Lo scorso 25 marzo era stato lui ad accompagnare in Tunisia i ministri Franco Frattini e Roberto Maroni per concordare con il premier Beii Caid Essebsi le politiche di contrasto dell’emigrazione di nordafricani verso le coste del sud Italia. Messi via gli abiti di mediatore e diplomatico, il prossimo 16 giugno, il “produttore” franco-tunisino Tarak Ben Ammar sarà ospite in Sicilia per ritirare il premio Arte Award del FilmFestival di Taormina, giunto alla sua 57^ edizione.
Ammar è “figura chiave del panorama cinematografico internazionale”, annunciano gli organizzatori della rassegna. Produttore di oltre 70 film per un budget totale di 500 milioni di dollari (tra i più noti Il Messia di Roberto Rossellini, Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, I Predatori dell’Arca Perduta di Steven Spielberg, Pirati di Roman Polanski e Baaria del siciliano Giuseppe Tornatore), Tarak Ben Ammar è sicuramente uno dei finanzieri più potenti di tutto il Mediterraneo. Nipote di Habib Bourguiba (il primo presidente della Tunisia indipendente) e figlio di un avvocato prima ambasciatore in Italia e poi ministro in patria, Ben Ammar è dal 2003 membro del consiglio di amministrazione di Mediobanca e dal 2007 di Telecom Italia. Il franco-tunisino è pure un importantissimo operatore del settore televisivo e della distribuzione cinematografica. Amministratore delegato di Europa TV e Promotions et Participations International SA, presidente di Prima TV, Ex Machina SAS, Andromeda Tunisie SA, Holland Coordinator & Service Company ltalia, Eagle Pictures S.p.A., Ben Ammar è azionista di riferimento della prima società di fiction italiana Lux Vide, proprietario della compagnia di produzione e distribuzione francese Quinta Communications, del canale televisivo Sportitalia e degli studi cinematografici Rome Studios sulla via Pontina, nonché socio fondatore insieme a Goldman Sachs ed altri gruppi internazionali di The Weinstein Company, la maggiore società multimediale nordamericana.
In Italia, socio storico del finanziere franco-tunisino è Silvio Berlusconi. La prima collaborazione tra Ben Ammar e il capo di governo italiano risale al 1983, quando fu co-prodotto Anno Domini, serie televisiva sulla caduta dell’Impero romano. “Ho conosciuto Silvio ad Hammamet, sulla spiaggia, con Bettino Craxi, e la sera dopo ci fu una festa con modelle e attrici stupende”, ricorda Ben Ammar. Sei anni più tardi, i due fondarono Quinta Communications e nel 1991 Ben Ammar ricevette da Berlusconi il mandato di rilanciare la Fininvest tra gli investitori stranieri interessati a rilevare una quota azionaria del gruppo. Il finanziere intervenne per favorire l’ingresso in Borsa di Mediaset, di cui fu pure nominato nel 1997 membro del consiglio di amministrazione (confermato sino al 16 aprile 2003). Nel dicembre 2005 Ben Ammar cederà a Mediaset – attraverso le controllate Holland Italia ed Europa Tv – le infrastrutture e le frequenze digitali che verranno integralmente dedicate dalla società del presidente del consiglio alla nuova rete Dvbh che trasmette i contenuti tv sui telefonini. Nel maggio 2008 è Ben Ammar a consentire a Mediaset di acquistare il 50% dell’emittente Nessma, la prima tv indipendente di Tunisi, diffusa via satellite in tutto il Maghreb. Più controversa la relazione d’affari stretta all’ombra di All Iberian, la società off shore di Berlusconi che all’inizio degli anni ‘90 finì nel mirino della magistratura milanese per il presunto versamento di una tangente miliardaria a favore di Bettino Craxi. Il denaro, di provenienza del gruppo Fininvest, attraverso la società formalmente in mano a Giancarlo Foscale (cugino di Berlusconi e amministratore delegato Fininvest), transitò sul conto Northern Holding, e da lì, secondo la Procura di Milano, rigirato da Ben Ammar a Craxi e al Partito socialista.
