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Brolesi – “Peppinello”

 

Giuseppe Garofalo: per tutti era “Peppinello”, e così immediatamente arriva il sorriso. Certo che lo rammentiamo, lo ravvisiamo, riemergono i particolari.

A dirla così è difficile identificare la fisionomia, il volto, il personaggio al nome.

L’Uomo.

Per tutti era “Peppinello”, e così immediatamente arriva il sorriso. Certo che lo rammentiamo, lo ravvisiamo, riemergono i particolari. Il ricordo non è per nulla sbiadito.

Il ricordo … di questa bella persona, sciarpa, giacca cammello, all’opera tra le pratiche dell’assicurazione, su una bella macchina o tra i banchi del Comune.

Per quelli di mezz’età, che lo ricordano ancora bene, è stato l’enfant prodige di una politica dal percorso talvolta incrociato, altre volte vicino ma molto spesso distante da quello della dynasty politica brolese per eccellenza: la famiglia Germanà.

L’avvocato, altra definizione – per lui che non l’aveva mai fatto seriamente – amava la vita, il buon leggere, mangiare meglio, la poesia, il racconto ed il raccontarsi. Guardava la vita con altri occhi.

Sprecati per Brolo.

Riguardo ai rapporti col suo paese, questi possono essere riassunti con qualche aneddoto davvero significativo.

Da ragazzino, nel corso delle scorrazzate e le giocate per le campagne di Brolo, assieme ai suoi coetanei, andava a “rubare” mandarini finanche nelle proprietà del padre, il dottore Garofalo, per l’imbarazzo della terribile “guardia giurata” che con il cappello tra il ferroviere ed il carabiniere, incuteva paura solo a guardagli la grande pancia, e i “campieri”, costretti loro malgrado a chiudere un occhio dinnanzi a tali ragazzate.

i Campieri

“Campieri” che guardava con dignità: era il lavoro della loro vita.

“Campieri” che invece guardava con evidente disprezzo, erano quelli che si affacciavano alla politica del tempo: i servi di sempre.

Gli amici, da parte loro, godevano eccome di quella grazia inusuale, di quell’ingenua strafottenza, di non essere attento alla “roba”, in un paese dove la proprietà terriera era difesa anche con l’uso delle armi a dispetto di un’umanità che non abitava certo nei piani alti del latifondo.

Ma la famiglia Garofalo era un’eccezione.

Lo è sempre stata.

Ed ancora la grande casa, in piazza Due Palme, quella comunemente intesa del “dottore” la dice lunga, con le sue vetrate, i giardini d’inverno, l’affaccio sul “timpone”, l’androne con i marmi cromatici, la grande coppiera in vetro di murano ad un passo da dove c’era l’ambulatorio di Giacinto.

Pediatra, dottore, ostetrico, ginecologo, chirurgo … amico, dispensatore di consigli, di soldi se non c’erano per comprare le medicine da Giulio, il farmacista. Era il dottore per antonomasia che si muoveva con il ciuco, sotto le bombe degli americani, per andare a far sgravare la partoriente, a curare gli sfollati a Lacco.

Padre e figlio, erano l’emblema, pertanto, di persone generose.

“Peppinello” era uno del popolo nonostante le origini aristocratiche della sua famiglia che vantava avi spagnoli. Erano stati vicerè del paese, avevano ospitato scrittori e viaggiatori. Don Giacinto conservava disegni dei suoi avi sacerdoti e notabili, non si sa perché, erano giunti definitivamente a Brolo, dopo aver abitato anche a Piraino.

Lui sapeva stare, in comunità, con tutti, al di là dell’estrazione sociale e politica di ciascuno.

Ci giocava con gli amici del “popolo” a carte da Donna Rosa, al bar di don Nino Condipodero, compare del padre, barbiere del re, si prendeva il caffè, poi al Circolo, o sulla passeggiata gioiosana, con il Negus e con i suoi coetanei, figli di una dolce vita gattopardiana, si godeva gli anni della gioventù. Amava i cavalli, ci giocava … altro che salette computerizzate dei nostri giorni.

I fratelli Gumina, Pippo Giuffrè, Calogerino Ricciardo, Nino Speziale, gli Spanò erano i suoi amici di sempre. Poi ne vennero altri, di buon e cattivo tempo.

E quando sulle gambe malferme, rimaneva sul balcone di casa a guardare una villa che ingiustificatamente nessuno dedicò al padre. In tanti e soprattutto i giovani andavano a trovarlo, fino alla fine.

Ma tornando al padre.

