BROLO & DE ANDRE’ 2 –  Quando i poeti danno voce alla nostra silenziosa voce
Cultura

BROLO & DE ANDRE’ 2 – Quando i poeti danno voce alla nostra silenziosa voce

DSC_0050di Maria Lucia Lo Presti.

DSC_0046Continua la pubblicazione dei testi integrali dei “contributi” che ha ricevuto il “tributo” a Fabrizio de Andrè tenutosi a Brolo, alla multimediale, di 15 gennaio 2011.
Dopo quello della professoressa Marisa Miragliotta, ecco quanto detto da un’altra docente, Maria Lucia Lo Presti, del Classico di Patti.
Quando i poeti danno voce alla nostra silenziosa voce
Fabrizio: la nostra voce per difendere le specificità individuali.
C’è spesso nella vita un’amicizia che culla il nostro dolore e la nostra gioia, le nostre ansie e le mete
raggiunte. C’ è un’appartenenza emotiva, vedovi della quale, brancoliamo spesso alla ricerca di una voce, di un sentimento, di una comunione ideale. Quando non si possono vivere questi sentimenti, la ricerca si acuisce via via che il tempo passa, perché sempre più disillusi siamo, sempre meno speranza nutriamo per poter cantare del nostro cuore con la voce dell’altro. Fabrizio ha parlato per noi e con noi, poetato – cantato per noi e con noi, protestato per noi con noi, urlato per noi con noi, contro una società malata.
Soprattutto ha dato voce a tutti i noi possibili, a tutte le alterità marginalizzate, perché sapeva leggere la realtà con il candore del cuore che la scopre e definisce.
In Fiume Sand Creek, ispirato da “Memorie di un guerriero Cheyenne” Fabrizio canta degli Indiani d’America: cacciati, denigrati quali diversi in casa loro e poi sterminati dai vari Custer e Chiwington.
E in “Anime salve” canta dei Rom, quelli che noi volgarmente chiamiamo “Zingari” prendendo a prestito il termine da Erodoto, che li chiamava “Zinganoi” – diceva che era un popolo che veniva dal sud-est asiatico, dall’India, che parlavano una strana lingua, che poi si è scoperto essere il Sanscrito.
DSC_0004I Rom rubano, ma in “Khorakhane’” Rom musulmani originari soprattutto del Kosovo,il gruppo presente nel Bresciano e nel resto d’Italia, De Andrè canta:
“che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare
se questo vuol dire rubare (…)
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio”
Gli zingari rubano, è vero, però io non ho mai sentito dire, non l’ho mai visto scritto da nessuna parte, che gli zingari abbiano rubato tramite banca. Questo è un dato di fatto.”
E in Corale da “Tutti morimmo a stento” sono i drogati che invocano pietà rivolgendosi a
“Uomini senza fallo, semidei
che vivono in castelli inargentati
e toccano gli apogei di gloria”
 rivendicano che solo loro, i drogati, varcando il confine dell’inumano hanno conosciuto prima del tempo
“la carogna che ad ogni ambito sogno mette fine”;
e sono le traviate che invocano pietà rivolgendosi a
“banchieri, pizzicagnoli,
notai coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai”;
 e sono coloro che morirono col nodo alla gola, umano desolato gregge, simbolo di tutte le ingiuste pene di morte che apostrofano giudici eletti, uomini di legge i cui sogni sono tormentati dalle danze di tutti quelli che sono stati condannati. Tanti sono quelli che hanno intrapreso la cattiva strada, ma il titolo è antifrastico Cattiva, certo! Ma per i benpensanti… Non certo per coloro che cercano di guardare oltre, di chiedersi il senso del loro stare al mondo.
Il protagonista si muove fino alla penultima strofa, provocando la normale logica della società, spesso formalizzata da norme legislative: sputa in faccia al ragazzo che sta rispettando le norme facendo la leva militare, uno sputo che è niente rispetto alla giusta pena per le colpe di cui si sarebbe macchiato; ma lo sputo basta a disvelare una verità, l’atrocità della guerra sancita per legge tanto che il giovane soldato lo segue sulla strada giusta, cattiva per la logica comune.
Anche la prostituta segue l’uomo nuovo, critico della realtà, il “pescatore di uomini” che può essere inteso anche come Cristo; la meretrice lo segue perché si rende conto che la sua vita vale di più, che è un’ingiustizia farsi sfruttare da un magnaccio; lo seguono il pilota, l’alcolizzato, persino i giurati di un processo per amore.
