Categories: Cronaca Provinciale

Bent Parodi di Belsito è morto

Scompare una delle figure culturali europee più elevate.

di Ornella Fanzone

Il 16 dicembre 2009 si è spento improvvisamente per un arresto cardiocircolatorio all’Ospedale Civico di Palermo. Per sua volontà, le spoglie riposeranno accanto ai suoi illustri cugini Piccolo, nella cappella di famiglia presso il cimitero di Capo d’Orlando.

Nipote del Principe Raniero Alliata di Pietratagliata e cugino dei fratelli Piccolo di Calanovella, si separa da noi l’ultimo dei “Gattopardi”. Importante testimone di una fetta rilevante della storia di Sicilia, scompare una tra le figure culturali sicuramente più elevate dell’intero panorama italiano ed europeo.

Un genio dalle caratteristiche uniche. Lascia un vuoto davvero incolmabile in chi lo conobbe ed apprezzò. E l’intero mondo culturale ne risulta oggi fortemente impoverito.

E’ spontaneo e immediato il ricordo di un concetto epicureo a lui molto caro che capitava spesso di sentirgli enunciare:”E’ stupido avere paura della morte perché quando ci sono io la morte non c’è, quando c’è la morte non ci sono io”.

Del resto, Bent Parodi, aveva, con la sua dimensione terrena, un rapporto alquanto fuori dal comune. Amava affermare che aveva trascorso l’intera vita percependosi “Anima in un corpo” e solo negli ultimi anni, a causa di una serie di malesseri che erano sopraggiunti, aveva dovuto accorgersi, controvoglia, di avere un corpo. Esso gli richiedeva cure ed attenzioni che lui, con insofferenza, si sforzava di dargli, ma senza grande successo.

Questa dimensione infatti gli stava troppo stretta. La sua anima era talmente bella, talmente elevata e libera da non riuscire a zavorrarsi in un corpo, se non con grande fatica.

D’altro canto, il suo amore smisurato per gli studi filosofici, la passione per il mito, per i classici greci e latini, dei quali era un raffinatissimo cultore, l’interesse per la filosofia, per l’esoterismo, il sufismo, non potevano che testimoniare questa sua insopprimibile vocazione a “trascendere”, superando quell’immanentismo che finisce per condizionare l’essere umano.

Bent era un uomo libero.

Profondamente libero. Libero nell’esprimersi, libero nel comportarsi. Coerente. Fedele sempre e soltanto a se stesso. Giornalista di razza, aveva scritto per il Giornale di Sicilia, dove aveva prima diretto per diversi anni la pagina culturale, per poi diventare responsabile delle pagine della cronaca. Presidente per due mandati dell’Ordine dei Giornalisti Siciliani, era anche consigliere di quello nazionale, ed aveva ricoperto cariche onorifiche di grande prestigio in tutta Italia nei cenacoli culturali e filosofici. Impareggiabile oratore, era dotato di una favella musicale e fluida, capace di incantare, letteralmente, il suo uditorio. Il suo “pubblico”. Perché pubblico ci si sentiva anche se si parlava con lui “vis à vis”.

Affabulatore. Uomo dalla cultura”enciclopedica”. Non c’era campo dello scibile della conoscenza umana che il suo cervello raffinato ed intelligente non avesse indagato. Intellettuale a tutto tondo, dalla memoria spaventosa. E come tutte le persone sagge, era fermamente convinto che mai il sapere può dirsi compiuto, e mai l’uomo deve smettere di interrogarsi, poiché, come dice Gibran, “Quando si arriva alla fine del sapere, si è sulla soglia del conoscere”.

Apprezzato e noto per le sue capacità su tutto il territorio italiano e  d’oltr’alpe, era richiesto e conteso relatore, in ogni contesto culturale dove si muovessero materie delle quali gli era riconosciuta un’ indiscussa competenza.

Ascoltarlo era un piacere per la mente e per l’anima, dotato com’era della straordinaria capacità di intrattenere su dottissime argomentazioni, talvolta difficili nel loro articolarsi, riuscendo a rendere fruibili anche dai profani le materie più ostiche e complesse. Capacità che, solo chi possiede la piena consapevolezza di ciò che dice, è in grado di esercitare così agevolmente e con  così tanta maestrìa.

