– di Corrado Speziale –
Nella mostra tenutasi con successo al Monte di Pietà, l’artista messinese, “dialogando” come sempre in modo straordinario con la materia, ha offerto un “incontro” con il famoso psichiatra svizzero, tracciando un percorso secondo gli archetipi junghiani anima/animus. Da qui, l’utilizzo dei colori, interfacciando il rosso e il blu, e contrapponendo il bianco e il nero, come rappresentazione di luce e oscurità. La chiave stava nell’opera iniziale, incentrata sul Libro Rosso di Jung, dal quale l’artista ha estrapolato dodici frasi che davano l’input al visitatore. In mostra quasi cento opere, distribuite in due sale, comprendenti tre installazioni, tutte con un unico titolo: “Stati d’animo”. Il testo del catalogo e la presentazione dell’evento sono stati curati dalla storica e critica d’arte Mariateresa Zagone e dallo psichiatra Matteo Allone.
Le sue prime opere le realizzò all’età di 16 anni. Si trattava di due sculture che il padre vendette ad un magistrato siracusano, di Ortigia. Da quel piccolo guadagno in tempi difficili, di cui beneficiò la sua famiglia, quel ragazzo fece tesoro e non si fermò più. Stello Quartarone, classe 1947, artista autodidatta, in mezzo secolo di attività, storie da raccontare ne ha tante, anzi, tantissime. Tutte con un senso compiuto, mai lasciate fini a se stesse. Potrebbe farlo utilizzando le parole, ma preferisce esprimersi attraverso la sua straordinaria vena artistica, unica nel suo genere. “Io nella mia vita ad ogni ‘personale’, attraverso le mie opere, ho raccontato una storia. Questa è l’ultima in ordine di tempo. La prossima volta ne racconterò un’altra. Già so qual è. Poi ne racconterò un’altra e poi un’altra ancora…” Le sue parole denotano consapevolezza e determinazione in ciò che pensa e in ciò che la sua mente e le sue mani mettono in atto. E’ un artista puro, esperto, creativo, libero da preconcetti. Un grande lavoratore: riesce a trascorrere anche venti ore al giorno nel suo studio, dentro la “mitica” Arthouse Gallery, casa sua, trasformata in opera d’arte. Sa trattare la materia come pochissimi nel suo campo: ispirazione, concezione delle forme e dei colori, scelta e trattamento dei materiali, utilizzo della tecnica appropriata, fanno un tutt’uno che produce un’arte sempre densa di significati. Dopodiché, intuito e spontaneità, saper cogliere l’attimo per immortalare la materia in divenire, plasmata al punto giusto, sono sue doti innate, difficilmente ripetibili. Quartarone non è riconoscibile per il genere della sua arte, ma per il taglio dei movimenti che gli sono propri, di pari passo con i suoi stati d’animo pronti ad incrociare quelli dei visitatori. Questa è la sua firma. “Stati d’animo” è il nome che l’artista ha inteso dare alle sue opere, tutte insieme, indistintamente, andate in mostra al Monte di Pietà. L’ultima sua personale in città era stata “Kosmos – Solleva l’arte”, alla Badiazza, nel 2014, mentre al Monte di Pietà mancava dal marzo 2013. Quella fu l’occasione di “Mutamenti della materia”, una sua “personale” che rispecchiava straordinariamente la personalità dell’artista. Allora ci disse: “Le mie opere sono anche frutto di scavi interiori. Noi abbiamo tanto materiale dentro, talvolta il nostro inconscio è incredibile”. Ecco allora, “Alter/Native”, un viaggio interiore, articolato tra gli archetipi di Carl Gustav Jung, grande psichiatra svizzero, padre della psicologia analitica. Quattro colori dominanti, il rosso e il blu, anima/animus, il bianco e il nero, luce e oscurità. Un percorso sensazionale, dove il linguaggio dell’arte dialoga con quello della psiche: la sensibilità di Quartarone non può prescindere da una giusta “dose” di inconscio. Lo stesso vale per il visitatore, chiamato ad immergersi nelle visioni dell’autore al passo con le proprie. Il percorso inizia con una sorta di “altare laico”, dinnanzi al quale sedersi ed entrare in sintonia con Jung: il Libro Rosso del grande studioso svizzero, con le 12 frasi selezionate dall’autore, daranno l’input a chi lo intraprende. Accanto, le