A PROPOSITO DI DEPURATORI – Se il servzio è inefficente il cittadino non paga.
Dal Palazzo

A PROPOSITO DI DEPURATORI – Se il servzio è inefficente il cittadino non paga.

I comuni non possono chiedere il pagamento della tariffa richiesta per il servizio di depurazione dell’acqua se sono sforniti dei relativi impianti di depurazione.

E’ quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 12 aprile 2011, n. 8318 con la quale si afferma come, a fronte del pagamento della tariffa, l’utente abbia il diritto di ricevere un complesso di prestazioni consistenti, sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione.

Il caso vedeva l’Istituto Nazionale dei Tumori convenire in giudizio il Comune di Milano, chiedendo che fosse accertata l’illegittimità della tariffa per il canone di depurazione delle acque, per inesistenza del relativo servizio. L’ente territoriale, riferendosi all’art. 14, primo comma, della legge n. 36/1994, sosteneva, al contrario, che la quota tariffaria fosse dovuta anche nell’ipotesi di inesistenza ed inattività di impianti centralizzati di depurazione.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 335 del 2008, ebbe già modo di dichiarare illegittimo l’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.

Il Comune, secondo il giudice nomofilattico, non può nemmeno invocare la legge n. 13/2009, secondo cui i soldi della quota tariffaria, comunque dovuti, sarebbero serviti a finanziare il “Piano di ambito” per la realizzazione dei depuratori. Infatti “non si può obiettare che la corrispettività fra la suddetta quota e il servizio di depurazione sussisterebbe comunque, perché le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del Piano di ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori”.

Ma il “Piano di ambito” non assicura affatto che il depuratore sia costruito proprio nel Comune dove risiede l’utente, piuttosto che in un altro; inoltre, il contribuente ben potrebbe, in un prossimo futuro, trasferirsi altrove, motivo per cui non si comprende perché costui debba pagare in anticipo un servizio di cui potrebbe non usufruire.

(fonte Altalex, 12 maggio 2011. Nota di Simone Marani)


La sentenza

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 15 febbraio – 12 aprile 2011, n. 8318

(Presidente Finocchiaro – Relatore Vivaldi)

Svolgimento del processo

La Fondazione IRCCS – Istituto Nazionale dei Tumori conveniva, davanti al tribunale di Milano, il Comune di Milano chiedendo che fosse accertata l’illegittimità, per inesistenza del relativo servizio, della tariffa per il canone di depurazione delle acque, che lo stesso Comune le aveva addebitato per l’anno 2000.

Si costituiva il Comune di Milano richiamando il disposto dell’art. 14, primo comma L. n. 36 del 1994, che stabiliva la debenza della quota tariffaria contestata anche nell’ipotesi di inesistenza ed inattività di impianti centralizzati di depurazione.

Il Tribunale, con sentenza del 23.4.2004, rigettava la domanda.

Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 13.6.2008, rigettava l’appello proposto dalla Fondazione IRCCS – Istituto Nazionale dei Tumori.

Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

Resiste con controricorso il Comune di Milano.

Le parti hanno anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Con unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della Legge 36/94 – ed in particolare dell’art. 14, comma 1, dichiarato incostituzionale – nonché della Legge 549/95 e conseguentemente dei principi costituzionali in materia.

Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.

La Corte di merito ha rigettato l’appello proposto dall’odierna ricorrente interpretando l’art. 14, primo comma L. 36/94 quale obbligo di pagamento del corrispettivo per la depurazione delle acque, anche in assenza di un qualsiasi servizio di depurazione.

Ma la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 335 del 2008, ha dichiarato illegittimo l’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.

A tal fine, ha rilevato che l’interpretazione della legge n. 36 del 1994, condotta alla stregua dei comuni criteri ermeneutici, porta a ritenere che la tariffa del servizio idrico integrato si configuri, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte, non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza.

E la connessione di tali componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto che, a fronte del pagamento della tariffa, l’utente riceve un complesso di prestazioni consistenti, sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione.

Ne consegue che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (art. 13 della legge n. 36 del 1994).

Concludendo che, dall’accertata volontà del legislatore di costruire la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione come corrispettivo, deriva la fondatezza della censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, nella parte in cui prevede che la suddetta quota di tariffa sia dovuta dagli utenti anche quando manchi il servizio di depurazione.

La norma censurata, imponendo l’obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione,, infatti, prescinde dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si pone ingiustificatamente in contrasto con la ratio del sistema della legge n. 36 del 1994, fondata, invece, sull’esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione.

Il Giudice delle Leggi ha stabilito quindi: a) la natura di corrispettivo contrattuale delle somme pagate per la depurazione delle acque, a partire dal 4 ottobre 2000; b) la conseguente illegittimità della richiesta di un tale pagamento in assenza della fornitura del corrispondente servizio di depurazione delle acque.

Solo per completezza vale rammentare che, con la stessa sentenza, la Corte costituzionale ha rilevato che il censurato art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 è stato, con decorrenza dal 29 aprile 2006, abrogato dall’art. 175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e sostituito dall’art. 155, comma 1, primo periodo, dello stesso decreto legislativo, il quale prevede che “Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell’articolo 154, a un fondo vincolato intestato all’Autorità d’ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l’attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d’ambito”.

Ed ha ritenuto che l’analogia tra quest’ultima disposizione e quelle dichiarate incostituzionali rende evidente che le considerazioni svolte, in ordine alla irragionevolezza di queste ultime, valgono anche per la prima.

