L’analisi di Giovanni Frazzica
conosciamo un termine nuovo e inquietante il “lavoro povero”
Recentemente Pier Ferdinando Casini ha presentato un suo libro intitolato: “C’era una volta la politica”. Dopo 40 anni di presenza nelle aule parlamentari, il leader democristiano manifesta la profonda consapevolezza che qualcosa è veramente cambiato nella politica italiana.
Allo stesso modo Giorgio Benvenuto, uno dei leaders della leggendaria “triplice sindacale”, potrebbe dire “c’era una volta il sindacato”. Ma nel Paese c’è tutto, la politica il sindacato, anche Confindustria, che non è più quella di Agnelli e Cuccia, però il panorama di oggi è diverso, forse peggiore. In particolare uno dei temi che un tempo vivacizzava la vita politica era la lotta di classe. Beh, anche qui, si potrebbe dire “c’era una volta la lotta di classe”.
Ma perché non c’è più? L’Italia ha raggiunto livelli altissimi di benessere e di giustizia sociale? Ha forse risolto la questione meridionale?
Assolutamente no, la povertà è aumentata, facendoci conoscere anche un termine nuovo e inquietante il “lavoro povero”.
La Sanità è precipitata drammaticamente ai minimi storici e la Questione Meridionale, è tutt’altro che risolta, anzi è peggiorata, mentre nell’Agenda del Governo hanno priorità le riforme istituzionali, l’Autonomia Differenziata, il Presidenzialismo. In aggiunta alla storica costante opera di sopraffazione che il Nord ha sempre esercitato nei confronti del Sud si è evidenziata anche la cosiddetta lotta dei territori, una sorta di concorrenza, talvolta sleale, che essendo priva di una strategia di largo respiro, finisce con l’agevolare ulteriormente il vero potere che, a prescindere dal colore dei governi, era e rimane padano-centrico. Nel quadro più generale della discriminazione nord sud c’è sempre chi ha la peggio e, se si esaminano alcuni dati, la più svantaggiata sembra proprio essere la Sicilia.
L’Isola è la seconda regione agricola d’Europa (prima è la Lombardia) solo perché non è sufficientemente industrializzata e per la irrisolta continuità territoriale, i prodotti agricoli siciliani infatti arrivano in ritardo in Europa non solo rispetto a quelli a quelli spagnoli, ma anche dopo quelli provenienti da altre regioni italiane. Inoltre il cosiddetto caro voli, che penalizza residenti e turisti, è un grave handicap per l’economia siciliana.
Da un esame comparativo, fatto solo con qualche esempio, la Sardegna è in vantaggio sul costo sei trasporti, la politica pugliese è riuscita, in maniera subdola e trasversale, ad ottenere il cambio del tracciato dell’Alta Velocità Napoli-Reggio Calabria in Napoli-Bari.
Ora una delle motivazioni che viene avanzata contro il Ponte sullo Stretto di Messina è che senza l’alta velocità non serve a molto ma, non a caso, proprio l’alta velocità è stata sabotata, una autentica beffa.
E mentre dicono le più incredibili bugie per disorientare l’opinione pubblica sulla utilità di costruire il Ponte, nell’azzurro mare di Genova-Portofino si sta procedendo alla costruzione di una colossale diga da un miliardo di euro di cemento armato che potrebbe segnare, una volta ultimata, la fine del porto di Gioia Tauro e modificare le rotte delle navi da crociera nel Tirreno, con potenziale svantaggio per gli scali di Palermo e di Messina.
Il porto di Genova attualmente, a causa dei fondali bassi non può accogliere le grandi navi. Ragion per cui, se non c’è una conoscenza ampia della dinamica dell’economia e dei trasporti ed una adeguata visione politica, la guerra dei territori diventa una guerra per bande, nella fattispecie “bande di lazzaroni”.