Da un po’ di tempo, seguendo l’informazione distorta che viene data quasi a 360 gradi sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 300 del 1970), sono stato tentato di prendere carta e penna e, nel mio piccolo, da ex sindacalista e da lavoratore dipendente, e perché no, anche da Sindaco, dire la mia.
Sentire raccontare fandonie da troppe parti alla fine disturba e credo che imbrogliare la gente non sia eticamente corretto.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le dichiarazioni che oggi Walter Veltroni ha rilasciato a Repubblica, con le quali ha affermato che non ci si può fermare di fronte ai “santuari del no, che hanno paralizzato l’Italia per decenni”.
Pazzesco, perché non stiamo parlando di Sacconi che, insieme a tutto il centrodestra, aveva l’obiettivo di smantellare il movimento sindacale, ma di una persona che ha fatto sognare tanti di noi, che è stato segretario di partito, Sindaco di Roma, Ministro, Vicepresidente del Consiglio e, in ultimo, nel 2008 candidato alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri.
Trovo singolare che da un decennio si continui a dibattere su questo tema, soprattutto perché nel 2000 il Popolo italiano, bocciando il referendum promosso dai Radicali, si è pronunciato senza ambiguità. L’affluenza non è stata altissima, ma su quel 32 per cento di elettori, due terzi (oltre il 66 per cento) hanno votato contro l’abolizione dell’articolo 18.
Andava messa una pietra tombale da subito, caro Veltroni, altro che paralizzare l’Italia.
Più volte, vista la stagnazione politica che blocca ogni rinnovamento all’interno del Pd, ho pensato di condividere l’idea di rottamazione portata avanti da Matteo Renzi, Sindaco di Firenze, ma partendo dal presupposto (a questo punto mi rendo conto che forse ho sbagliato) che il nuovismo improvvisato non porta frutti, ho preferito restare semplicemente in una posizione critica.
Eppure, avrei tanti motivi per seguire Renzi, anche per quello che ha fatto negli anni il partito nel nostro comprensorio, in provincia di Messina e in Sicilia.
Tornando alla riflessione sul tema dico che quelle affermazioni sembrano provenire da un uomo disperato, che non sa più a quali argomenti debba aggrapparsi per far parlare di sé. E scrivo questo perché mi rifiuto di pensare che Veltroni sconosca i contenuti dell’articolo 18.
Piuttosto che intestarsi una battaglia per fare in modo che quella norma, esempio di civiltà a garanzia della dignità degli individui prima ancora che dei lavoratori, sia estesa anche a chi lavora nelle imprese con meno di 15 dipendenti (questa si che è una vera ingiustizia), si mette ad inseguire le politiche messe in atto da un decennio dalla destra, che aveva, quale unico obiettivo, quello di debellare il sindacalismo unitario, ultimo baluardo della democrazia.
Stiamo pagando già da ora le frammentazioni del sindacato, che conduce battaglie fratricide in posizione di subalternità.
Chi vuole accontentarsi delle briciole è libero di farlo, ma nel terzo millennio pensavamo di trovare ben altre condizioni di vita.
Tornando alla mistificazione messa in atto da chi si ostina a tentare di abolire l’articolo 18, la cosa fondamentale da ribadire è che esiste già la possibilità di licenziare un dipendente (sia pubblico, che privato), per tutti i motivi che non fanno parte delle libertà individuali. Ad esempio, si può licenziare per ragioni economiche, per insubordinazione, motivi disciplinari, per crisi aziendale ed altro.
Con l’articolo 18, invece, non si può licenziare SENZA giusta causa o senza giustificato motivo.
Che significa?
Vuol dire semplicemente che l’azienda non si può disfare di un dipendente perché è cristiano, musulmano o ebreo, non può licenziarlo perché iscritto al sindacato. Non può mandare un lavoratore a casa perché è politicamente di centro, di destra o di sinistra.
Non può licenziare una giovane donna perché ha deciso di procreare, circostanza che fa scattare i diritti e le prerogative sulla tutela della maternità. Non si può licenziare perché una donna non è accondiscendente a certe voglie di qualche datore di lavoro senza scrupoli.
Senza l’articolo 18 significa che queste libertà potranno essere oggetto di ricatto da parte di chi, comunque, in quanto padrone, rispetto al lavoratore è in una posizione di forza.
Caro Veltroni, ci vuoi spiegare quale forma di sviluppo blocca questo principio di avanzata civiltà giuridica?
Le imprese non assumono perché c’è l’articolo 18? Ma se nell’85 per cento delle aziende non si applica, perché tanta ostinazione?
Negli ultimi anni ci avete spiegato (pure tu) che la flessibilità e la precarietà, come il lavoro interinale, avrebbero portato sviluppo e occupazione. Bene, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Viviamo solo di precariato e di incertezze.
Veltroni dice che quella sull’articolo 18 “è una battaglia di sinistra”. Bene, mi auguro che la sua lotta sia per estendere lo statuto a tutti i lavoratori, compresi quelli che dipendono dalle imprese con meno di 15 dipendenti e non per togliere una norma introdotta in tempi molti più difficili e che oggi, piuttosto che andare avanti, vogliono riportarci alla sudditanza del passato.
E allora smettiamola con la demagogia! Pensate piuttosto di inventarvi qualcosa per promuovere una adeguata politica industriale (nel nostro Paese inesistente), che sappia competere con l’estero, che sia in grado di qualificare e formare le maestranze, che investa nella ricerca e nella qualità.
E questo non può passare sulla testa dei lavoratori, ma pretendiamo che le garanzie le dia il Governo, trovando adeguate politiche per la crescita e lo sviluppo al passo con i tempi e non arroccati (loro si che lo sono) su posizioni da prima e seconda rivoluzione industriale.
Sono convinto che nella vita pubblica e nelle istituzioni debbano essere portate le esperienze che vengono dal mondo del lavoro e dalle professioni.
Caro Veltroni, vedi di andare un po’ a lavorare. Così forse capirai qualcosa in più dalla vita, perché la tua è stata sempre beneficiaria di tanti, troppi, privilegi.
Basilio Caruso
www.comune.santangelodibrolo.me.it