ALZHEIMER – Un check up per la mente perché non basta preoccuparsi dell’Alzheimer bisogna anche occuparsene
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ALZHEIMER – Un check up per la mente perché non basta preoccuparsi dell’Alzheimer bisogna anche occuparsene

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Intervista a Giuseppe Alfredo Iannoccari, presidente di Assomensana

Anziani, la parola d’ordine è ‘cambiamento’. Ad iniziare dalla definizione stessa di ‘anziano’: è proprio l’Istat a dirlo, perché se convenzionalmente si fa corrispondere la popolazione dei nonni a partire dai 65 anni, nella realtà si diventa anziani, per la società,  intorno ai 73 anni gli uomini e 75 anni le donne. Ma non solo. E’ cambiato il concetto di ‘anzianità’, anche dal punto di vista cognitivo: se fino alle generazioni degli anni ’60-’70 l’età dei capelli bianchi coincideva con la fine della vita, oggi, al contrario, è un periodo di opportunità, di seconde possibilità, di nuove avventure. E’ tutta una questione di somme e sottrazioni: con il passare degli anni cediamo qualcosa in termini di efficienza e velocità ma acquistiamo in maturità e analisi. I conti tornano. A patto che cambiamo anche passo nei confronti della cura della nostra mente e passiamo da ‘preoccuparcene’, temendo il peggio, ad ‘occuparcene’ quando ancora ha senso farlo. Basta poco. Ne parliamo con Giuseppe Alfredo Iannoccari, neuropsicologo, docente a contratto all’Università Statale di Milano e Presidente di Assomensana in occasione della 9ª Edizione nazionale della “Settimana di Prevenzione dell’Invecchiamento Mentale”, che si svolgerà in tutta Italia dal 19 al 24 settembre 2016 (con l’alto patrocinio del Ministero della Salute)  durante la quale l’Associazione metterà a disposizione degli iscritti più di 350 specialisti psicologi, neurologi e geriatri che offriranno una valutazione gratuita per rilevare le condizioni cognitive di ogni soggetto e forniranno consigli utili per ostacolare il decadimento mentale. (www.assomensana.it).
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A partire dai 50 anni tutti aspirano a diventare anziani capaci di essere ‘giovani fuori’ ma soprattutto ‘giovani dentro’. L’idea di invecchiare e perdere colpi, fa paura. Ma se per accontentare lo specchio ci sono palestre, diete e ritocchini del chirurgo per la mente ci si rassegna a quello che sembra l’ineluttabile passare del tempo.
Il primo errore è proprio questo, credere che nulla si possa fare per fronteggiare l’invecchiamento cognitivo. Chiariamo una cosa: il cervello è un organo plastico, ovviamente subisce le lusinghe del tempo che passa, ma è in continua evoluzione. Se ce lo facciamo amico sarà il primo alleato nella lotta proprio al suo invecchiamento. A partire dai 28/30 anni – dopo il picco dell’efficienza mentale che si ha verso i 25 anni – si iniziano a perdere neuroni, circa centomila ogni giorno. Questo significa che ad ogni compleanno abbiamo perso l’1% della nostra efficienza mentale e, quindi, che a 50 anni quasi un quarto del nostro potenziale è rimasto dietro di noi. Ma se ci limitiamo a guardare il bicchiere mezzo vuoto e a disperarci senza fare nulla, mandiamo in fumo quell’enorme potenziale ancora intatto e che può essere un patrimonio da investire, per ‘vivere di rendita’ con il passare degli anni.

Quindi quella dei 50 anni è l’età ‘spartiacque’, quella in cui mandare anche la mente in palestra?
Per allenare la mente non è mai troppo presto. L’ideale sarebbe già nella scuola elementare introdurre come materia d’insegnamento ‘ginnastica mentale’ a fianco di educazione fisica. Così non solo si potrebbe costruire un solido bagaglio cognitivo ma anche una mentalità predisposta a lavorare su questi aspetti. Detto questo è evidente a tutti coloro che hanno spento le 50 candeline che si tratta di un’età importante, nella quale risultano più evidenti gli ‘acciacchi’ della memoria. Si tratta di piccoli incidenti che non devono far certo preoccupare ma che sono il segnale che è arrivato il momento di occuparci di noi. Cosa che in pochi fanno.