Il gruppo Berlusconi ha sempre respinto l’accusa, sostenendo che il versamento corrispondeva ad anticipi per un contratto di commercializzazione di diritti cinematografici. Ben Ammar ha rifiutato per ben due volte di deporre davanti ai giudici del Tribunale di Milano, ma in una intervista ha fornito la sua versione dei fatti, chiamando in causa l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Secondo il produttore, Bettino Craxi chiese del denaro a Berlusconi per sostenere Arafat. In cambio della vendita di un pacchetto di diritti de La Cinq del valore di 200 miliardi di lire, egli avrebbe intascato una percentuale del 15% dell’importo contro il 5% normalmente previsto per le transazioni di questo genere. La differenza, 20 miliardi circa, sarebbe stata trasferita all’Olp attraverso All Iberian. Nel processo di primo grado, conclusosi nel luglio 1998, il tribunale aveva condannato Craxi a 4 anni e Berlusconi a 2 anni e 4 mesi con l’accusa di finanziamento illecito. In appello, nell’ottobre 1999, Craxi e Berlusconi sono stati dichiarati non punibili per intervenuta prescrizione del reato, sentenza poi confermata dalla Cassazione.
Ben Ammar ha continuato a testimoniare pubblicamente la profonda stima per Silvio Berlusconi anche nei momenti più diffiicli del suo ultimo mandato istituzionale (vedi scandalo sulle frequentazioni con minorenni italiane e straniere). “La sua capacità di resistenza e di reazione è straordinaria, impressionante”, ha dichiarato il produttore in un’intervista al Corriere della Sera (21 giugno 2009). “Silvio non è malato di certo. È un lavoratore instancabile, dorme quattro ore per notte. Fa una vita terribile, che ha bisogno di pause. La sua malattia, caso mai, è il divertimento, la felicità, la compagnia. Che gli manca, perché da quando è finito il matrimonio con Veronica è un uomo solo”. “Io a Villa Certosa ci sono stato e ho sempre trovato persone di grande livello artistico e intellettuale”, aggiunge Ben Ammar. “Non ho mai visto non dico una escort, ma una persona imbarazzante o volgare. Sono stato a cena di recente, c’erano anche Carlo Rossella, Emilio Fede e due coppie di amici francesi e americani, ed è stata una serata bellissima, con cantanti e artisti di qualità. Perché Silvio è un esteta. Ha il senso del bello, in ogni dettaglio”.
Nel 2001, rieletto Presidente del consiglio, Berlusconi ha sugellato l’amicizia con il produttore-socio, nominandolo consigliere personale per i paesi dell’Africa del Nord e del Vicino Oriente e affidandogli importanti missioni d’affari con alcuni leader di governo, primi fra tutti Ben Alì in Tunisia e Muammar Gheddafi in Libia. È stato proprio Ben Ammar ad avere avuto un ruolo chiave nella firma dell’accordo bilaterale Roma-Tripoli del 2008, quello del “risarcimento” per 5 miliardi di euro per i crimini dell’avventura coloniale e dell’affidamento alle forze armate libiche dell’offensiva anti-immigrati. “Conosco Gheddafi dal ‘77”, ha ammesso Ben Ammar al Corriere della Sera. “Lui non andava d’accordo con Bourghiba, ma adorava la moglie, mia zia. È un originale. Molto intelligente, mai arrogante. È dolce, cordiale. La tenda beduina per lui è come il kilt per gli scozzesi. È il contatto con le sue radici: le pecore, i cammelli, il tè, il Sud della Libia dove cresceva il figlio unico di una famiglia povera, che sognava di entrare nell’esercito per cambiare il suo paese. Grazie a Berlusconi la strategia di Gheddafi in Italia è cambiata. Un tempo i suoi erano semplici investimenti, come in Fiat. Ora c’è un rapporto privilegiato. Berlusconi firmando l’accordo con la Libia ha compiuto un gesto storico. E Gheddafi gli ha persino offerto di diventare il suo successore in Libia…”.
Dopo l’attacco militare ONU-USA-NATO, Ben Ammar ha tentato di smarcarsi dal rais di Tripoli, ma è fiero di ricordare che solo un anno fa aveva accompagnato a Palazzo Grazioli, al cospetto di Berlusconi, Letta e Tremonti, una delegazione del governo di Tripoli disponibile a investire in Unicredit, Eni e Finmeccanica. Ma le relazioni con l’entourage del “dittatore” libico vanno aldilà dell’intermediazione: nella società editrice di Nessma Tv, infatti, oltre alla lussemburghese Trefinance-Fininvest, Ben Ammar può contare sull’apporto di Lafitrade, la finanziaria interamente controllata della famiglia Gheddafi.
