ARCHITETTI – Su Largo Avignone interviene l’architetto Falzea
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ARCHITETTI – Su Largo Avignone interviene l’architetto Falzea

Il Presidente dell’Ordine degli Architetti di Messina Pino Falzea sul dibattito relativo all’intervento edilizio in Largo Avignone

Il vivace dibattito alimentato dall’intervento edilizio in quel che resta dell’antico largo Avignone, posto lungo la via Cesare Battisti, pone all’attenzione di tutti, ma di noi tecnici in particolare, due temi di importanza strategica per la riqualificazione sostenibile della nostra città:
1. Il recupero e riuso degli edifici storici;
2. La densificazione volumetrica nella città consolidata.
Premetto che il voler fare di questi temi occasione di battaglie demagogiche non è utile per combattere i fenomeni di degrado che caratterizzano Messina, né tantomeno è utile per il recupero e riuso del nostro patrimonio storico-artistico.
Per attivare processi di recupero degli edifici storici inutilizzati, è il più delle volte necessario individuare per gli stessi nuove funzioni che rendano ipotizzabile, anche dal punto di vista economico-finanziario, l’intervento da parte degli enti pubblici e/o degli imprenditori privati.
Pertanto dobbiamo pensare che se è a volte possibile ingessare una architettura di grandissimo pregio solo dal punto di vista della sua configurazione architettonica, non sempre è possibile congelarne la destinazione originaria.
Dobbiamo altresì pensare che a volte è anche possibile, o persino necessario, modificare le architetture storiche attraverso l’inserimento di elementi qualitativi di architettura contemporanea, per ridare alle stesse un senso compiuto di appartenenza alle dinamiche in continua evoluzione delle città.
In definitiva, vi sono casi in cui è possibile il recupero di un edificio storico esistente attraverso il sapiente uso di nuovi elementi architettonici, per addivenire ad una soluzione che sia sintesi e contaminazione tra tradizione e contemporaneità.
In questa logica mi sento di potere inquadrare il progetto per il recupero e riuso di ciò che rimane della storica cortina settecentesca di largo Avignone. Quel che resta, perché una parte di essa è stata demolita anni fa, la porzione verso Sud, per la costruzione di un nuovo edificio – peraltro mai realizzato – che non recuperava l’allineamento preesistente ma si spingeva verso la Via Cesare Battisti, occupando anche quella porzione di area venduta dal Comune di Messina ai privati (la traccia rimasta di Via Porta Imperiale).
Non si tratta di un intero quartiere storico, come ad esempio il Tirone, ma di una cortina di edifici settecenteschi esterni al centro storico, inseriti in un anonimo brano di città caratterizzato da palazzi residenziali per lo più privi di qualità architettonica. Edifici di pregio storico-documentale, abbandonati in uno stato di degrado assoluto, pericolanti, per i quali esiste un’ordinanza di demolizione alla quale, per fortuna, nessuno ha mai ottemperato.
Nei casi come quello in questione o si ottempera all’ordinanza di demolizione – e sarebbe un vero peccato in una città che riesce a conservare poco della sua storia – o si interviene, come attraverso un progetto da porre all’attenzione degli enti preposti alla sua per l’eventuale approvazione. Una terza possibilità, non ne vedo altre, vedrebbe l’intervento di un ente pubblico che, acquisendo il bene, ne proponga il restauro e riuso per la pubblica fruizione.
Mi sembra utile in questa vicenda riassumere il ruolo assunto dai vari enti pubblici presenti nel territorio messinese:
1. Nessun ente ha dimostrato alcun interesse al recupero per una fruizione pubblica dei manufatti in questione, ed il Comune in particolare ha approvato, rilasciando una concessione edilizia anni fa, la demolizione di una consistente porzione dei essi e la costruzione di un nuovo fabbricato che, come detto, avrebbe dovuto occupare persino il largo Avignone fino alla Via Cesare Battisti;
2. il Comune, con la redazione del PRG vigente, ha posto un vincolo di tipo urbanistico agli immobili in questione, classificandoli “A1” di interesse storico, ma ha escluso l’area dalla perimetrazione del Centro Storico della città;
3. la regione nel 2012 ha emanato il cd Piano Casa, prevedendo la possibilità di demolizione e ricostruzione – con incremento volumetrico – di edifici residenziali fatiscenti, per realizzare nuove architetture energeticamente autonome, escludendone l’applicabilità all’interno delle zone “A” così come perimetrate dallo strumento urbanistico ai sensi del DM 1444/68;
Quanto sopra ha indotto i proprietari a commissionare la elaborazione di un progetto che prevede il recupero e completamento delle fronti settecentesche, la realizzazione di una piazza nel largo Avignone che “entra”, attraverso un portico di uso pubblico, nell’edificio e si collega, con una scalinata anch’essa di uso pubblico, alla superiore Via degli Orti. Utilizzando inoltre il Piano Casa, è stato previsto un ampliamento volumetrico, concretizzato con l’inserimento di una torre residenziale arretrata rispetto al nuovo “largo” ed allineata con gli edifici della Via Aurelio Saffi, recuperando un dialogo urbano ed architettonico con l’ordine quadricolato del Piano Borzì. Un intervento che ha pertanto una valenza culturale, che può piacere o non piacere, ma che sottende uno studio della città e della sua storia.