Ecco che era frequente sentirlo conversare di poesia e letteratura, vedendolo passare poi, con una straordinaria fluidità argomentativa nello stesso contesto, dalla politica, al cinema, dall’arte, al teatro, sfiorando con agilità impressionante, argomenti di botanica, di musica e perfino di culinaria, condendo il tutto con innumerevoli aneddoti e con quel suo inconfondibile senso dell’ironia e dell’umorismo. Ci si congedava da lui sicuramente arricchiti. Discepoli che hanno avuto la fortuna di partecipare alla lezione poliedrica e stimolante di un Maestro carismatico. Osservatore dei comportamenti umani,ogni persona che entrava nel suo raggio d’azione, avvertiva la sensazione piena di essere presa in considerazione, con rispetto e atteggiamento garbato.

Convinto assertore del socratico “Conosci te stesso”, partiva dalla convinzione che soltanto attraverso una buona pratica introspettiva si può avere uno sguardo lucido e consapevole sul mondo. I tanti studi condotti lo consolidavano in quest’idea.

Amante del bello, attraverso ogni sua espressione,era ossequioso nei confronti della natura, dell’universo, del quale vedeva l’uomo sì importante elemento, ma non figura impositiva o prevaricatrice sul resto del cosmo, poiché era convinto che si facesse parte di un “Tutto” a cui armoniosamente ogni elemento tendesse, per ricongiungersi all’eterno ed alla perfezione da cui promana.

Si beava della perfezione della natura, ne era entusiasta. Ricordo, durante l’ultima intervista  rilasciatami qualche mese fa, nel giardino di Villa Piccolo, che doveva servire per la prefazione del nuovo catalogo della Fondazione prossimamente alle stampe, mentre mi sommergeva di preziose ed interessanti informazioni sulla famiglia Piccolo,con estrema semplicità si interrompeva spesso per ammirare lo splendido contesto naturale nel quale ci trovavamo, esortandomi, con l’entusiasmo fresco di un bambino, a fotografare la Puja Berteroniana, pianta importata dall’America e coltivata da Agata Giovanna Piccolo, la cui insolita e copiosissima fioritura giudicava un evento da immortalare.

Instancabile nella sua attività di organizzatore di eventi culturali, seguiva personalmente quasi tutti gli appuntamenti che la Fondazione inseriva nel suo calendario ed ogni occasione, con la sua presenza, assumeva contorni di grande spessore.

Sostenitore della Fondazione, di cui fu presidente per venticinque anni, si era speso per questa causa sempre con passione autentica e dedizione  disinteressata, lottando per l’ottenimento di tanti obbiettivi, crucciandosi e accumulando tanta amarezza lì dove incappava in impedimenti di ogni genere, segnali di insensibilità verso la cultura in generale.

Bent Parodi era un aristocratico autentico. Affabile e disponibile con tutti, come sa esserlo con naturale predisposizione, solo chi è  veramente nobile nell’animo. Era accogliente ed ospitale, amante della buona tavola e della convivialità.

Negli ultimi tempi, forse per l’incedere dei suoi malesseri fisici, forse per un’acquisita disincantata consapevolezza, faceva spesso riferimento, con molta amarezza, allo scadimento dei valori umani. Affermava che l’uomo moderno si allontana inesorabilmente dall’idea di “Bello” nel suo significato più elevato, binomio quasi inscindibile dal concetto di “Buono”, individuando in ciò una vera e propria parabola discendente, qualora non riesca in tempo ad accorgersi della necessità del recupero della sua più alta natura, esprimendo la volontà di  ricondurre pian piano l’esistenza ad una dimensione più squisitamente umana, sottraendola al dominio di quei falsi valori, quali il successo, il denaro, il potere, la competizione sfrenata, che oramai hanno assunto le caratteristiche di dettami scontati, paradigmi inevitabili del vivere quotidiano.

Tirrannia al cui perverso assoggettamento tutta l’umanità appare rassegnata a non potere più sottrarsi.

Bent Parodi mancherà a tutti, col suo sorriso sornione, col suo incedere pacioso, perennemente avvolto dalla cortina di fumo della sua inseparabile sigaretta tra le dita.

