Cronaca

BEPPE ALFANO – 25 ANNI SENZA GIUSTIZIA

8 GENNAIO DI TANTI ANNI FA – BEPPE ALFANO “PRESENTE”!
L’Amministrazione Comunale di Barcellona ha infatti organizzato una breve cerimonia nel giorno dell’anniversario dell’omicidio avvenuto in Via Marconi. Proprio in Via Marconi, davanti alla lapide che ricorda il sacrificio del cronista del quotidiano “La Sicilia”, si ritroveranno le autorità. Successivamente sarà deposta una corona di fiori e si terrà un momento di preghiera. In attesa di una verità processuale riproponiamo quanto già scritto, in memoria di un amico.

 

Sono passati 25 anni dall’omicidio di Beppe Alfano, ma il ricordo del suo impegno e del suo lavoro sono rimasti indelebili nella memoria e nella storia della Sicilia. E vanno ben oltre le targhe e le commemorazioni. Alfano – spirito ribelle, a tratti difficile, poco incline alle regole, militante prima della “Giovane Italia”, poi del Fronte della Gioventù, quindi del Msi – ma con simpatie giovanili, mai sopite del tutto, verso l’estrema destra extraparlamentare – ha rappresentato, in una Barcellona terra di frontiera, l’informazione libera e “strafottente”, che non teme la mafia e i poteri forti, che li racconta e li denuncia malgrado le difficoltà del vivere in territori difficili.

L’avvocato Renato Maria Lo Presti, di Capo d’Orlando dove Alfano spesso si recava – curò – prima che un infarto stroncasse la sua vita – anche alcuni aspetti dei primi processi su suo omicidio.

La mafia ha sempre avuto paura della cultura e dell’informazione che rendono i cittadini consapevoli e questo lo riscontriamo ancora oggi.

Sono tanti i cronisti minacciati per via delle loro inchieste, costretti in alcuni casi a vivere sotto scorta e, in un Paese normale, tutto questo non dovrebbe accadere.

A chi gli va meglio, semplicemente minacciati, sotto il peso delle querele, dell’ostracismo, della ghettizzazione, in una logica di non far fare serenamente questo splendido mestiere.

Nel ricordare oggi Beppe Alfano, si ricorda il “ragazzo” dalla barba e dal sorriso aperto, dalla risata rumorosa, dal vigoroso abbraccio, dalla stretta di mano amicale, dal saluto romano sempre pronto, anche quando il Movimento Sociale aveva scelto di mostrarsi sotto altre forme,  e anche chi ha fatto e continua a fare del giornalismo un impegno professionale etico e civile, libero e coraggioso, e quindi a tutti i giovani che si affacciano a questo mestiere mossi da passione ed entusiasmo e che con il loro grande impegno quotidiano onorano la memoria di colleghi che non ci sono più.

Ma chi era Beppe Alfano

Più volte definito come un “cane sciolto”, Beppe perde “consapevolmente” la vita l’8 gennaio del 1993.

Aveva firmato inchieste scomode, da corrispondente de “la Sicilia”, aveva toccato i poteri forti e deviati operanti sul territorio.

Certamente le sue amicizie della politica “militante” non erano lo scudo necessario per proteggerlo.

Di orientamento politico di estrema destra, ci piace ricordarlo così, inquadrandolo anche nel periodo storico di una Barcellona “nera”, dove convivevano più anime, dove un saluto romano, univa gruppi giovanili, anche anagraficamente distanti.

Dove c’erano i neri cattolici, quelli legati all’antica mafia con il senso dell’onore e del rispetto, chi era vicino ai poteri democristiani imperanti, chi voleva solo i treni in orario, chi si sentiva guelfo e chi era ghibellino, e poi c’erano i neri, allora, “puri”.

Beppe Alfano guardava, giovanissimo,- come tanti a Barcellona e sui Nebrodi –  con simpatia Ordine Nuovo, poi Avanguardia Nazionale, primo nei cortei e nei servizi d’ordine, poi entrò nel nel Movimento Sociale Italiano, c’era Almirante, ma ne venne sbattuto fuori per aver denunciato connivenze, silenzi ed atteggiamenti deprecabili di vario tipo di alcune cariche dell’ MSI a Barcellona.