Perché si lavora molto sul fisico e così poco sulla mente? Eppure l’idea di diventare anziani non lucidi fa terrore a tutti.
E’ una questione culturale. All’estremo opposto del calendario della vita troviamo una grande attenzione per patologie come dislessia, autismo, iperattività. Spesso ci sono falsi positivi. Tutti cercando i segnali, vanno a caccia di sintomi. Al contrario per la demenza o l’Alzheimer si tende a sottovalutare, a pensare che siano inevitabili acciacchi dell’età. Se ne ha paura ma pensando che non ci sia nulla da fare – ad oggi in effetti non ci sono farmaci – ci si scherza su, quasi per esorcizzare. Non sentiamo mai fare una battuta sul cancro mentre è capitato a tutti davanti ad una dimenticanza dire: ‘Ho l’Alzheimer galoppante’.

Seconda parola d’ordine: occuparci e non preoccuparci, dunque. Ma come possiamo fare?
Ci sono tante regole, tanti consigli, moltissime strategie. Ma la prima, la più importante è: apprendere qualcosa di nuovo. A qualsiasi età. E’ questo l’esercizio migliore che possiamo far fare alla nostra mente. Oggi gli anziani, gli over 65 hanno un’opportunità enorme a portata di mano. Da apprendere dai loro nipoti: internet e i social. Vorrei dire a tutti i capelli bianchi: aprite un profilo facebook, imparate ad usarlo, ad interagire con gli altri. Imparate a mandare una mail, a navigare in internet, a scrivere un post su facebook. Ci vorrà tempo ma sarà divertente e stimolante. E’ un modo per alzarsi dal divano dove il rapporto con la televisione è passivo e diventare attivi, fare vita di ‘società’ appunto. Perché a differenza dei nipoti, nativi digitali e quindi abituati a subire passivamente la tecnologia, i nonni devono raccogliere la sfida e imparare una cosa nuova ed estranea alla loro mentalità. Apprendere qualcosa di nuovo è una grande spinta all’attivazione cognitiva, si stimola un arricchimento delle reti neurali. Ma internet è anche una finestra sul mondo che può aiutare un anziano a riscoprire una passione, a coltivare un interesse anche se non ha più la forza o la possibilità di uscire, di andare a pesca o di coltivare un orto. Può sempre leggere, vedere video, chiacchierare in rete. E’ l’uso virtuoso di internet. E quando avrà imparato bene ad usare facebook, si cimenti con altro e passi a twitter, a instagram o allo studio di una lingua straniera. Purché sia una nuova avventura.

Cybernonni: una bella sfida. Tutta da raccogliere. Perché in Italia solo una persona su 10 oltre i 65 anni usa le nuove tecnologie. Sono ‘appena’ 772 mila gli utenti abituali con i capelli bianchi contro gli 8 milioni e mezzo degli adulti tra i 35 e i 54 anni. Anche se quello dei cybernonni è un fenomeno in crescita: in dieci anni si è passati dall’1,3% al 17,6% nelle donne e dal 7,5% al 38,2% negli uomini. Quindi, avanti tutta e accendiamo i pc! E intanto che arrivano le connessioni nelle case cosa si può fare?
Io consiglio sempre 5 esercizi, semplici e adatti a tutti. Una cosa importante: non c’è un limite minimo di età. Prima si inizia e meglio è. Perché se da una parte l’avanzare degli anni ci priva di un potenziale cognitivo, dall’altra con l’esercizio lo rimpinguiamo. E’ così che i conti tornano.

