ANNA SOARES – “La voglia di apprendere è un ingrediente che non deve mai mancare in un individuo, a maggior ragione quando si tratta di relazioni umane”
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ANNA SOARES – “La voglia di apprendere è un ingrediente che non deve mai mancare in un individuo, a maggior ragione quando si tratta di relazioni umane”

Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano

Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone l’intervista alla cantautrice e producer Anna Soares, della quale è stato detto: Dopo due anni di collaborazioni con artisti dislocati in varie parti del mondo, sperimentazioni di songwriting e di produzione, plasma un nuovo genere sonoro a sfondo BDSM – reinterpretando gli schemi canonici dell’elettronica (…)

Buongiorno Anna! Vorrei iniziare col domandarti subito quando, con quale intenzione/progettualità e soprattutto animata da quale sorta di motore interiore ha avuto origine il tuo viaggio nella Musica. “Buongiorno Giulia! Sin da bambina la musica è sempre stata, per me, un campo da gioco nel quale mi trovo a mio agio… cantarla, scriverla e successivamente anche comporla – oltre che ascoltarla – mi dava e mi dà benessere. Non c’è stata progettualità nelle fasi iniziali del mio approccio ad essa, se non la necessità di esprimere all’esterno qualcosa che mi ribolliva dentro. È stato solo in secondo momento che mi sono resa conto che il mio messaggio risuonava in molte e diverse persone …per cui, la mia, è diventata una vera e propria missione”. 

 Da piccola avevi qualche desiderio che proiettavi nel futuro, ossia come ti vedevi “da grande” e che bambina sei stata? “Ho sempre guardato a me stessa come una persona sfaccettata, che aveva e che ha delle cose da dire. Ero una bambina creativa, sorridente e che parlava troppo… gli adulti mi adoravano, i miei coetanei un po’ meno tant’è che sono stata bullizzata (…)”. 

Il nascere e dove nascere è qualcosa che non decidiamo in prima persona, ma l’iter e l’equipaggiamento temperamentale e caratteriale nel percorrere la quotidianità invece è in qualche modo determinato da cosa? Nel tuo vivere ipotizzi cioè che centri il “destino” – ed eventualmente cos’è il destino – o sei dell’idea che l’essere umano sia il solo artefice della propria sorte? “Mi piace pensare in termini di Caos e Caso. Due termini, questi, tremendamente simili e assolutamente complementari. A volte proprio il Caso genera opere d’arte così perfette che viene naturale supporre che vi sia stato l’intervento di una forza superiore, che determina percorsi già scritti …Ma non è, comunque, nel mio ordine di idee fare riferimento a linee temporali predestinate: a mio dire, il tempo è ciclico e si avvolge continuamente su se stesso.

Tu in che rapporto vedi la libertà e l’amor proprio e verso gli altri esseri viventi? “Libertà e amor proprio, tendenzialmente, viaggiano su binari paralleli. Nel percorso verso l’amarsi un po’ di più si rincorre inevitabilmente una libertà di intenti, di azione, di pensiero. Ho sempre cercato di includere le persone nella mia vita – ho una gran propensione verso gli esseri umani, ma lascio entrare [nella mia bolla prossemica] le energie altrui solo e unicamente nel momento in cui non sono in contrasto con i miei valori e con il mio modo di esprimere l’incondizionata libertà che sento”. 

Quale relazione hai con la fiducia verso il prossimo e, discorrendo proprio di fiducia e di fede, ti sei mai domandata come può sussistere la bontà, l’onnipresenza e l’onnipotenza di Dio di fronte ai mali non soltanto morali (dunque causati e derivanti dagli uomini) ma naturali (come terremoti, inondazioni, malattie)? Non ho mai creduto nella dicotomia bene-male. A mio parere, ogni evento – sia umano, sia naturale – non possiede caratteristiche positive o negative… siamo noi umani ad attribuire a tutto un significato, un’interpretazione, in base alla personale percezione che se ne ha e ai propri bisogni. Il giudizio morale è, secondo me, tremendamente riduttivo e autoreferenziale, limitato. All’opposto, ho molta fiducia nel genere umano in quanto non vedo la collettività e l’individualità come flussi positivi o negativi appunto, ma in continuo mutamento (esattamente come lo è il cosmo)… trovo, ovvero, che si muovano in modo armonico e questo genera in me un senso di empatia e partecipazione”.   

Benché io non voglia indurti ad alcuna categorizzazione riduttiva e ingabbiante, dal tuo punto di vista cos’è l’Amore (l’amor proprio, per altre persone e animali, per situazioni, luoghi, attività, ideali etc.)? E sei del parere che “Chi si somiglia si piglia (e si tiene)” oppure che “Gli opposti si attraggono (e non si lasciano)” persino artisticamente parlando, nel lavoro e nelle relazioni amicali? “Sì, definire un qualcosa di tanto sfaccettato come l’amore è riduttivo – specialmente se si parla, appunto, di amore in senso ampio… verso se stessi, verso un amico, verso un’idea. Utilizzando una metafora, tuttavia, penso all’amore come a un’“attrazione cosmica” (assimilabile al movimento attrattivo dei pianeti, che gravitano attorno alla loro stella). Non amo cavalcare l’onda dei cliché ma, dovendo scegliere tra le due direzioni citate, trovo che sia più istintivo e intuitivo essere attratti da qualcuno che non abbia un background e interessi diametralmente opposti ai propri. Ritengo, poi, che consolidare un rapporto amoroso richieda una massiccia dose di impegno e che, in primis, considerare la relazione come un fattore di crescita personale sia fondamentale. L’altra persona non è un ente col quale cercare di colmare dei vuoti, ma un essere umano con le sue sfaccettature – e, quindi, in continuo cambiamento esattamente come lo è ciascuno di noi. Inoltre l’impegno nel non dare mai nulla per scontato, il rispetto reciproco, l’onestà intellettuale e il dialogo accrescono e solidificano il tutto . Ho idea che sia inevitabile che, nel tempo, la natura e le dinamiche dei rapporti cambino …però non sono dell’idea che ciò sia obbligatoriamente un processo degenerativo. L’istinto e la ragione devono camminare parallelamente, sono due aspetti essenziali e caratterizzanti ogni individuo”.  