Lo ringraziamo degli innumerevoli doni di sé profusi a tutti coloro che ebbero il privilegio di conoscerlo ed amarlo ed all’umanità intera, sicuri che continuerà a vivere con la testimonianza della sua esistenza tanto speciale di cui, anche attraverso i suoi numerosi scritti, ha lasciato profonda ed importante traccia.

Ornella Fanzone

Chi è Bent Parodi

Bent Parodi di Belsito, nasce a Copenaghen il 7 marzo 1943.

Trascorre la giovinezza nella vecchia dimora paterna alla Kalsa, in via Alloro, e le sue frequentazioni giovanili, tutte o quasi inserite nel contesto gattopardesco di cui egli fa parte, vedono emergere figure che condizioneranno fin da fanciullo le sue passioni e, di conseguenza, la sua vita.
 Determinanti sulla sua formaazione furono alcune figure, come quella della nonna, Elisabetta Valguarnera Niscemi, che fu la prima a trasmettergli l’amore verso la cultura egizia, o quella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che nel 1957 a 14 anni, lo esorterà a non mollare raccomandandogli impegno e tenacia negli studi (“continua così, professore, e non mollare mai. Se è scritto, un giorno, potresti diventare qualcuno”) e della moglie di questi, Alexandra Wolff-Stomersee, pioniera della psicanalisi, che si rivelò uno stimolo non indifferente verso la ricerca del pensiero, sempre pronta ad invitarlo alle riunioni del suo circolo culturale a casa Tomasi.
 Ma tra tutte le figure che lo circondano ne emergono soprattutto due: quella dello zio, il Principe Raniero Alliata di Pietratagliata, al quale lo legò, fin dall’età di sette anni, una lunga e avventurosa amicizia (e che lo spinse ad approfondire lo studio dei classici, della filosofia e degli insetti, tanto da diventare un riconosciuto e sapiente entomologo; è sua tra l’altro la scoperta sulle Madonie della Rosalia Alpina e della Parnasius Apollo), e quella dei Baroni Piccolo, figli della baronessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò.
 In una età generalmente dedicata ai giochi, Bent, affascinato dalla profonda conoscenza dei miti e delle leggende dell’antica Grecia, trascorreva le sue ore sui libri, quando non alternava le visite a casa di Raniero, alle visite ai Piccolo, ai quali era altrettanto legato, cercando una risposta ai suoi primi interrogativi (di natura conoscitiva dei piani dell’essere), e bilanciando, nella sua formazione, il forte occidentalismo del primo con la visione eterica e poetica dei secondi.
 Nasce così, nel tempo, un amore per una cultura non solo da ritenere ma da agire, con la solarità trasmessagli dalla nonna Elisabetta che lo contraddistingue sempre; una cultura e una solarità da ridistribuire a coloro che lo circondano, insieme ad una concezione di vita che riunisce indissolubilmente in sé il mito e il quotidiano, senza che tra questi due fattori ci possa essere una pur minima incompatibilità, e con una fiducia che ne impronta ogni gesto e ogni decisione.
 Da sempre innamorato della Sicilia e della sua rusticità, Bent affermerà in più di una occasione di considerare di pari importanza, per la sua formazione, la cultura contadina quanto quella aristocratica. Innamorato di Capo d’Orlando, come della tenuta della Babbaluciara di Santa Margherita Belice, non esiterà ad evocarne le origini intrise del mito ad ogni occasione ed in ogni pubblicazione che solo glielo consenta; Capo d’Orlando così torna ad essere Agatirno, città fondata da Agatirso, figlio di Eolo, re dei venti, il cui nome significa “super-iniziato”, e i Monti Nebrodi, da nebrodes, cerbiatto, animale caro a Dioniso e ai suoi riti. Eccoli nelle sue note: ( “… a monte, fra le creste collinari dei Nebrodi, lo sguardo si acquieta perdendosi all’orizzonte tra l’azzurro intenso del mare e le isole Eolie, d’una bellezza quasi irreale”).