Chi antifrasticamente ci indica la cattiva strada, nell’ultima strofa sparisce e lascia ai posteri l’ardua sentenza: è stato un male la sua venuta, è stato un bene? La sua risposta lascia interdetti perché sembra proporre la logica della “convenienza”: “Non vi conviene venir con me dovunque vada” perché se qualcuno lo seguisse dovrebbe rinunciare ai troppi agi con cui la società lo ha plagiato, alla vita comoda che non impone sacrifici, che non impone scelte radicali, che non richiede autonomia di pensiero. Per Fabrizio, invece, conviene sempre intraprendere la cattiva strada perché il “ma” avversativo introduce la speranza che sulla cattiva strada non si rimane soli “ma c’è amore un po’ per tutti e tutti quanto hanno un amore sulla cattiva strada”.
Non è un caso che Don Andrea Gallo nel 2009, nella giornata dedicata a De André nel ghetto ebraico di Genova abbia detto “Finalmente Fabrizio è entrato non nel Ghetto, ma nella sua Cittadella; proprio lui definiva l’emarginazione uno stato di grazia perché sottrae al potere, e propone un’alternativa che invita al riscatto e alla dignità.
Oggi più che mai Fabrizio sarebbe stato il leader dell’inclusione sociale, della speranza di un cambiamento di paradigmi, per la giustizia sociale, la libertà di coscienza, l’emancipazione dei diseredati, la piena cittadinanza agli esclusi per motivi di orientamento sessuale, disagio psichico, provenienza geografica. E’ vero che non è visibile, ma non è assente, è con tutti noi per promuovere la dignità di ciascuno con la logica dell’amore.
de_andr__webE’ il messaggio con cui si conclude La cattiva strada, sulla quale c’è amore un po’ per tutti e tutti quanto hanno un amore.
Secondo Don Andrea Gallo c’è un quinto vangelo, il vangelo secondo De Andrè: “Tu Faber mi hai insegnato a distribuire il pane, che spezzo ogni giorno, tra i vicoli, ed ho scoperto camminando con
te che dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. In effetti il rispetto e il riconoscimento di Gesù rivoluzionario De Andrè lo ha sempre riconosciuto tanto che in un’intervista ha dichiarato: “Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessantottino, cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell’autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali”.
Per l’utopia di questa fratellanza universale, de André in “Anime salve” eleva una Preghiera smisurata, perché è così fuori misura che nessuno potrebbe ascoltarla,“…ma noi ci proviamo lo stesso”, dice nel corso di un concerto.
Ci sono molti modi per pregare; Fabrizio lo fa in modo non solo originale, ma soprattutto utilizzando un patrimonio culturale “altro da sé”, che è poi il modo migliore per definirsi, per consolidare il processo identitario.
L’altro con cui Fabrizio si confronta è un autore colombiano, Alvaro Mutis, autore della saga di Maqroll, protagonista di 7 romanzi e tre racconti.
Maqroll è un gabbiere che riflette sul vuoto in cui vive l’uomo in un mondo senza pietà. E’ un marinaio, un avventuriero, pronto a prendere le difese dei deboli.
Non ci stupisce, quindi, che tra Mutis e De André sia nata una profonda amicizia.
Nella canzone di Faber le inferenze delle opere di Mutis sono molte.
“Alta sui naufragi dai belvedere delle torri” da Dismedida plegaria ( Smisurata preghiera) in Summa di Maqroll il gabbiere 1973
“Elementi del disastro, e dalle cose che accadono al di sopra delle parola” da Los elementos de desastre 1953
“Sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso” da Resena delo hospitales in supremar 1959
“A guidare al colonna di dolore e di fumo che lascia infinite battaglie al calar della sera”, da Los elementos de desastre 1953
“Sgranando il rosario” da Cronica regia di y alabanza del Reino” 1985
“Un sordido rosario di astuzie” da Caravnasay 1981
“La varietà orribile delle loro superbie” da Resena delo hospitales in supremar 1959
“Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria” da Los Viajes da Primeros poemas scritto dal 1947 al 1952
“Con il suo marchio di speciale disperazione” da Resena delo hospitales in supremar 1959
“Dove il vomito dei respinti” da La nieve del Almirante 1986
“Per consegnare alla morte una goccia di splendore” da Los Viajes da Primeros poemas scritto dal 1947 al 1952
“Per chi ad Aqaba con uno scettro posticcio”, Caravnasay 1981
“Tragedie di gelosie” da Amirbar 1990
“In vasto programma di eternità”Moirologhia da Resena delo hospitales in supremar
“Ricorda o signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco” Oracion de Maqroll da “Los elementos de desastre” 1953
Quest’insistito “citazionismo” non significa che De Andrè ha copiato, ma che nell’emulare, come ha riconosciuto lo stesso Mutis in un’intervista televisiva, ha avuto un talento straordinario per sintetizzare un’intera opera in una sola canzone.
Ma chiamarla sintesi non basta, perché la preghiera oltre misura reinterpreta l’intero corpus delle fonti secondo una precisa poetica di postmodernità inclusiva: nella poesia di Mutis è Maqroll ad invocare il Signore per proprio conto, mentre nella canzone De André crea una preghiera atta ad aiutare tutti i servi disobbedienti.
