di Giuliana Scaffidi
Non è certo con rassegnazione che mi avvicino al problema dei tanti giovani, alcuni dei quali non più ragazzi, offuscati dal non far niente, dall’ozio, deterrente incisivo per la perdita di obiettivi.
Mi riferisco a un’area” protetta” da molti, la quale degenera, nell’indifferenza di chi dovrebbe sorvegliare, il cui nome più appropriato sembra essere: IL BULLISMO.
Non passa inosservato ne ai miei occhi, ne ai miei studi, alle mie ricerche, tenendo sempre a mente le devastanti conseguenze dello stesso. I miei appelli, oserei definirli disperati, sono sempre passati dalla porta secondaria. Ed è con un senso di fallimento che mi appresto a scrivere ciò che
quotidianamente viene tracciato del bullismo. Un quadro disperato e patologico, una rappresentazione sociale negativa di questa fascia di età che si ritorce inevitabilmente contro i giovani stessi.
Gli accadimenti delle ultime settimane, hanno delineato una situazione catastrofica, situazioni “inumane”, che non possono non essere motivo non di discriminazione sociale, ma di attenzione, di riflessione, di impotenza e superficialità sin’ ora .
Noi pensiamo, paradossalmente, che ad intervenire devono essere le Istituzioni, fuor di dubbio, ma sempre in secondo piano. Chi è titolato a regolamentare gesti, situazioni è solo e unicamente la famiglia. Questo non è solo una necessità, ma deve essere una presa d’atto, una presa di coscienza. Fondamentale per il recupero.
Ogni adulto dovrebbe essere in grado di comprendere le necessità biologiche dell’adolescenza e rispettarle. I giovani, non sono altro che il prodotto più rappresentativo del mondo adulto; è il distillato finale di tutte le paure, le incoerenze, i disagi, le tensioni, l’aggressività, la superficialità, le debolezze, l’egoismo di uomini che li hanno preceduti e che offrono loro costanti modelli di riferimento e gesta da imitare.
Per quanto strano possa apparire, la loro è una simbolica richiesta di aiuto, sottovalutata. I giovani d’oggi sono il più alto riferimento di una generazione che
porta come vessillo il fallimento. Loro soffrono del disagio generalizzato, dell’inserimento in contesti di vita in cui tutto appare banale e secondario.
Manca il ruolo primario.
Manca il riferimento. Manca la guida. Ma vogliamo finalmente svegliarci e fare un autoanalisi? Vogliamo fare il mea culpa?
Vogliamo veramente trovare tutti insieme, una soluzione non temporanea? I giovani non sono in grado di affrontare ne superare “ l’alta marea”. Hanno bisogno di aiuto, di esser presi per mano. Siamo in grado di parlare di affettività e capire quanto questa sia educabile? Siamo in grado di promuovere una “cultura” del tempo libero, inteso come crescita che attraversa ponti e mari e si dirige verso l’inequivocabile strumento, propositivo, che è la stima di sé stessi.( Io sono, io mi
relaziono, e soprattutto: io valgo).
Anteporre gli impegni alle loro richieste, alle richieste di affetto. Avere tempo per comunicare, per esprimere le emozioni, per capire e farsi capire, per Ascoltare senza invadere.
Siamo disposti a trovare questo TEMPO?
In questa ampia disquisizione non si vuole semplicemente fare un processo ad uno stile di vita, ma si vuole fare appello a tutte quelle componenti che danneggiano una società civile che deve crescere, formarsi, specializzarsi.
Quando si parla di stile di vita, vuol dire partire dal se. Ed è verso quest’ottica che si può parlare di incontro. Mi piacerebbe poterlo fare con i giovani. A loro va tutta la mia comprensione, il mio affetto.
Mi piacerebbe tendere loro una mano. Mi piacerebbe, pur non ritenendomi una paladina della giustizia, portare questo mio pensiero a conoscenza di tutti, affinchè uno stringersi l’ un con l’altro possa unire una mano che si trova in difficoltà, ascoltare un pianto da troppo tempo eluso.
Chiedo alle istituzioni di dare maggiore apporto ai giovani, dando loro delle responsabilità, rendendoli capaci, aiutarli con ruoli ed impegno.
Riconoscerli capaci.
Hanno bisogno di trovare la strada, ed hanno tutti i requisiti per farcela. Ma dare loro una mano significa anche fare delle scelte impopolari, forti, drastiche, dove una maggiore sorveglianza, possa essere il volano per una soluzione immediata e proficua. Comprendo bene e desidero far comprendere anche a chi legge, che lo step primario è quello di capirlo attraverso la rabbia ed il disagio che vige, senza preclusioni di sorta in ognuno.
Sappiamo che i media e gli stereotipi sono un accumulo di stress, perchè portano l’individuo ad arrestare il proprio io, di fronte a una richiesta dell’immagine conforme al desiderio sociale. Da meno non deve mancare l’obiettività e la consapevolezza, l’acquisizione della ” colpa”, del nucleo familiare assente, della genitorialità rivolta al pressapochismo.
E’ un fenomeno sociale di indubbio riguardo, scevro da critiche verso l’altro, considerato che in ogni famiglia, o quasi( allarmante questo), i problemi sono univoci. Mancano le decisioni univoche, mancano le considerazioni rivolte all’altro. Manca la considerazione del no che ha più forza di un si ed anche se non seduce o ammalia, porta a risultati più vantaggiosi.
Manca la presenza tramutata in assenza.
Effettuare i controlli nei vari locali, con delle ordinanze severe che vietino a coloro di età inferiore ai sedici anni, l’uso e l’abuso di alcol. Fare restrizioni e sanzioni verso l’ uso eccessivo e reiterato della richiesta di un bicchiere, due, tre, quattro, cinque bicchieri di troppo.Questo è già un inizio. In accordo con tutti i gestori, si potrebbero attuare linee di intervento, come ad esempio ad ogni frequentatore, ossia cliente, dare delle tessere, con le quali possono accedere al consumo che, non deve essere superiore a due unità giornaliere.
Sono misure forti, ma diventano misure cautelari.
Sentiamo e leggiamo tante belle parole, ma i fatti sono davvero quello che contano. Non vi è nessun esempio concreto che tenga i giovani lontano dall’alcol, né ci sono stati davvero, a tutt’oggi, programmi di intervento e di prevenzione per l’alcol e droghe; sembra che ancora non sia chiara l’emergenza che invece gli addetti ai lavori già segnalano da tempo.
Bisogna intervenire, oggi, con tempestività e autorevolezza, perché il rischio è alto.
Qualcuno potrebbe ( e chiedo venia per l’esternazione) qualche giorno non veder più tornare a casa il proprio figlio, non vederlo tornare per un decesso avvenuto causa sbornia o pestaggio, di fronte alle risa ed alle riprese sconsiderate dei più.
Perchè quelle riprese possono essere fatte a chiunque. Tutti possono trovarsi sotto le grinfie del branco.
Tutti possono essere branco, tutti possono ahimè, è triste anche solo pensarlo, passare a miglior vita. Intendo dire che nessuno può ritenersi esente da questo orrido fenomeno.
Ed il dado è tratto.
dott.ssa Giuliana Scaffidi
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