Ritornò a Barcellona, nasceva la stella politica di Mimmo Nania.

Lui entrò in quel gruppo politico, in linea con il partito, pur mantenendo buoni rapporti con gli altri gruppi radicali – allora si chiamavano estremi – quelli di Giovanni Sturniolo, di Peppino Siracusano che con tanti giovanissimi, a Messina, come Daniele Tranchita, roteano intorno alla libreria La Piramide, e poi ancora con i  fratelli Bucalo, Alizzi, di Massimo Scaffidi, Renato Lo Presti, Benedetto Vinciullo e Pietro Miraglia, nell’area nebroidea.

Molti al tempo si chiesero il perchè di quella scelta.

Beppe era stimato e voluto bene. Lui spesso era intollerante e ne parlava in giro nell’ambiente, per esempio proprio con Renato Lo Presti, quando andava a Capo d’Orlando.

Fu così che l’avvocato orlandino, prima di morire, curò anche alcuni aspetti dei primi processi su suo omicidio.

Aveva fatto esperienze politiche in giro per l’Italia, e divenne “il professore”, infatti insegnava educazione tecnica presso la scuola media della vicina Terme Vigliatore.

Aveva iniziato anche a scrivere.

Un amore a prima vista per il giornalismo di frontiera.

Fu infatti corrispondente del quotidiano “La Sicilia” come cronista giudiziario per le vicende riguardanti la provincia di Messina, un territorio interessato in quel periodo da una sanguinosissima guerra di mafia e da sempre definito, erroneamente, una “provincia babba”, inetta, stupida, per la presunta mancata capacità della criminalità locale di organizzarsi per sfruttare i grandi flussi di denaro.

In realtà il sistema Messina definito dalla commissione antimafia presieduta da Nicki Vendola come un “Verminaio”, è una macchina perfettamente collaudata che coinvolge tutti i livelli della vita cittadina e che destina il territorio a luogo di latitanza dorata per i super boss oltre che a stabile punto di incontro tra i poteri leciti e quelli illeciti.

Non a caso Messina è la città con il più alto numero di logge massoniche di tutta Italia.

Beppe Alfano, conscio di questo sistema criminoso, denunciò le gravi anomalie del sistema Messina subendo per questo gravi minacce.

La sera dell’ 8 Gennaio del 1993, di ritorno dall’ospedale nel quale la moglie, lavorava come infermiera, si fermò davanti casa e dopo aver fatto entrare la moglie in casa intimandole di chiudersi dentro, riparti alla volta di qualcosa o qualcuno che aveva attirato la sua attenzione.

Fu ritrovato poche ore dopo, vicino casa, nella sua auto, con il finestrino abbassato, segno evidente che stesse parlando con qualcuno.

Il suo corpo esanime presentava tre colpi di piccolo calibro.

Uno sulla mano, evidentemente provò d’istinto a parare il colpo, uno al petto, uno sulla tempia destra e l’ultimo in bocca. Beppe Alfano doveva tacere e quell’ultimo colpo fu la firma che la mafia lasciò sul suo cadavere.

Le inchieste giornalistiche condotte da Alfano furono molte e si crede, ragionevolmente, che non abbia avuto il tempo di ultimarle tutte. Alfano era certamente venuto a conoscenza di qualcosa di inquietante, qualcosa che non doveva essere svelato, qualcosa che andava nascosto a tutti i costi e che portò la mafia barcellonese a decidere la sua eliminazione fisica.

La notte dell’omicidio, i Servizi Segreti Italiani, fecero irruzione in casa del giornalista sequestrando di soppiatto tutti i carteggi ed i documenti raccolti da Alfano.

Il suo computer, esaminato soltanto un decennio dopo la sua morte, risultò manomesso svariate volte nel corso degli anni.

Dei documenti così come del contenuto del suo computer non si ha pià traccia.

Le piste che gli inquirenti intrapresero dopo la sua morte furono molteplici e molte delle quali possono essere definite veri e propri depistaggi a mezzo istituzionale.

Inizi anche una campagna denigratoria, pesante ed infangante.

Donne, carte, scommesse e chi ne ha più ne metta.