Concludendo, per la declaratoria di incostituzionalità nei termini che seguono: “Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi;

dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.

Ora, la sentenza richiamata – come tutte le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale (da ultimo Cass. 6.5.2010 n. 10958) – ha effetto retroattivo, con l’unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito.

E per rapporto esaurito deve intendersi quello rispetto al quale si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge.

Diversamente, la declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma – avendo effetto retroattivo – incide su tutte le situazioni giuridiche non esaurite, producendo i propri effetti su tutti i giudizi in corso.

Le sentenze di questo tipo, quindi, possono essere fatte valere, per la prima volta, anche in sede di legittimità, a condizione che il mutato assetto normativo scaturente dalla sentenza del giudice delle leggi venga invocato nel ricorso introduttivo, e non, per la prima volta, nella memoria d’udienza depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., con la quale non possono essere ampliati i motivi di ricorso (Cass. 14.11.2008 n. 27264).

L’odierno ricorrente ha correttamente e tempestivamente sollevato la questione in sede di ricorso per cassazione.

In conclusione, quindi, posto che – nella specie (circostanza questa non contestata) – il Comune di Milano, nell’anno 2000 – più precisamente nel periodo 4 ottobre – 31 dicembre 2000 – era sfornito di impianto di depurazione centralizzato delle acque, nessun canone era dovuto, per tale periodo, da parte dell’attuale ricorrente.

Le ulteriori questioni, sollevate dal resistente Comune in questa sede, in ordine all’applicabilità, nella specie, del disposto dell’art. 8 L. n. 13 del 2009 – norma quest’ultima introdotta proprio a seguito della pronuncia richiamata, e relativa alle modalità di restituzione agli utenti delle somme illegittimante percepite dai gestori in assenza del servizio di depurazione, con la destinazione di tali somme ad un fondo vincolato – sono estranee al tema trattato, con conseguente inammissibilità del loro esame.

Peraltro, vale rimandare – anche per questo profilo – alla stessa sentenza n. 335 del 2008 che, una volta affermato il principio della corrispettività fra la quota dovuta ed il servizio di depurazione, sul punto, si è così espressa: A tale conclusione non può obiettarsi che la corrispettività fra la suddetta quota e il servizio di depurazione sussisterebbe comunque, perché le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all’attuazione del piano d’ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori.

Precisando “Va osservato, in contrario, che: a) l’ammontare della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è determinato indipendentemente dal fatto se il depuratore esista o no, essendo esso in ogni caso commisurato al costo del servizio di depurazione, in applicazione del cosiddetto metodo normalizzato, e non al costo di realizzazione del depuratore (come risulta dall’allegato del citato d.m. 1 agosto 1996, punto 3.1, lettera e, e dall’allegato 1, punto 2.3, della citata delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02); b) il provento costituito dalla quota confluente nel fondo vincolato può essere destinato alla realizzazione di depuratori non utilizzabili dal singolo utente obbligato al pagamento, come nel caso in cui i depuratori siano realizzati in Comuni diversi da quello in cui si trova l’utente, oppure nel caso in cui l’utente, dopo il pagamento della tariffa, si sia trasferito in altro Comune; c) nel caso in cui il Comune non gestisca direttamente il servizio idrico, la scelta del tempo e del luogo di realizzazione dei depuratori è affidata, dall’art. 11, comma 3, della legge n. 36 del 1994, a soggetti terzi rispetto al contratto di utenza, e cioè ai Comuni e alle Province, nell’esercizio della loro competenza a predisporre il piano d’ambito; d) l’attuazione di tale piano si inserisce nel rapporto fra gestore e autorità d’ambito e non in quello fra esso e l’utente, perché produce un’utilità riferita all’ambito territoriale ottimale nel suo complesso e non anche quella utilità particolare che ogni utente (… ottiene dal servizio, la quale sola – come chiarito dai lavori preparatori richiamati al punto 6.1. – consente di qualificare come corrispettivo la tariffa del servizio idrico integrato; e) il contratto di utenza e il pagamento della quota tariffaria non costituiscono presupposto necessario per l’attuazione dello stesso piano, essendo quest’ultima prevista e disciplinata, anche nei tempi e nelle modalità, non già dal contratto di utenza, ma da moduli procedimentali di diritto amministrativo”.

Aggiungendo: “Dall’impossibilità di qualificare l’attuazione del piano d’ambito come controprestazione contrattuale del pagamento della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione discende la già evidenziata conseguenza che l’utente può agire contro l’inerzia dell’amministrazione nella realizzazione dei depuratori, non già in forza del rapporto contrattuale di utenza utilizzando gli ordinari strumenti civilistici di tutela, ma solo esercitando il generale potere di denuncia attribuitogli dall’ordinamento uti civis”.

Conclusivamente, il ricorso è accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di legittimità può decidere nel merito la controversia, ai sensi dell’art. 384, secondo comma c.p.c., e dichiarare non dovuta la somma pagata, a titolo di quota di tariffa riferita al servizio di depurazione per il periodo 4 ottobre 2000 – 31 dicembre 2000, da parte della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori.

Le questioni di diritto sollevate e risolte nel presente processo giustificano la compensazione, fra le parti, delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa e, decidendo nel merito, dichiara non dovuta la somma pagata, a titolo di quota di tariffa riferita al servizio di depurazione per il periodo 4 ottobre – 31 dicembre dell’anno 2000, dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori. Compensa le spese dell’intero processo.

21 Novembre 2012

Autore:

admin


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