Vi sono dettagli, sconvenienti, irrisori, che attendono al buio, accantonati dagli anni, tramontati per le arringhe sociali, per il troppo chiacchiericcio sterile, usato per condannare, frettolosamente, l’arte che comunque, sotto le ceneri, non ha mai smesso di risplendere, aspettando di essere colta.
Ci sono voci, volti, inconfondibili stili di penna, tratti tangibili, stili del tutto unici, che il Novecento continua a raccontarci.
Ed ogni volta e come entrare a far parte di un mondo lontanissimo dal nostro, fatto di miserie, di racconti troppo irraggiungibili, per età, colore politico, appartenenza …
Ma quelle storie tutt’ora a portata di mano, ci parlano di un uomo capace di intersecarsi nel romanzo meschino della vita.
Nel bene e nel male, osannando, talvolta discriminando, flebilmente i tratti mai del tutto valutati.
Pier Paolo Pasolini è riuscito a indossare le nostre maschere, quelle sepolte apologie, che portiamo avanti con qualunquismo e miseria, opportunismo, rigidità, finto ripudio. Pier Paolo Pasolini di quelle maschere di borgata – e non solo, ha coltivato la scrittura, l’ossimoro, la bieca sincerità, la ricercatezza di un linguaggio mai lasciato a caso, tastando alacremente, ma anche sarcasticamente, ogni paradosso italiano, i nostri aspetti più reconditi, mettendoli a nudo, su carta, lasciando poi che la censura fosse sempre lì a obiettare, a far causa, a rendere imborghesita, la vera natura dell’uomo.
Pier Paolo Pasolini, quelle maschere, ha saputo incarnarle fedelmente, mettendo a fuoco la realtà, sapendo andare oltre, il disprezzo sottolineato anche dai compagni stessi.
Un tratto unico, uno stile inconfondibile, una marcia univoca, verso un compromesso che non sarebbe mai arrivato, icona perfetta di un Io che si faceva beffe del perbenismo nobile altrui.
Le borgate, la mai mutevole stagione feconda, il dialetto romano della sua penna, l’emarginazione colta e scolpita su carta, come sacrificio mai silente, incantevole paradigma, luoghi per sempre incisi nella memoria di un tempo che non è mai andato via … Pier Paolo Pasolini scavava, dentro le coscienze, dietro quelle maschere di effimera bellezza incontrate, abbordate dentro quei luoghi, ove la rincorsa di ogni linguaggio, metteva in fila quella cronologia semantica, concepita per afferrarne ogni suggestione, ogni attimo.
La psicologia perfetta dei ruoli, lo scambio di battute, la viscerale bellezza – nonché decadenza di luoghi simboli, per sempre scolpiti nell’immaginazione.
La stoicità sermonica, le dilatazioni mentali messe a disposizione di tutti. Pier Paolo Pasolini sviscerava il suo mondo, tassello dopo tassello, mettendo ordine, in quella didascalia umana che non avremmo mai potuto afferrare, talmente accecati dalla sua condotta sessuale, dai gusti promiscui, dagli insulti, che forse solo oggi, vengono messi da parte, dinnanzi al muro di umana bellezza, costruito dall’Artista – uomo, per giungere sino ai giorni nostri, con rarefatta melanconia.
Pier Paolo Pasolini sapeva, il dubbio della morte, la maledizione che si portava addosso, il peso, come un macigno insormontabile .. Ecco perché lo disse subito, di voler essere annoverato insieme ad Arthur Rimbaud, suo poeta prediletto, esponente della massima rivoluzione francese che fu. Pier Paolo Pasolini non avrebbe smesso di vivere da un giorno all’altro.
Troppa carne al fuoco, tante fiamme di benintesa rinascita, tante pagine da leggere e rileggere, velate stesure da amare, metafore aspre, veritiere, feroci, film indirettamente annoverati nell’immaginario collettivo.
Oggi vogliono tutti un pezzo di quel mondo pasoliniano denigrato e criticato.
Oggi tutti sembrano comprendere, la corrente libertaria di uno spirito libero, che come il Riccetto, non smetterà di andarsene nelle borgate della nostra vita.
Salvatore Piconese
Pasolini è morto nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista ed editorialista italiano. Lo si può considerare uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo.
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