due fonti di luce che si interfacciano, rossa e blu. Supervisiona il tutto Daimon, una figura apparentemente ombrosa e inquietante ma positiva, tra il divino e l’umano, dispensatrice di destini. “Nel momento in cui il nostro inconscio emerge può diventare nemico, così come nostro amico, da cui troviamo vocazione. Qui che il nostro ‘io’ si dipana nella sua vera natura”. Questa l’analisi di Mariateresa Zagone, insegnante, storica e critica d’arte che ha curato il testo del catalogo e la presentazione dell’evento. “Si tratta di una mostra complessa, nonostante l’apparente aspetto giocoso – ha scritto nella sua recensione – perché complesso e faticoso è scrollarsi di dosso convinzioni sociali e personali costruite lungo un’intera esistenza e riscoprire l’infantile creatività e il potenziale individuale, scendere nell’abisso dell’io e riuscire a raggiungere la realizzazione esistenziale”. Stesso impegno nella mostra per Matteo Allone, psichiatra e psicologo analista junghiano per eccellenza, che con Quartarone, tra l’altro, ha condiviso interessanti esperienze all’ex ospedale “Mandalari”. “L’artista, attraverso l’opera – ha detto Allone – unisce ciò che noi non riusciamo a unire, ciò che ci sembra sempre contrapposto”. In questo è riuscito Quartarone. “L’arte – ha scritto Allone – è una via privilegiata per esprimere le proprie rivelatrici immagini interiori e Stello Quartarone ne è consapevole. Il tributo a Jung è il riconoscimento che il lavoro creativo è un opus nel quale l’artista rivela se stesso”.
Una prerogativa significativa di Quartarone sono sicuramente i materiali che impiega, quasi in possesso di una “vita” precedente e adesso riutilizzati: ciò che era oggetto, adesso si trasforma in arte. Pannelli ricavati da sportelli d’armadio-guardaroba in disuso, in cui è stata lasciata l’anima di cartone con disegno a nido d’ape, trattata con colori intensi e resistenti che tessono forme variegate, a secondo da dove ci si posiziona: “Guarda qui, osserva bene, vedi l’universo…!”, commenta l’artista, capace di emozionarsi dinnanzi ad una propria opera. “La struttura in cartoncino disegna una geografia dell’anima”, aveva detto Mariateresa Zagone alla presentazione. Ricorrono nella mostra tessuti finissimi in tela, ad utilizzo navale, molto resistenti, e di canapa, trattati con resina trasparente ad acqua, senza solventi. Pitto-sculture lavorate con carta incollata su legno. Le parti di un grande tappeto di lana dei primi del 900, appartenuto a suo tempo alla nonna di un’amica dell’artista, fanno bella mostra di sé sotto forma di prati, giardini ben curati, innestati nelle pitture. “L’artista costruisce e reinventa forme seguendo l’estetica surrealista dell’objet trouvé con un approccio non concettuale ma istintuale e manuale”, scrive Mariateresa Zagone. Nella seconda sala, addossate alla parete, quattro installazioni per far suonare e giocare ragazzi e adulti: immergersi in una dimensione ludica, dà il senso puro della libertà e dell’armonia nel ritrovare la parte nascosta di se stessi.
Al centro della sala, una delle opere simbolo di Stello Quartarone realizzate nell’ultimo periodo, la più “vissuta” dai visitatori: “Bambini del mondo amano giocare per la libertà”. L’installazione era stata realizzata per Fiumara d’Arte di Antonio Presti, accanto alla Piramide 38° Parallelo, in occasione dell’ultimo Rito della Luce. Un tappeto che rappresenta un mondo spaccato a metà, due bimbi che giocano a palla lungo i margini della linea rossa che sta in mezzo, a rappresentare la ferita, il dolore che separa le due parti: una bianca, il bene; l’altra nera, il male, tendente a chiazzarsi di bianco, contagiarsi della parte buona. “Questi bambini – dice l’artista – stanno giocando per la libertà del mondo. A loro non interessa se sei nero, bianco o rosso, non contemplano la differenza, per loro gli esseri umani sono tutti uguali. Vorrei che un giorno questo tappeto diventasse tutto bianco, segno di purezza. E’ utopia, ma mai disperare”.
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