È tra i petrosovrani dell’Arabia Saudita che si nasconde un altro socio-partner particolarmente indigesto per il finanziere franco-tunisino. Si tratta del principe Al Walid Bin Talal, uno degli uomini più ricchi del mondo, nipote del re Abdullah e azionista dei colossi dell’informazione News Corp e KirchGruppe (accanto a Rupert Murdoch e Leo Kirch) e del gruppo saudita Dallah Al Baraka che nei primi anni ’90 ha lanciato una televisione digitale araba (ART) i cui collegamenti satellitari sono gestiti dal centro “Telespazio” del Fucino (L’Aquila). Nel 1995, grazie a Ben Ammar, Dallah Al Baraka ha stipulato un accordo con la Radiotelevisione italiana per la diffusione in Nord e Sud America e in Australia dei programmi di RAI International, mentre Al Walid Bin Talal ha potuto rilevare, per 100 milioni di dollari, il 2,7% del pacchetto azionario di Mediaset. L’ultima volta che il principe saudita, Silvio Berlusconi e Ben Ammar sono stati visti assieme, risale al 31 agosto 2011 in Sardegna. “Berlusconi ci ha spiegato il suo programma di privatizzazioni”, ha raccontato Ben Ammar al quotidiano Il Mattino. “Ha detto che gradirebbe che Al Waleed possa fare la sua parte. Si è citata l’Enel, come l’Eni e Finmeccanica, perché sono due gruppi notissimi. Ma il nostro interesse ad investire è molto più ampio. Al Waleed è rimasto affascinato dal piano per le grandi opere che gli ha illustrato Berlusconi. I grandi finanziatori, com’è il principe saudita, sanno che la realizzazione di porti, strade e ferrovie è un’eccellente occasione d’intervento”.
Undici giorni dopo quell’incontro, l’11 settembre, il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York e i sospetti della Cia e dell’Fbi di un possibile collegamento economico-finanziario tra il magnate saudita e Osama bin Laden. Per ingraziarsi i favori della stampa statunitense Al Waleed emise un assegno di 10 milioni di dollari a favore delle famiglie delle vittime dell’attentato ma l’allora sindaco di New York, Rudolph Giuliani, rifiutò d’intascarlo. Finanche il presidente George Bush, già socio d’affari del Bin Laden Group (holding finanziaria-industriale dei familiari del capo di Al Qaeda), si rifiutò di ricevere il saudita alla Casa Bianca.
Intorno al 2002-2003, uno dei più stretti congiunti di Al Waleed, il principe Bin Nawaf Bin Abdulaziz Al Saud, si sarebbe fatto avanti attraverso la Tatweer International Company per mettere le mani sul “padre” delle grandi opere in Italia, il Ponte sullo Stretto di Messina. Grazie ad un intermediario italo-canadese, Giuseppe Zappia, i sauditi avrebbero offerto alcuni miliardi di dollari per concorrere ai lavori di progettazione ed esecuzione dell’infrastruttura di collegamento stabile Sicilia-Calabria. In vista del Ponte, Zappia avrebbe pure rappresentato gli “interessi” della famiglia mafiosa nordamericana dei Rizzuto e per questo,lo scorso anno, è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Roma.
La gara fu poi vinta da un pool d’imprese guidato da Impregilo, da qualche tempo partner del Bin Laden Group per alcuni progetti nella penisola arabica. Impregilo annovera tra i propri azionisti le famiglie Ligresti e Benetton, mentre Jonella Ligresti e Gilberto Benetton siedono in loro rappresentanza nel consiglio d’amministrazione di Mediobanca accanto al finanziere-produttore Tarak Ben Ammar. Coincidenza vuole che nel Cda di Mediobanca sieda pure Carlo Pesenti, il re del cemento e del calcestruzzo, comproprietario della SES, la società editrice della Gazzetta del Sud, il quotidiano-portavoce dei Signori del Ponte. I premi Arte Award del FilmFestival di Taormina edizione 2011 sembrano proprio essere forgiati in onore del Mostro sullo Stretto…
L’Arabian Connection del Ponte sullo Stretto è analizzata nel libro di Antonio Mazzeo “I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina” (Alegre Edizioni, Roma, 2010)
I mezzi della Città Metropolitana di Messina in azione lungo le strade provinciali nebroidee…
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