Solidarietà al giornalista Antonio Mazzeo, mentre oggi a Patti si avvia il processo. Confidiamo che verrà fatta giustizia nel nome della libertà di informazione e del diritto di cronaca perché troppo spesso la stampa libera è sotto attacco di querele e minacce, non per ottenere rimedio a un torto subito, che qui non c’è stato secondo il pm, ma per intimorire con lo spauracchio del risarcimento danni chi cerca di raccontare la verità.
Oggi, giovedì 10 dicembre, alle ore 9, al Tribunale di Patti, Antonio Mazzeo, dovrà affrontare la prima udienza del processo, per diffamazione a mezzo stampa scaturito da una querela presentata dal Comune di Falcone per l’inchiesta pubblicata sul periodico I Siciliani giovani (n. 7 luglio-agosto 2012), dal titolo “Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona”.
Antonio Mazzeo, giornalista che ha più volte denunciato, scritto, documentato intrecci tra mafia e politica, tra affari e delinquenza, tra stato e logge massoniche, mettendoci sempre la faccia ed in prima linea nelle lotte pacifiste e per i diritti civili – leggi impegno no muos – dovrà affrontare la prima udienza del processo per diffamazione a mezzo stampa a seguito della querela presentata dal Comune di Falcone.
Mazzeo, in quell’articolo, aveva semplicemente raccontato, in una logica sequenze di dati e fatti, le origini e le dinamiche evolutive delle organizzazioni criminali legate che operavano sul territorio collegandole ad affari e investimenti. Un processo giornalistico deduttivo supportato dai riscontri emersi nelle diverse operazioni di polizia e indagini della magistratura sull’area compresa tra Falcone e Barcellona.
Un articolo dove Mazzeo ha parlato di speculazioni immobiliari, delle devastanti che aveva subito il territorio sotto il profilo ambientale e paesaggistico, scritto dei lavori di somma urgenza post alluvione del 2008.
Nulla di nuovo.
Antonio, da giornalista, ha esercitato un libero diritto di cronaca.
Fatti sui quali sono state presentate tre dettagliate interrogazioni parlamentari. Quelle di Antonio Di Pietro (Idv), di Domenico Scilipoti (Forza Italia), e dai deputati del Movimento 5 Stelle Francesco D’Uva (membro della Commissione Parlamentare Antimafia), Villarosa, Lorefice, Mannino, Dadone, Lupo, Sarti, Rizzo e Cancelleri.
“È necessario rilevare come nel territorio falconese sia emerso, nel corso degli anni, un preoccupante quadro di legami tra politica e criminalità organizzata, a seguito di numerose indagini e alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia, i quali, deponendo in sede di alcuni procedimenti giudiziari denominati Gotha e riguardanti il sistema mafioso di gestione degli appalti nel territorio barcellonese, avrebbero denunciato un sistema illecito attraverso il quale garantire l’affidamento dei lavori ad aziende legate alla criminalità organizzata”, scrivono i parlamentari di M5S. “In seguito alle numerose indagini portate avanti in questi anni dalle varie procure siciliane dal 2008 a oggi, tali dichiarazioni hanno potuto trovare effettivo riscontro nei numerosi arresti per associazione mafiosa a danno di imprenditori titolari di alcune delle ditte risultate vincitrici degli appalti; tra questi avvenimenti particolare rilievo assume proprio l’affidamento di parte dei lavori per la rimozione dal territorio dei fanghi causati dall’alluvione del 2008 a un imprenditore ritenuto legato ad ambienti di tipo malavitoso…”.
Ma questo non è bastato ed quindi Antonio, a causa di un’inchiesta giornalistica pubblicata, oggi dovrà sostenere un’accusa di diffamazione, anche se per quest’atto processuale già il Pm – la dottoressa Francesca Bonanzinga – ne aveva richiesto l’archiviazione affermando «seppur utilizza toni particolarmente forti ed espressioni suggestive – si legge riferendosi a Antonio Mazzeo – a parere di quest’ufficio, non travalica il limite di critica politica/storica posto che nella ricostruzione della storia del Comune di Falcone richiama fatti da sempre ricollegati al paese nonché problematiche sociali che attengono alla realtà del territorio locale».
Siamo convinti, come allora lo fu il Pm che “non sussistono, pertanto, elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dell’odierno indagato per il reato di cui all’.art. 595 c.p.» (diffamazione a mezzo stampa).
Questa redazione sa bene cosa vuol dire subire le pressioni per zittire “voci” scomode.
Confidiamo che verrà fatta giustizia nel nome della libertà di informazione e del diritto di cronaca perché troppo spesso la stampa libera è sotto attacco di querele e minacce, non per ottenere rimedio a un torto subito, che qui non c’è stato secondo il pm, ma per intimorire con lo spauracchio del risarcimento danni chi cerca di raccontare la verità.
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