Il centro sociale di destra si vuole presentare alle elezioni. Ma contro Alemanno. E con un programma che occhieggia anche a sinistra: coppie di fatto, biotestamento, politiche sociali. Parla il leader del discusso movimento, Gianluca Iannone (08 febbraio 2012)
Gianluca IannoneIl centro sociale Casapound si candiderà con una sua lista alle prossime elezioni comunali a Roma. Una decisione che irrompe nella già caotica situazione politica nella capitale: chi dice che porterà via voti ad Alemanno, chi invece pensa che possa sedurre anche elettori di sinistra, chi immagina un successo di tipo grillino.
‘L’Espresso’ ha parlato di questo e altro con Gianluca Iannone, leader del discusso movimento politico.
Dopo i fatti di Firenze (un iscritto di Casapound che ha ucciso due senegalesi e poi si è suicidato) volevano chiudervi per legge. Voi invece vi presentate alle elezioni. E’ una provocazione?
«No, è una proposta vera. Alle ultime elezioni abbiamo sostenuto Alemanno e siamo rimasti profondamente delusi: zero edilizia popolare pubblica e città nuovamente consegnata nelle mani dei palazzinari. Esattamente come Veltroni. Così abbiamo deciso di scendere in campo e di marcare le distanze sia da destra sia da sinistra».
A quale risultato puntate? E chi è il vostro candidato per il Campidoglio?
«Puntiamo a eleggere il sindaco, naturalmente. E in ogni caso siamo certi di ottenere un ottimo risultato, che dimostrerà quanto Casapound è importante nella vita politica di Roma. Quanto al candidato, lo ufficializzeremo a brevissimo: per il momento è ancora una sorpresa. Quello che posso dire è che puntiamo ad avere in lista intellettuali, artisti e liberi professionisti.»
Non è molto credibile, l’ipotesi che eleggiate il sindaco.
«Certo, c’è anche l’esigenza di dimostrare che siamo un soggetto politico a tutti gli effetti, non una banda di delinquenti che agisce nell’ombra. Noi parliamo con tutti: abbiamo organizzato incontri con la comunità cinese, con gli ex brigatisti rossi, con i gruppi Lgbt, dimostrando di avere una visione e una proposta politica. Eppure, nonostante questo, continuano a ributtarci nel ghetto!».
Quel ghetto si chiama fascismo: sbaglio o tu ti definisci un “fascista del terzo millennio“?
«E’ una definizione che mi ha dato un giornalista, ma devo dire che mi ci ritrovo».
«No, per niente. Il fascismo è stata una rivoluzione, l’unica che abbia effettivamente avuto luogo in questo paese, e per come la vedo io ha rappresentato una visione sociale avanzata, un fiorire dell’arte, dell’onestà, dell’ironia. Il fascismo costruiva, mentre quello che si definisce neofascismo ha sempre avuto come priorità quella di chiudersi in un ghetto e di difendersi. Noi vogliamo costruire».
«Sono punti di vista: a nostro avviso in quell’epoca c’era più libertà d’espressione rispetto ad adesso. E comunque noi rivendichiamo la libertà di dire che il fascismo ha fatto molte cose positive, e che quelle cose vogliamo riprenderle. Guarda, viviamo in un paese nel quale il fascismo è durato vent’anni e l’antifascismo dura da sessantasei, e dietro questa parola, questo abracadabra, si nasconde il consolidamento di posizioni di potere. Vieni silenziato, ti vengono vietati cortei e iniziative, anche quando c’è l’alluvione a Genova e i tuoi militanti partono e vanno a dare una mano, anche quando ti spendi per fare volontariato».
«Noi non abbiamo paura di dire che furono un grave errore. E lo abbiamo fatto, in tutte le sedi possibili. Tra l’altro le leggi razziali allontanarono gli ebrei dalla rivoluzione fascista, di cui essi erano stati tra i protagonisti sin dalla marcia su Roma. Nel governo Mussolini del 1932 il ministro delle finanze, Guido Jung, era un ebreo. E non poteva essere diversamente, visto che la nostra cultura mediterranea è stata sempre un coacervo di culture diverse».
«In nessuno dei nostri interventi, dei nostri manifesti, delle nostre magliette, c’è traccia di odio nei confronti degli immigrati. Questa è una cosa che trovi nell’opera della Fallaci, tanto per dirne una: quello, non il nostro, è il “brodo di coltura” nel quale è germogliato l’odio. L’idea dello scontro delle civiltà, quella che vuole ipocritamente l’immigrazione selvaggia per poterla poi sfruttare economicamente. Dalle nostre parti quella roba non la trovi. Quando c’è stato il terremoto in Abruzzo siamo partiti, e appena arrivati al campo di Poggio Picenze ci siamo messi a disposizione della comunità macedone che aveva subito delle gravi perdite, facendoci carico di trovare loro un imam, una guida spirituale che potesse amministrare il loro culto. L’odio è altrove, in quelli che cantano “dieci, cento, mille Acca Larentia”, che godono quando pensano a Piazzale Loreto, che vogliono cancellare le tante attività dei nostri ragazzi perché non rientrano nei loro canoni».