Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone un’intervista di approfondimento al cantante nato il 27 ottobre 1995, a Como. È possibile visionare il profilo Instagram di Anto Paga cliccando su https://instagram.com/antopagaofficial?igshid=MzRlODBiNWFlZA==
Ciao! Nella nostra prima chiacchierata mi hai detto di aver intrapreso il tuo percorso artistico, inizialmente, scrivendo poesie e pensieri all’interno di un tuo diario personale – così da dare sfogo alla tua solitudine e alla tua emarginazione, nonché alla tua urgenza d’emancipazione. In inglese esistono due diverse accezioni proprio del termine solitudine ossia solitude, intesa come momento di raccoglimento e intimità e loneliness, intesa come isolamento (nell’accezione negativa del termine). In psicologia, appunto la parola solitudine viene accostata spesso al significato di isolamento [clicca qui https://www.unobravo.com/post/solitudine-cose-e-quando-chiedere-aiuto] ed ecco che ti chiedo se attualmente tu senti ancora o no di avere problemi legati alla costruzione di relazioni e altresì ti domando se oggigiorno la consideri insopportabile e in grado di innescare un circolo vizioso di sfiducia in se stessi tale da avere timore di perdere le relazioni ma anche di crearne di nuove.
Tu conosci qualche hikikomori, persone a te più o meno vicine che cioè si sono ritirate a vita privata e che non hanno più alcun contatto diretto col mondo esterno così da abbandonare ogni competizione e pressione di realizzazione sociale [clicca qui https://www.pacinimedicina.it/hikikomori-un-fenomeno-non-cosi-lontano]? “Non conosco alcuna persona con questa sindrome e, se mi capitasse di venire personalmente a conoscenza di qualcuno che ne soffre, mi dispiacerebbe molto sapere che c’è un essere umano che è incorso in una tale situazione di ritiro dalla vita sociale… perché – a mio avviso – la vita, indipendentemente da tutto, vale sempre la pena viverla a pieno e al massimo delle proprie capacità”.
Mi hai spiegato che <<Sicuramente assocerei il rosso a ciascuna delle fasi più significative della mia esistenza, perché ho vissuto periodi di amore folle così come periodi estremamente disastrosi e proprio il rosso mi ricorda e mi riporta appunto sia all’amore acceso che alla malinconia pura… Questo è anche il motivo per cui è il mio colore, in assoluto, preferito”. Esso, il rosso, è infatti simbolo di vita ma altresì del sangue che talvolta cruentemente e più o meno metaforicamente la sommerge o, comunque, che viene versato e lascia esanimi [clicca qui https://youtu.be/drbDS8EEDWc]. Ebbene tu hai o no una visione del mondo e dei dì vertente sul doppio binario di quanto ammalia per la sua bellezza e quanto di sinistro e/o doloroso, non di meno, si cela in essi? “Io ho una visione del mondo come chance, come possibilità e occasione favorevole per essere quello che si vuole e per fare tutto ciò che si desidera”.
Tue sono le parole: “La malinconia è il ponte che collega la mia visione con la realtà, ma conoscendomi di persona si capisce che in verità ho una doppia personalità perché il mio personaggio è diverso dal ragazzo che mostro d’essere. Solo chi mi sta davvero vicino sa qual è il mio vero io, che è il personaggio. Mi rendo conto che ciò può sembrare paradossale perché è sempre il contrario, cioè comunemente è il personaggio il lato finto della persona, tuttavia – nel mio caso – io sono quello che tutti sentono nei testi: malinconico, solitario e con un romanticismo a tratti folle, anche se in pochi appunto sono a conoscenza di questo mio lato (la parte più bella di me)”*. Per un/un’artista – secondo te – cos’è imprescindibile possedere e, visto che noi vediamo e ascoltiamo il cantante Anto Paga e non conosciamo direttamente il giovane uomo, hai voglia di raccontarci chi è Antonio Pagano? “Un/un’artista – oltre che talento, astuzia e determinazione – deve possedere originalità. Con queste quattro carte, si arriva ovunque si voglia. Io (in quanto persona) mi reputo un gran sognatore che ha fatto e che ha attinto dai propri sogni la forza per ricrearli nella realtà. Sono un eterno bambino che quando sale sul palco si sente così forte da poter stare a petto nudo davanti a migliaia di persone… ma che quando vi scende si mette in un angolo da solo, immerso nel proprio mondo [N.d.R. clicca qui https://www.instagram.com/reel/Ck8_vEcKeqb/?igshid=MTc4MmM1YmI2Ng==]”.
