– di Corrado Speziale –
“L’Arte non è un caso”, mostra di Mantilla, da poco conclusasi nella nuova galleria Spazioquattro di via Ghibellina, ha offerto ai visitatori l’opportunità di ritrovare il tratto riconoscibile, denso d’umanità, passioni e riflessioni dell’artista messinese, una cui personale mancava da tempo nel contesto di uno spazio d’arte fruibile in città.
Intanto, da oggi, fino al 16 dicembre, Spazioquattro ospiterà la personale di Laura Martines “Amate Trame”.
Mosaico di stati d’animo, emozioni e condizioni della donna. Un’analisi dettata dallo sguardo etico di un grande artista messinese. Il ritorno di Pietro Mantineo, “Mantilla” per il mondo dell’arte, sulla scena delle “personali” a Messina, ha fatto riaccendere la mente sulla rappresentazione soggettiva della donna, fonte di vita, accompagnata da un’idea forte, un universo da rispettare, imprescindibile, insieme di spirito e corpo.
“L’Arte non è un caso”, presso Spazioquattro, in via Ghibellina 120 a Messina, ha rivelato e restituito un Mantilla sempre ispirato dalle forme descrittive della condizione umana, fatta di storie semplici, di movimenti immortalati come a sottoscrivere un gesto su cui interrogarsi, su cui riflettere. L’artista è libero nelle scelte e nei temi, vaga intorno alla storia che lo circonda, da cui coglie in divenire spunti di denuncia o anche semplici respiri quotidiani. Ed entrando nel soggetto, affascina e colpisce l’idea di trovarsi di fronte a un artista che ritaglia il suo mondo in uno studio piccolissimo, stracolmo di tele, colori e materiali vari, un caos meraviglioso che si sintetizza dentro un luogo dell’anima, un angolo privilegiato, uno spazio vitale da cui osservare il mondo in piena libertà. Lì, l’idea si trasferisce nel soggetto da creare, che nasce e cresce fino a quando l’artista non incrocia l’attimo in cui riflettere su una verità svelata, o piuttosto, su un dubbio che deve trovare riscontri, consegnandolo alla collettività.
Quella di Mantilla si percepisce come arte allo stato puro, che esprime una figurazione molto personale, sempre libera da vincoli e stereotipi, dal tratto spesso volutamente imperfetto, che rispecchia l’animo umano, dentro operazioni semplici, sincere ed autentiche. Egli dialoga col soggetto che crea, fino a renderlo autonomo e a volte sperso in contesti indefiniti, ma sempre supportato dal senso che l’ha ispirato: un’istanza o una denuncia etica, un fatto del giorno, un sogno irrequieto, giusto per citare tre paradigmi visibili.
“L’Arte non è un caso”, e non lo è neppure il concetto “donna” declinato nella mostra ed esposto sulle bianche pareti della sala. Certamente, Mantilla non è il tipo che si perde nelle emozioni e nelle suggestioni: veste le donne delle loro verità, piuttosto svestendole dai loro pregiudizi. I loro corpi hanno matrici e movimenti da ricercare in una risultante tra la vita reale e l’immaginazione dell’artista, il quale tende a riportarli in maniera discreta ed essenziale, mai retorica. Non passa inosservata la particolare attenzione riguardo all’atteggiamento: ogni donna è coinvolta e padrona della propria esistenza e nessuna prende le distanze dal proprio corpo. Ciò, indipendentemente dallo stato d’animo e dall’intraprendenza: “Son piaciuta così spogliata senza colore”.
Mantilla regala forme anatomiche e colori che descrivono una condizione esistenziale, focalizzata su una narrazione rivolta al femminile, con l’esigenza preminente di raccontare la vita. Ne è un esempio la donna incinta, tra preoccupazioni e sentimento: “Gravida nella vigna lasciata sola”; “Ricordo”; “Murales su tela”. Dopodiché, rivela talune trasformazioni: “La sirena sta diventando donna”; “Ritratto a mezzo busto con striscia bianca dalla nascita”, fino a rendere il soggetto donna “Figura incomprensibile” o “Nuda senza ombelico”. A poca distanza, coglie due opposti, un limite imposto: “Divieto d’incontro”; a fronte dell’essenza della relazione: il “Dialogo”.
A seguire, sposta il tema su ciò che è imponderabile, come l’impotenza dinnanzi all’irreale: “Il sogno mette il sognatore in un luogo sconosciuto”; “Il sogno senza immagini”; “Figura sullo Stretto”. Poi, la denuncia, la protesta e il coraggio nel contesto della percezione del dramma affrontato con personalità: “Allontanando la violenza”; “Ester abbandona”. Concetti veicolati anche attraverso l’espansività: “Nuda su poltrona Naif”; “Il falso pudore uccide la vita”. Dunque, la solitudine come condizione su cui riflettere, da superare: “Avvicinando l’indice e il pollice come accarezzare un altro corpo”. In mezzo, non manca un balzo istintivo, forse evitabile, ma prevedibile come riflesso della contemporaneità: “Modello con mascherina rossa con natura morta naturale”. Sempre sullo stesso fronte della sala ritroviamo “Studio ritratto”, un titolo unico per due pezzi che attingono a stati d’animo differenti. A loro volta, sul lato opposto spiccano le due opere più solari: una posa femminile senza titolo e una raffigurazione descrittiva, un istante che ci racconta un “Mare poco mosso con bagnanti sulla spiaggia”.
Infine, in un artista dotato di tale sensibilità, non poteva mancare il dolore, disegnato in maniera straordinaria: il “Ritratto di una lacrima” ci regala l’elemento centrale, conseguenza del più forte e incontrollato degli stati d’animo, con la tristezza del volto intorno.