4. il progetto ha ottenuto l’approvazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo sui beni storici: la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina.
5. il Comune si è opposto all’intervento non per la dubbia qualità del progetto stesso, ma in merito all’applicabilità del Piano Casa in un edificio storico.
Nel ruolo di Presidente dell’Ordine mi ha amareggiato, e non poco, leggere un intervento del Dirigente del Dipartimento Pianificazione del Comune di Messina, che ha scritto: “…….. I grandi palazzi storici vanno sempre tutelati – e ciò è fuori discussione – ma l’edilizia minore, che rappresenta la cultura e l’ arte popolare, va ugualmente conservata………. è quello che, ahimè inutilmente, cercai di far capire al Soprintendente di allora e ai progettisti del grattacielo (torre a vetri con incollata una facciata antica posticcia), in un incontro avvenuto alla Soprintendenza in una mattina d’ estate del 2013, che molti ricorderanno. Uscendo da quell’incontro mi domandai: chissà mai su quali testi di architettura, restauro/architettonico ed urbanistica tutti quei signori, seduti intorno al tavolo, si fossero formati? Me lo chiedo ancora adesso”.
Amareggiato perché un Dirigente dovrebbe possedere l’equilibrio di sostenere un dibattito sulla città in maniera garbata anche se ferma, anziché lanciarsi contro alcuni suoi colleghi, Soprintendente e progettista, mettendo pubblicamente in dubbio la qualità della loro formazione, sol perché non ne ha condiviso l’operato.
L’altro tema che brevemente provo ad affrontare, quello della densificazione di alcuni ambiti della città, lo trovo estremamente interessante per le nostre periferie, che hanno la necessità di essere rifondate attraverso programmi chiari di rigenerazione urbana:
– la densificazione può essere quantitativa, per permettere di concentrare in porzioni di città volumi necessari ad ospitare funzioni utili, senza occupare nuovo suolo;
– la densificazione deve essere anche qualitativa, programmando la realizzazione di architetture interessanti ed energeticamente sostenibili, concentrando volumi in edifici verticali per liberare territorio da destinare ad usi pubblici.

Su questi temi sarebbe utile confrontarsi, costruttivamente, con le amministrazioni locali per agevolare la trasformazione delle nostre comunità non “a prescindere”, ma secondo obiettivi chiari e condivisi ed una politica “industriale” delle costruzioni orientata verso lo sviluppo sostenibile della città:
1. limitando la dispersione urbana e frenando il consumo di nuovo suolo;
2. lavorando sulla densificazione in alcune aree, anche in altezza – attraverso proposte urbanistiche di dettaglio – per liberare spazi necessari a favorire la realizzazione di parchi urbani e/o ville di quartiere o altri servizi pubblici.
Le nuove architetture, nelle periferie degradate o nelle aree centrali prive di qualità, non sono il problema, sono la soluzione; senza il confronto però, tali nuove buone pratiche del costruire saranno difficilmente attuabili e le città saranno sempre più energivore ed inquinanti.
Questi ragionamenti sarebbero dovuti diventare l’ossatura portante della Variante di Salvaguardia Ambientale, che invece sembra non averli presi neanche in minima considerazione.
I programmi di trasformazione della città non possono ruotare attorno alle scelte di pochi, che anziché il confronto preventivo utile ad ascoltare le ragioni ed i suggerimenti degli “altri”, sembrano inseguire l’intesa successiva a “fatto compiuto”.
La strada giusta per la riqualificazione urbana, etica e culturale della nostra città non può che essere quella del confronto, del dialogo, della sana “competizione costruttiva”.

31 Gennaio 2018

Autore:

redazione


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