Citandoti nuovamente, hai dichiarato che: “Al momento non sento di avere un’esigenza particolare, se non quella di affermarmi in maniera lavorativa (vorrei salire sul palco del Festival di Sanremo). L’amore invece non è un’esigenza, bensì è un’emozione incondizionata a cui dai priorità su tutto – mentre se hai un irrefrenabile bisogno, sicuramente si può definire in altro modo”. Etimologicamente l’emozione è lo stato psichico affettivo che consiste nella reazione opposta dall’organismo a percezioni o rappresentazioni che ne turbano l’equilibrio eppure, nonostante ciò, puoi sostenere o no di aver provato amore per qualche partner che ti ha provocato forte turbamento e/o apprensione – e, se sì, come mai (cioè per quale motivo e su quale fronte nello specifico)? Sei ossia mai incappato in una relazione tossica, ammaliato e irretito da una narcisista o sei mai stato tu tale? “Sono stato in una relazione tossica più di una volta, ma non mi pento di alcunché… perché – grazie a loro – ora ragiono molto di più e non mi fermo all’apparenza o a cose futili come la bellezza esteriore di una persona. Ad oggi posso dare appunto per ogni relazione la spiegazione dettagliata della motivazione della rottura, in quanto ho imparato a conoscermi e a conoscere i vari tipi di carattere. Magari sbaglierò ancora proprio con una prossima relazione, tuttavia la cosa sicura è che lo farò con una consapevolezza che mi permetterà di commettere errori senza però mancare di rispetto a me stesso”.
Ho notato che hai più di un tatuaggio sul tuo corpo, pertanto ti chiedo se ti fa piacere parlarcene e condividere quale valore simbolico attribuisci loro. “I miei tatuaggi più significativi sono tre… il demone, che ho tatuato sul braccio, che indossa la maschera di una ragazza (rappresenta la relazione tossica più grande che ho avuto). Poi un cuore spezzato e ricucito (ad indicare il periodo più depresso della mia vita) e poi ancora un cuore diviso, che si completa con l’altra metà tatuata su mia sorella, che ho fatto appunto con lei”.
Come mai hai scelto di imparare a suonare il pianoforte ovvero, detto altrimenti, hai mai analizzato e trovato ragione di cosa ti ha incuriosito e attratto di tale meravigliosa tastiera? …io azzardo che in primis a livello intuitivo e inconscio, ancor prima che iniziassi a studiarlo, centri il tuo romanticismo e la tua passionalità travolgente e impulsiva da una parte e il tuo ripiegarti su te stesso in un intimismo poetico, sognatore, malinconico dall’altra (non a caso, proprio il pianoforte è lo strumento principe dell’epoca romantica poiché capace di dare voce e ali sia al lirismo intimo che all’acrobazia virtuosistica della musica dell’Ottocento). “C’è qualcosa nelle sonorità del pianoforte che mi calma e che mi fa viaggiare con la testa. È, questa, una sensazione che ho scoperto tardi purtroppo… ma se avessi avuto già anni fa tale sensazione, avrei di certo imparato prima d’oggi a suonarlo (prendo difatti lezioni da qualche mese, mentre in passato mi ci sono approcciato ed avvicinato per lo più da autodidatta).
Hai sottolineato, infine, che: “L’unica cosa che mi ha portato ad essere audace e a non fermarmi davanti ad alcunché è stato il fatto che credevo tanto nella mia musica e in quello che facevo, ci credevo infatti così tanto che tutto ciò che ho intrapreso aveva sempre come obiettivo proprio il farla arrivare a più gente possibile… e io sono certo che quando ci credi tanto e fai di tutto per affermarti, prima o poi, riesci nell’impresa. Le persone mi dicevano di andare a lavorare e di smetterla con le canzoni, che stavo diventando grande per continuare a fantasticare, ma ad oggi si complimentano affermando che hanno immancabilmente avuto fiducia in me”. Qual è quel “quid” che ti faceva e che ti fa credere inesorabilmente nella tua musica? Essa, inoltre, la percepisci maggiormente come una tua esigenza fine a se stessa o è soprattutto tesa a un ben preciso scopo di ordine persino utilitaristico? “Ciò che più di qualsiasi altra cosa mi fa credere nella musica sono le persone e il loro enorme supporto… ma di per sé essa – la musica appunto – è per me un calmante, uno psicologo e un amico a cui posso dire tutto senza essere giudicato. Posso assolutamente affermare che proprio la musica mi ha salvato la vita [N.d.R. io, Giulia, ammetto di aver sorriso di fronte a codesta tua affermazione poiché – dalla prima volta che ho ascoltato la tua canzone “Vorrei dirti” (clicca qui https://youtu.be/MunXqvs-Ml8) ed anche nei tuoi brani persino a seguire negli anni – ho avuto immediatamente come l’impressione che la tua lei ideale debba e non possa non essere una sorta di personificazione della Musica e viceversa, dacché è proprio quest’ultima ciò a cui tendi incondizionatamente… ed incondizionato è, per antonomasia, l’Amore!]”.
* Non posso non ammettere che penso di capire esattamente cosa intendi con codesta tua affermazione… Quando ti ho confessato che non posso fare a meno dell’arte, ma che ho spesso faticato a parlare di me in prima persona anche tramite essa è poiché io so che – in verità – è l’unico terreno in cui abbasso i miei cosiddetti aculei. Probabilmente, infatti, uno dei motivi per cui mi sono avvicinata alla recitazione con uno stage e poi con un corso attoriale è il fatto di volermi sentire libera e non appuntata criticamente e con malignità per quella che sono (“strana” e “difficile” per la maggior parte della gente) – dato che in molti erroneamente credono che nel recitare si finga mentre, invece, l’empatia necessaria al ben interpretare vuole che si abbassi la maschera portata nel quotidiano e quindi tale errata credenza incentiva persino a ciò (dacché taluni per l’appunto danno per scontato che la si stia indossando, la maschera da personaggio, e così non giudicano la persona).