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Retroscena di “Marina a Tindari”

Se lo scrittore Giuseppe Alibrandi è persona a conoscenza dei fatti – vuoi per la frequentazione del pittore e dello scrittore del Sorriso e per l’uscita recente della Senia del Brigantino che ha comportato una riscoperta di certe “affinità” artistiche tra i due – Sergio invece ne è protagonista!

Tornando di recente a quelle res letterarie – di solito Sergio pubblica su WordPress.com – scrive ne La luce della Sicilia nella pittura di M. Spadaro: «Nel 1972 (dal 15 al 30 aprile) Michele tiene una personale alla Galleria Giovio di Como, nel cui catalogo riporta il brano che gli aveva scritto appositamente Vincenzo Consolo, osservando la sua serie di marine tindaritane, e che apparirà poi in parte ne Il Sorriso dell’ignoto marinaio (p. 7 del primo capitolo nell’Edizione Einaudi: da “Il sole raggiante” a rimescola le masse”). All’inaugurazione, chi scrive fece però una sorpresa allo scrittore: gli presentò e lesse un fascicoletto in cui il suo brano, corredato da un commento critico, era presentato con scansioni metriche e strofiche, secondo la musicalità e il ritmo che esso possedeva e che d’altronde caratterizza la sua opera più connotata in senso espressivo (tanto che il fascicolo, successivamente, fu citato da Antonio Cremona e da Sergio Palumbo come scritto in tale veste da Consolo stesso). Il fascicolo era intitolato Marina a Tindari, e fu tirato in cento copie numerate progressivamente su carta Fabriano a mano, presso la stabilimento grafico del Cav. De Marchi Piero in Vercelli.

Catalogo della mostra di Michele Spadaro e il volumetto interpretativo di Marina a Tindari, il primo segmento testuale del Sorriso (Cp. I), oltre ad aver visto la luce nell’ed. Manusé del 1975, fanno parte della tesi di Dottorato presentata da Nicolò Messina (Madrid, 2007) “Per una edizione critico-genetica dell’opera narrativa di Vincenzo Consolo Il Sorriso dell’Ignoto Marinaio” all’Università Complutense de Madrid (Facoltà de Filologia-Dipartimento di Filologia italiana).

Non so se filologicamente è corretto affermare che esiste piena corrispondenza fra le parole dello scrittore e le immagini del pittore. Ma ricordo che quando sollecitai, in qualità di testimone, Sergio a scrivere per una Retrospettiva del fratello e quindi chiesi di scrivere delle “affinità letterarie e pittoriche” tra i due, mi rispose che tali affinità tra Michele e Enzo “riguardano solo le caratteristiche del paesaggio arido e soleggiato della marina tindaritana (quelle descritte da Enzo [Sorriso] da “E fuori era il vuoto” … fino a “l’ala d’un uccello che trapassa”). E chiarendo il pensiero continua «Consolo prese il “pezzo” per Michele stralciandolo dal primo capitolo del “Sorriso” che aveva già scritto (solo quello ancora). Io lo suddivisi secondo un certo ordine metrico (al punto che qualcuno – a es. Sergio Palumbo – parlò di “Consolo in versi”). Ma non sono in grado di dire se prima Consolo aveva visto i quadri di mio fratello (molto probabilmente sì, perché quando dice testualmente “Ma per certo sulla tremula landa sconfinata / navigò qualcun altro puntiglioso / scoraggiando la perdita, il malessere: di quel luogo tremendo / ne riportò i segni, l’idea”, etcetera. Queste parole si riferiscono al pittore che, con i suoi segni, aveva dato ordine, sconfitto lo “sgomento” che invece aveva preso prima il viandante che aveva attraversato quella plaga (Consolo stesso). Oltretutto nel suo “andare”, nemmeno attorno al “ficodindia” quello sperduto aveva girato (e il ficodindia era quello rappresentato nella “marina” di Michele)». (Staiano, Testimonianze di un mondo perduto)