Il dottore era un gentiluomo dal piglio aristocratico e liberale che intratteneva amicizie anche ad alti livelli, pur non facendo mai vanto od ostentazione di tutto questo. Dal suo studio, dalla sua tavola, da quei balconi che guardavano la Chiesa, nella casa che condivideva con la moglie Emanuela – conosciuta da tutti come la “signora Nelly” – passavano i vari Martino e La Malfa,  ex ministri del re e fondatori della Repubblica, forse in odor della massoneria del tempo, ma certamente i padri dell’Italia che sarebbe venuta. Ma nessuno quasi ne sapeva nulla.

Discrezione.

Il “dottore” viveva la sua professione – che visti i tempi era più che altro una missione – in maniera totalizzante: era il medico di tutti, l’unico, il personaggio più rispettato del paese, il punto di riferimento. La vita sociale e successivamente politica dell’avvocato Garofalo non poté così affrancarsi dalla grossa eredità morale lasciatagli dal padre.

Qualche ricordo, risalente alle prime esperienze politiche in paese di Peppinello, riporta ad una campagna elettorale a metà degli anni 60.

Il padre viene duramente e volgarmente apostrofato da un militante di sinistra, candidato in una lista opposta a quella del figlio, perché “colto” nel corso di una visita domiciliare in una contrada del paese. Per alcuni era lì a dar volantini e fax simile.

Evidentemente, in tempo d’elezioni, mezzora da trascorrere presso una famiglia fa effetto scambiarla per attività clientelare a vantaggio del figlio in lista, cui portare voti preziosi facendo leva sulla professione di medico.

Risultato: “Nessuno tocchi la credibilità e l’onestà del dottor Garofalo”. La gente si riversa davanti alla casa di quest’ultimo per portare solidarietà, e così un effetto boomerang irrompe su chi aveva sollevato la questione. Questo l’epilogo: ad urne aperte, una valanga di voti vanno a Peppinello che così riesce a superare nientemeno che il sindaco Germanà, l’onorevole, il capolista che per trent’anni fu sindaco del paese.

Giuseppe Garofalo alla fine, nella vita, al di là della politica, di mestiere, si ritrovò a fare l’assicuratore. Sua l’agenzia Sai, che aveva sede al primo piano di via Libertà, nel primo ”grattacielo” del paese, il palazzone a 5 piani eretto dai Giuffrè, allora non ancora indissolubilmente soci dei cugini Agnello. Poi, trasferì il tutto in piazza Dante, vicino all’amico Catano, con dipendenti storici Pina e Carmelo (quello con i baffi) … da sempre.

Dalla fine degli anni 60, fino alle soglie degli anni 80, prima consigliere comunale, poi vicesindaco e quindi Sindaco di Brolo masticò sempre politica, ambiente in cui sembrava esserci nato. E marcò anche il sogno di andar alla presidenza della Provincia di Messina, con la sua lista “Democratici e Libertari”.

Un sogno legittimo, per lui che era già stato già consigliere provinciale.

Una campagna elettorale gaia, serena, gioiosa, quasi goliardica. Ma ricca di contenuti, di amicizie ritrovate. con un Emilio Ricciardi diventato simpatico, quanto improbabile, chauffeur, compagno fidato di quell’avventura politica.

La prima fase della sua esperienza amministrativa, assieme a quella degli altri giovani del tempo, è stata caratterizzata dalla figura dell’on. Nino Germanà, plenipotenziario uomo politico della DC, per decenni assessore regionale e Sindaco di Brolo in due fasi: per quasi trent’anni consecutivi fino al 1974 e in un successivo biennio a cavallo del 1980. Germanà, amico di Lima, Fanfani, Florena ed alla fine di quell’epopea di Merlino, ma prima ancora amico e poi nemico di Gullotti. A quell’epoca Peppino Garofalo, da Vicesindaco, fu uno dei grandi artefici dell’interruzione dell’era Germanà, lanciando il paese verso l’apertura a sinistra, dialogando con gli  indipendenti moderati, vicini o fuorusciti dalla DC.

A quel tempo, assieme ai suoi compagni di percorso, fu avversario di Saro Lione.

“Così si interrompeva l’egemonia delle caste brolesi che dal 1812 al 1974 si erano alternate alla guida del paese. (…) In Italia era il periodo del cambiamento, così si può dire che Brolo, con l’impegno degli esponenti della sinistra storica, ha dato il via ad una sorta di compromesso storico”, scrive Nino Speziale – primo sindaco dopo il trentennio Germanà – nella sua autobiografia “Le piene del torrente e della vita”, dato alle stampe nel 2013.