 Bent accoppia ad un ottimismo senza limiti, che lo ha aiutato in più di un’occasione a superare i momenti difficili (facendone un precursore del “pensiero positivo” della new age), uno spirito critico in costante attività che gli fa passare e ripassare al setaccio qualsiasi pensiero possa avere il sapore della rivelazione tanto ricercata; così, mentre gusta senza remore la poesia delle parole di Lucio (“guarda l’acqua inesplicabile, a un suo tocco l’universo è labile”), le risposte di Casimiro (“sono gli spiriti elementari dei luoghi che parlano alla luce e a chi sa ascoltarne la voce…” ) o i consigli del buon Fortunio, suo padre, (“Sì, è dal mare che è venuta la vita profonda …” … “sai, le radici spesso si occultano. Il più grande peccato è dimenticare e l’uomo dimentica …”) non manca di sottolineare, pur senza cattiveria alcuna, le debolezze dei suoi pur amati maestri (come gli occhi storti di Raniero innamorato o la scimmia adorata di Lucio).
 Bent manifesta sempre un equilibrio innato, che sembra generato dalla presenza controllata degli estremi, e testimoniato dal saper passare, senza traumi e senza scosse, dalla visione bucolica della natura, come quando, nel Natale del’ 54, sul monte San Salvatore si “sente “immerso nel “tutto” scandito da un “ritmico pulsare,” alla declamazione a braccio di un classico delle Enneadi di Plotino.
 I suoi ricordi sono la memoria storica dei gattopardi siciliani; studioso e scrittore, tra la carriera universitaria e la professione giornalistica sceglie la seconda; una scelta che lo porterà a dirigere con grande professionalità la pagina della “Cultura e Spettacoli”del GdS, e a presiedere l’ Ordine dei Giornalisti di Sicilia per due legislature, e, oggi, a ricoprire la carica di consigliere nazionale dell’Ordine a Roma.
 Laureato in Filosofia, specializzandosi nella storia del Mito e delle Religioni, ha ottenuto nel 1980 il premio Nietzsche.
 Presidente della Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella, voluta da Casimiro prima di morire, ha fatto suo, riversandovi tutto l’amore e l’impegno di cui è capace, l’obiettivo di salvaguardarne il ruolo di faro dell’arte e della civiltà e di promotore e divulgatore della cultura e dell’arte.
 Instancabile e attivissimo, ospitale e gioviale come sempre, Bent lo si può incontrare in una delle tante città d’arte a dissertare della Tradizione solare, come a Villa Piccolo, seduto sotto il pino centenario (pare risalga ai tempi di Napoleone) che ospitò i lunghi dialoghi di arte, pensiero, cultura e arcano, tra il poeta Lucio e Tomasi di Lampedusa, a ricevere gli ospiti che amano frequentare un luogo che egli ama definire una “officina a cielo aperto” e che non ha mai smesso di essere una realtà dove presente e passato si scambiano i ruoli; un luogo dal quale, al tramonto, è ancora possibile ammirare il raggio verde e scambiare amabilmente due chiacchiere con l’ultimo dei gattopardi, così come è nella tradizione: nobile, aristocratico e liberale. (elm)

 I libri di Parodi

Tra i suoi libri, si ricordano: Akenaton la religione del sole (Palumbo, Palermo 1982); Nietzsche (Patron, Bologna 1984); Gli scarabei egizi in Sicilia (Fardelliana, Trapani 1984); La parola svelata(La Palma, Palermo 1985); Il Principe mago (Sellerio, Palermo 1986; versione Integrale, Capo d’Orlando 2002); L’iniziazione (Pungitopo, Patti 1986; Moggi, Roma 2002); Architettura e mito (Pungitopo, Patti 1987); Mimesis ( Milano 2006); Il mito dell’amore (Ediprint, Siracusa 1991); Oltre lo zero (Pungitopo, Patti 1992); Miti e storie della Sicilia antica (Moretti & Vitali, Bergamo 2005); La tradizione solare nell’antico Egitto (Ashram Vidya, Roma 2005); L’avventura della vita (Armando Siciliano, Messina 2005); Cognomi siciliani (Armando Siciliano, Messina 2005); Dizionario dei nomi (Armando Siciliano, Messina 2008).

Tratto dal sito ufficiale della Fondazione Piccolo http://www.fondazionepiccolo.it/Xpiccolo/Area1/ITA/ITA/Static/personaggi/BentParodi.htm

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