronte della Gioventù, prima forza politica giovanile nella Trieste degli anni Settanta; l’aver rappresentato, da consigliere comunale del Msi, le sofferenze e le ragioni degli italiani orientali.
Un leader per il quale il salto nella politica nazionale sembrava dietro l’angolo.
Come altri, avrebbe potuto ingannare l’attesa di una candidatura ritagliando agenzie stampa nel caldo tepore di una redazione.
Ma Grilz, già vice segretario nazionale del FdG, scelse – visto che non aveva un’alternativa politica credibile da seguire – di andare a cercare le guerre dimenticate, senza la copertura di una qualsiasi testata e “armato” solo di una cinepresa, la Super 8 con cui s’era impratichito filmando cortei.
Poco più che ventenne – era nato l’11 aprile del 1953 – aveva seguito l’invasione israeliana in Libano – lì aveva amici anche nella famiglia presidenziale ed insieme ad altri giovani camerati sognava anche di andarci a lavorare, fare impresa, creare posti di lavoro – e da allora non si era fermato più.
Dieci mesi l’anno a inseguire conflitti: in Cambogia, sul confine thailandese-birmano, in Afghanistan, nelle Filippine, nel Medio Oriente infiammato dalla guerra tra Iran e Iraq. «Why not?» era il suo motto.
Perché no? Di motivi per non andare, in realtà, ce ne sarebbero stati molti. Scalare montagne a dorso di mulo e rischiare di finire nelle mani dei sovietici non sono esattamente incentivi.
Lo stesso Biloslavo nel 1988 sarà arrestato a Kabul da agenti governativi sovietici e incarcerato per sette mesi.
Paradossale che a scontare il pregiudizio di essere giornalista militante sia Grilz, il cui stile è asciutto e privo di retorica.
Dà voce ai soldati e alla gente comune.
Non infiocchetta verità precostituite.
Non si fa portavoce di una parte. Non ci sono guerre giuste e guerre sbagliate, spiega. «All’inizio di una guerra c’è una parte che ha ragione e una che ha torto – scrive – ma poi arriva il vortice e non ci sono più buoni e cattivi».
Quando, alle quattro del mattino di quel 19 maggio di ormai tanti anni fa, i guerriglieri anticomunisti del Renamo si mettono in marcia, sa che, comunque vada, va incontro all’ennesimo massacro.
Ad aspettarli, qualche ora dopo, troveranno non soltanto i governativi ma anche tanti troppi baschi rossi e una pallottola vagante che Grilz, abituato a filmare in piedi, si prenderà in testa. Della sua morte ne parlarono diffusamente televisioni e giornali in ogni angolo del pianeta. Non altrettanto si fece in Italia, sia pure con rare e lodevoli eccezioni.
Se il nome di Grilz è inciso sul monumento che “Reporters sans frontières” ha dedicato in Normandia a tutti i giornalisti caduti sul campo, da noi continua a creare imbarazzo e ostracismi. Per spezzare l’oblio, i suoi due antichi amici, nel 2007, hanno pubblicato “Gli occhi della guerra”, libro fotografico frutto di venticinque anni di reportage con diversi scatti di Almerigo. Pochi anni prima, nel 2002, un gruppo di amici e colleghi erano stati in Mozambico per scoprire dov’era stato sepolto, realizzando il commuovente documentario “L’albero di Almerigo”.
Un viaggio, quello di Grilz, di sola andata.
Non è un caso, del resto, che Micalessin, per raccontare le “Storie dei soldati italiani caduti nel paese degli aquiloni” abbia scelto come titolo del suo ultimo libro “Afghanistan solo andata” (Cairo Editore).
Di quelle storie senza ritorno, come quella di Grilz, si sa ancora troppo poco.
fonte liberamente adattata da: ww.secoloditalia.it/2012/10/almerigo-grilz-professione-reporter-militante/