Da oggi diciamo che le regole sono 6: la prima è accendere il pc e diventare social. Passiamo alla seconda.
Si tratta di esercizi semplici. Per due giorni scrivere – e ripeto scrivere- su un quaderno tutte le parole che iniziano con la A, il giorno dopo con la B e così via. Non serve stare ore davanti al quaderno, bastano dieci minuti. Quando si sono finite le lettere dell’alfabeto si rende l’esercizio via via più difficile: per esempio, tutte le parole che iniziano con AL e finiscono con una vocale, o tutte le parole che iniziano con la C e non contengono la R. Libero sfogo alla fantasia. Sarà divertente vedere che, durante la giornata quando meno ce lo aspettiamo, la mente tirerà fuori nuove parole. Perché per il cervello il gioco non finisce.

E ora alla numero 3.
E’ proprio il ‘gioco del 3’. Apprendere una notizia positiva e piacevole – magari grazie ad internet- e ripeterla a 3 persone differenti. La prima volta la racconteremo in modo più confuso, perché una cosa è conoscere e un’altra è sapere. La seconda volta saremo più precisi. La terza le informazioni mancanti le avremo recuperate, il discorso sarà più fluido e potremo dire di averla memorizzata. Se ogni giorno facciamo questo esercizio alla fine dell’anno avremo memorizzato 365 nuove conoscenze.

Quarto esercizio: è la volta dei giochi.
Scacchi, carte, sudoku: ad ognuno il suo. Gli scacchi sono in assoluto l’attività da preferire non solo perché richiedono concentrazione ma anche perché è un gioco aperto dove si sa cosa andrà a fare l’avversario. Giocare a carte è un buon esercizio purché non sia sempre lo stesso: una volta a burraco, un’altra a scopa e poi scala quaranta, briscola. E se il gioco non si conosce ancora meglio: impariamone uno nuovo. L’enigmistica è un discorso a parte. Fare le parole crociate è un buon esercizio ma richiede anche una preparazione culturale. Se una nozione non si sa può essere frustrante o addirittura al contrario annoiare. Gli esercizi mentali devono poter essere fatti da tutti indipendentemente dal titolo di studio. Ognuno deve affrontarli con le proprie capacità mentali e non con le proprie conoscenze.

Quinto esercizio: sovvertire le regole.
Lo dicevamo all’inizio: la parola d’ordine è cambiamento. Ci mettiamo sempre la crema con la mano destra? Per un po’ insegniamo alla sinistra a stenderla sul viso. Facciamo sempre la stessa strada? Cambiamo percorso. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Cambiamo le regole, spezziamo la routine dei gesti. Sembra una banalità ma non lo è: per esempio cambiare mano dominante significa arricchire l’innervamento cerebrale della mano e, quindi, un arricchimento dei neuroni.

Sesto esercizio: la buonanotte.
Mi piace dire che è l’esercizio più romantico. La sera, a letto, prima di prendere sonno ripensare alla giornata trascorsa. Non per fare un bilancio o darsi un voto. Ma per ripassare le cose fatte, le persone viste. Per esempio: chi ho incontrato dal panettiere? L’ho mai vista prima quella persona? Aveva gli occhiali? Cosa ci siamo dette? E via via così. Questo esercizio è fondamentale perché mentre ricostruisco la giornata, ricostruisco la memoria a breve termine e la vado a posizionare nella casella della memoria a lungo termine. Durante il sonno il cervello archivia le informazioni che pensa siano per noi più importanti. Questo esercizio è particolarmente utile nelle persone anziane che vivono da sole o che soffrono di solitudine. Spesso hanno la sensazione che non succeda mai nulla di nuovo nella loro vita, che le giornate siano vuote e una uguale all’altra. Questo esercizio, invece, le farà rendere conto che ogni giorno porta dei piccoli o grandi cambiamenti. Magari una telefonata, un incontro diverso, una cosa osservata dalla finestra o in tv. Si riempie il tempo, ogni giorno si recupera un granello di memoria che si accumula, si stratifica e mi protegge dall’invecchiamento cerebrale.