Cosa rappresenta, per te, la Bellezza e cosa l’Arte e quale ritieni esserne il potere nonché principale pregio e valore? La bellezza è un valore che mi porto dentro in modo viscerale, mentre l’arte può essere una delle sue tante declinazioni e una maniera di propagarla attraverso le proprie personali sfumature. Studiando Estetica, ho compreso che la soggettività è parte integrante dell’esperienza del bello… e che esso sa esprimersi in modalità diverse e – per certi versi – contrastanti, completamente al di là dalle singole visioni che ognuno di noi ha. Da appassionata di Grecia e grecità, penso che esistano dei canoni di oggettività imprescindibili (benché, nelle singole esperienze, la beltà spesso si dissolva …lasciando spazio alle peculiarità individuali…  tant’è che spesso coesistono emozioni contrastanti nell’ammirare un’opera, una persona, un evento naturale). Gli ingredienti della mia personalissima e assolutamente poco oggettiva ricetta del bello consta di dettagli dissonanti, crepe, shock, tumulti e di un’insaziabile curiosità e voglia d’esplorazione”.

Quanto “pesano” il testo, la base, la voce nelle creazioni che maggiormente apprezzi? E, c’è qualcuno con il quale saresti entusiasta di collaborare? “Nei miei ascolti è molto più importante il blend tra composizione strumentale, eventuali voci e testo piuttosto che ciascuna specifica presa singolarmente. Ascolto musica nella maniera più genuina possibile, lasciandomi trasportare dalle sensazioni e cercando di evitare tutto quello che è cervellotico e che priva del gusto della scoperta. Ultimamente ho scoperto due producer italiani che mi hanno strappato il cuore e con i quali sarebbe davvero bello poter collaborare, ossia Matteo Tura e Yakamoto Kotzuga”. 

Quali ti sembrano che siano oggi gli stereotipi estetici/esteriori e gli atteggiamenti più radicati e perché in taluni individui c’è una sorta di ossessione di identificare il genere con il sesso di nascita (come se il nascere maschio o femmina implicasse l’imprescindibilità di alcuni comportamenti e determinasse l’insindacabilità di alcune preferenze invece di altre)? Gli stereotipi estetici che la società ci induce a seguire cambiano sempre a seconda di come essa stessa muta. Oggi noto un generale andamento verso una perfezione irraggiungibile, pelle sempre perfettamente (ritoccata) lineare, occhi grandi, corpi proporzionati. Per quanto riguarda il discorso sui generi, trovo risposta nel sistema patriarcale del quale si è intrisi e in una generale ignoranza su tematiche che è giusto vengano alla luce – ad esempio, si è spesso ignorato il fatto che molte persone non si riconoscano nel sesso di nascita e, a livello psicologico, questo fattore influisce non irrilevantemente. La realtà è piena di complessità e di sfaccettature, ostinarsi a guardarla come se fosse soltanto in bianco e nero non porta né a un dialogo, né a una risoluzione positiva”.  

Cosa ipotizzi che sia necessario e cosa imprescindibile, nel presente, per fare della propria passione una professione? In questo – per quello che ti concerne – i ricordi, la pianificazione e la progettualità, la sperimentazione e l’osare, l’istinto e la ragione quanto sono essenziali e in che misura veicolano o meno il tuo estro? “Per rendere la propria arte una professione, penso che siano necessarie tutta una serie di competenze teoriche e tecniche musicali… bisogna avere anche una mentalità proiettata al marketing e alla narrazione e, quale punto di partenza, occorre permettersi un ingente investimento economico. Tutti gli “ingredienti” da te nominati sono parte integrante del mio sentire artistico. Sono un’artista che guarda lontano e che progetta a lungo termine, sono control freak nei concetti e istintuale da morire nella creazione, nella riproduzione, nell’approccio sonoro. Una dualità, codesta mia, che rende ogni singola parte del processo creativo interessante e mai banale”.

A proposito di talent e di social, qual è il tuo pensiero al riguardo e con quale finalità ti approcci e utilizzi i secondi? “Non guardo i talent, poiché ho idea che la competizione sia una delle cose peggiori da accostare all’arte  (se, poi, di arte si tratta ché non è mica sempre detto che lo sia quella che vi ha luogo…). I social media sono degli specchi all’interno dei quali si può creare la narrazione che si desidera, con o senza una progettualità ben precisa e con o senza una sorta di coerenza interna. Prima di essere definitivamente bannata da Instagram, cercavo di utilizzarli come un sito nel quale esprimere tutto quello che mi tocca e che tocca la mia arte più o meno da vicino – miscelando, sperimentando, creando empatia con la mia community. Purtroppo, non accetto l’umiliazione dell’adattare le mie narrazioni a delle regole piene di zone grigie che non tollerano la libertà di espressione …per cui il mio rapporto con essi sta diventando sempre più sporadico e disincantato”.

15 Novembre 2022

Autore:

redazione


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