Fu financo detto che Beppe Alfano fosse un viveur e che il suo omicidio fosse da ricollegare alla pista passionale.

La diffamazione:  una consuetudine mafiosa ben conosciuta alle cronache.

Quando l’eliminazione fisica non basta per spazzare via il pensiero di un uomo si prova ad infangarne la memoria.

E’ andata così per ognuno degli otto giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia.

Peppino Impastato fu “suicidato”,

Cosimo Cristina si suicidò anch’egli perchè “era depresso”,

Pippo Fava era un “puttaniere”, e cosi discorrendo omicidio dopo omicidio.

Tra le tante inchieste svolte, aveva ad esempio smascherato un’enorme truffa ai danni dell’Unione Europea attorno alla quale gravitavano gli interessi di Nitto Santapaola ed un sistema di assunzioni di amici e parenti di boss all’interno dell’AIAS, l’associazione di assistenza ai disabili.

Fu il presidente di quest’ultima associazione ad invitare calorosamente Alfano a smettere di svolgere la sua attività giornalistica e sempre quest’ultimo diede al giornalista l’annuncio della sua morte: “Alfano, tu al 20 di gennaio non ci arrivi”.



L’ iter giudiziario che avrebbe dovuto fare chiarezza sulla sua morte si è fermato alla condanna dell’esecutore materiale, Antonino Merlino e del mandante Giuseppe Gullotti.

Durante il corso dell’iter processuale sono stati assolti o archiviati diversi personaggi, sulle cui responsabilità non è mai stata fatta piena luce.

Maurizio Avola, ex sicario di Cosa Nostra e collaboratore di giustizia, reo confesso di ben 80 omicidi tra cui quello di un altro giornalista siciliano, Pippo Fava, e coinvolto nelle stragi del 92, ha parlato agli inquirenti anche dell’omicidio Alfano.

Secondo il pentito: “Beppe Alfano sarebbe stato ucciso da Cosa Nostra perché aveva scoperto che, dietro il commercio degli agrumi nella zona tirrenica messinese, si nasconderebbero gli interessi economici della Santapaola e d’insospettabili imprenditori legati alla massoneria. “Il vero mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, si chiama Sindoni, è un grosso massone […] Sindoni è un potente massone che conosce tutta la magistratura, quella corrotta logicamente: ha importanti amicizie al Ministero e un po’ ovunque.

Poi, sempre parlando di soldi, tantissimi giri di soldi insieme ai Santapaola, ai barcellonesi, ai messinesi, nel traffico delle arance.

L’omicidio Alfano scaturisce perché il giornalista aveva capito chi era il vero boss nella sua zona e che amicizie avesse questa persona, un vero intoccabile.

Il periodo non era quello giusto per fare quest’omicidio, però chi era il personaggio gli si doveva fare (non si poteva dire di no, ndr)”.

In seguito il pentito dichiarerà di aver reso dichiarazioni soltanto sulla figura di Giuseppe Gullotti, ritrattando di fatto il resto delle cose dette.

E’ proprio Avola a rivelare agli inquirenti che Beppe Alfano aveva scoperto che il super boss Nitto Santapaola si nascondeva proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, in via Trento, a pochi metri dall’abitazione del giornalista.

“La verità su Alfano? – ha dichiarato ancora il pentito – Gli inquirenti hanno puntato tutto sulla gestione dell’Aias, sbagliando.

Lo dico perché in un primo tempo dovevo preparare proprio io il suo omicidio e quello di Claudio Fava.

Marcello D’Agata mi bloccò dicendomi che, per Alfano, ci avrebbero pensato i barcellonesi, Pippo Gullotti e Giovanni Sindoni.

Anche i killers sono del luogo.

Due. […] Esiste una ‘super-loggia’, una sorta di nuova P2 che ha deciso certe cose in Italia. Non ho raccontato questa verità ai giudici di Messina, proprio perché sapevo che Giovanni Sindoni è amico d’alcuni magistrati corrotti.

testi tratti da:

Blunotte: Il caso Beppe Alfano

Blunotte: Messina, un enigma da decifrare

www.familiarivittimedimafia.com

 

Redazione Scomunicando.it

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