Come ci aiutano questi esercizi?
Creano nuove connessioni a livello dei neuroni, riempiono la memoria, tengono in allenamento le capacità cognitive, insegnano al cervello cose nuove che riempiono gli spazi lasciati dai neuroni persi. Le lesioni dell’Alzheimer o la demenza senile non siamo in grado ancora di farle regredire ma possiamo fare in modo che i sintomi della malattia siano tenuti a bada.

Assomensana organizza per il nono anno la “Settimana di Prevenzione dell’Invecchiamento Mentale”, che si svolgerà in tutta Italia dal 19 al 24 settembre 2016 (con l’alto patrocinio del Ministero della Salute) durante la quale l’Associazione mette a disposizione degli iscritti più di 350 specialisti psicologi, neurologi e geriatri che offriranno una valutazione gratuita per rilevare le condizioni cognitive di ogni soggetto e daranno utili consigli per ostacolare il decadimento mentale. A chi si rivolge e in cosa consiste la visita?
L’utente medio che negli anni passati ha usufruito della “Settimana di Prevenzione dell’Invecchiamento Mentale” è donna e ha in media 65 anni. Anche se ultimamente sono aumentati gli uomini e si è leggermente abbassata l’età. Un check-up mentale è indicato a partire dai 55 anni. Ci tengo a dire che non si tratta di andare a cercare una malattia degenerativa, non si avrà una diagnosi. Si tratta di misurare scientificamente in quale ambiti si è più forti e in quali più deboli. Un modo per combattere il decadimento mentale con nuove capacità cognitive. Bisogna cercare uno specialista nell’elenco presente sul sito dell’associazione www.assomensana.it e prendere un appuntamento. Lo specialista effettuerà gratuitamente il check-up attraverso degli esercizi cognitivi che valutano il livello di efficienza delle 10 principali funzioni cognitive e, al termine, grazie ad computer, potrà elaborare un grafico e spiegare all’utente qual è la situazione e dove lavorare per migliorare, rafforzare, sostenere. Dura circa un’ora e alla fine si avranno anche molti consigli pratici.
Alla fine la domanda più temuta:  in tanti ci dimentichiamo date e nomi. Alcuni sbagliano spesso strada, qualcuno mette in frigo un libro e in libreria la bottiglia del latte. Ma tutti quando questo avviene siamo presi dal panico. E allora: quali sono i campanelli d’allarme che ci devono far davvero temere il peggio?
Tutti perdiamo colpi. Soprattutto se siamo stanchi o stressati. Una dimenticanza o una distrazione possono succedere. E dobbiamo farci una risata sopra o magari capire che è arrivato il momento di staccare un po’ la spina. Al contrario, ci dobbiamo preoccupare quando perdiamo troppi colpi, quando questo avviene con  una certa frequenza. Se una volta mentre guidiamo scopriamo di non sapere dove stiamo andando, ci sentiamo persi o smarriti (diverso da aver semplicemente sbagliato strada) possiamo anche far finta di nulla, ma la seconda no. Se spesso dimentichiamo le cose, non ricordiamo di aver fatto qualcosa o incontrato qualcuno allora è bene chiedere aiuto ad uno specialista. Magari è un falso allarme, magari no. Non sono i singoli segnali ma la frequenza con la quale si manifestano. E non c’è un’età a rischio. Perché noi crediamo che la demenza o l’Alzheimer siano malattie ‘da vecchi’ solo perché il picco massimo dei sintomi si ha tra gli 80 e i 90 anni. In realtà i primi segnali possono affacciarsi anche a 50 anni. Basti pensare che quando arrivano dopo i 60 anni si parla di ‘esordio tardivo’. Quindi non è mai troppo presto per ricordarsi della nostra mente.

13 Settembre 2016

Autore:

redazione


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