Garofalo, resterà nei ricordi brolesi per essere stato tra i più amati amministratori “laici” del tempo, e sicuramente quello più vicino al sentir ed alle esigenze della gente.

Ed uno dei motivi è qui sintetizzato: la sua famiglia, tra le maggiori proprietarie terriere del paese, in tempi nascenti dell’edilizia locale, è stata quella che ha più dato in termini di aree da destinare ad usi pubblici nel corso della crescita urbana del centro di Brolo.

Le scuole elementari, le case popolari di via Libertà, la villa comunale, buona parte delle strade centrali sono sorte proprio in terreni espropriati bonariamente alla famiglia Garofalo, mentre altre “famiglie” del tempo iniziavano a stendere sui tavoli planimetrie ed adocchiare questa o quell’area da destinare ad edilizia nel nascente Programma di fabbricazione.

E nonostante ciò, Garofalo è colui che ha pagato di più in termini di carriera politica, serenità e immagine personale: il ciclone giudiziario nel quale fu coinvolto nel 1981, da cui molto presto ne uscì fuori, esploso nel corso dell’ultima sindacatura di Germanà – ritornato nel frattempo alla ribalta – segnò una fase politica determinante per la sua vita.

Sarà il Partito Repubblicano, con riferimento al Deputato Regionale Salvatore Natoli a segnare la seconda parte della sua vita politica, nella quale ha occupato il ruolo di Consigliere Provinciale per vari mandati. Quella nel partito dell’Edera è stata un’esperienza vissuta da Peppinello Garofalo sicuramente con più maturità e consapevolezza. In questa fase, incrocerà nuovamente il suo percorso con un altro Germanà, Ninì, figlio del vecchio onorevole, nel frattempo fuoruscito dagli insidiosi labirinti della DC, e accasatosi, col suo cospicuo pacchetto di voti nel PRI.

Qui, però, le distanze con Garofalo si ripresentarono all’atto in cui Germanà pensò bene di fare gruppo con Aristide Gunnella, più che discusso plenipotenziario deputato di Mazara del Vallo, successivamente coinvolto nella Tangentopoli siciliana e inquisito per mafia.

Germanà, che nel suo collegio elettorale intentò una sfida tutta interna al PRI contro Garofalo e Natoli, spaccando in due il partito di La Malfa a Brolo e dintorni, ben presto pagò a caro prezzo questa scelta: non andò oltre la IX Legislatura, perché alla X, nel 1987, non venne rieletto.

Garofalo ha vissuto esperienze politiche sicuramente convulse, ma non dette mai l’impressione di soffrire per tutto ciò. La simpatia di un uomo dinamico, spiritoso (epica la sua battuta “ti chiamerò Muzio”, rivolgendosi in consiglio comunale a chi affermava che avrebbe messo le mani sul fuoco per dimostrare la sua innocenza in una votazione andata male caratterizzata da un franco tiratore), fuori dagli schemi, socievole e generoso con tutti, legato alla sua famiglia, alla moglie, signora Bianca, ai figli Giacinto, Emanuela e Gianfranco, agli amici, è il volto più sincero di un’esistenza intensa e colorata.

Il suo “Geremia” 50 Hp, con il quale solcava il mare in allegria, la sua scintillante Alfa 2000, entrambi di colore blu, sono due status che Peppinello ha sempre condiviso con tanti.

Per non parlare delle proverbiali serate che trascorreva sempre in compagnia degli amici, caratterizzate da buon cibo e innaffiate da tanta sangria che egli stesso preparava con maestria andalusa.

Anche in tali contesti, se tra i presenti qualcuno rispondeva ad un nome illustre – come nel caso di Giorgio La Malfa, allora Ministro del Bilancio, ospite ad una serata nel Giugno del 1981 – o a quello di un qualunque suo altro amico, per lui non faceva differenza.

Peppinello Garofalo è andato via prematuramente, a 62 anni, nell’aprile del 1997.

Il suo posto nella vita politica di questo territorio è rimasto tristemente vuoto, perché le persone come lui, che sanno parlare di politica rassicurando con un sorriso, uno sfottò o una pacca sulla spalla, ma soprattutto sanno mettersi in “ascolto”, non sono certamente rimpiazzabili.

MSM

si ringrazia per le foto Tindaro e Giuseppe Pidonti e per la disponibilità Corrado Speziale.

Per chi vuol leggere di e su “brolesi” basta cercare nell’archivio del giornale.

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