Inoltre Maqroll rappresenta per antonomasia il viaggiatore che non rispetta le leggi della terraferma, affidandosi solo a quelle del mare e della natura, De André invece si riferisce invece direttamente a quelli che, come lui, hanno volutamente disobbedito alle leggi del branco, si schiera quindi apertamente con loro, e auspica l’intervento di Dio in loro aiuto.
Nella canzone emergono chiari i due blocchi narrativi che delineano due mondi antitetici, incomunicabili.
L a maggioranza è connotata da staticità, la minoranza, come la storia del resto insegna, da dinamismo, da autonomia di pensiero, da sana disobbedienza.
Esemplifichiamo in una tabella i due gruppi umani antitetici:
Maggioranza =staticità
Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità.
Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna di dolore e di fumo
che lascia infinite battaglie
al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie
coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine.
Minoranza = dinamismo
Per chi viaggia in direzioni
ostinate e contrarie
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte
una goccia di splendore
di umanità di verità
per chi ad Aqaba curò la lebbra
con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici
e di figli
con improbabili nomi
di cantanti di tango
in un vasto programma
di eternità
ricorda Signore
questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto
che la fortuna li aiuti
come una svista
come un’anomalia
come una distrazione
come un dovere.
Con una tecnica di immagini icastiche di cui si sono rintracciate le fonti, più che dimostrare una tesi Faber suggerisce impressioni su cui riflettere, che suggestionano nella loro complessità. Ne leggiamo una parafrasi, anche se ci renderemo conto, come del resto è sempre in poesia, che non è importante che i conti “tornino” e che le parole “squadrino da ogni lato il mondo informe”, conta l’insieme e la polisemia del testo:
La maggioranza è salda e irremovibile
arroccata sui luoghi del potere,
china e distante ( feroce ossimoro) sulle disgrazie altrui
e sulle stesse vuote parole autoreferenziali
di chi ha avuto sempre un vento favorevole
e ha goduto di ogni bene fino a saziarsi e di ogni legge ad personam
per rimanere impunito di tanti delitti che ha commesso
La maggioranza sta salda e irremovibile
sulle guerre portate avanti con ogni sorta di armi
per guidare la sequenza infinita di morti e di rovine,
che le continue battaglie lasciano al calar della sera;
la maggioranza sta salda e irremovibile,
recitando l’eterno ritornello di meschine ambizioni,
di paure che da millenni hanno inflitto ai popoli,
di astuzie machiavelliche continuamente elaborate per infliggere morte e paura.
la maggioranza sta salda e immobile,
coltivando tranquilla le selve di male della loro superiorità superba,
come una malattia incurabile,
come la sfortuna, come se avesse la sensibilità anestetizzata, come se fosse un’abitudine diventata seconda natura.
Per coloro che la contestano ostinatamente e pervicacemente, con una disperazione di uomini veri marchiati a fuoco dalla storia
Per la minoranza che, lasciata per via dalla maggioranza, come si lascia il vomito di un’intossicazione, tra le masse muove gli ultimi passi per consegnare alla morte la luce dell’umanità e della verità, cioè che gli uomini sono tutti uguali
Signore ricorda questi servi che, minoranza, si oppongono al potere della maggioranza, fallo per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro provvisorio (è il significato non comune di posticcio) e generò gelosie che avrebbero portato guerre e figli con improbabili nomi di cantanti di tango in un vasto programma di eternità.
Questa è sicuramente la strofa più difficile per l’identificazione del “chi”:
Aqaba è porto principale
della Giordania, ma Gesù guarì il lebbroso in Galilea ben lontano da Aqaba; c’è una collina dal medesimo nome presso la Mecca dove Maometto, dopo un primo convegno nel 621 d., nel giugno del 622 d. C. con il patto al-‘Aqaba, fu riconosciuto capo degli abitanti di Yathrib.
Anche lo scettro posticcio determina alcuni dubbi: se il significato meno generico di posticcio è “provvisorio”, si potrebbe pensare all’affermazione di Gesù “ il mio regno non è di questo mondo”.
Come farla coincidere con gli altri due personaggi? Forse ritenendo che ciascun messaggio che si pone l’obiettivo di una renovatio mundi, di una palingenesi, inevitabilmente lancia un vasto programma di eternità, anche se solo ritenendola un’iperbole si può applicare a Che Guevara.
Che dire poi di “e generò gelosie che avrebbero portato guerre e figli con improbabili nomi di cantanti di tango”: i personaggi carismatici fanno sempre serpeggiare invidie e gelosie, Gesù stesso disse “Non sono venuto a portare la pace, ma la spada” (Mt 10,34),
cioè la parola di Dio che “è efficace di una spada”.
Come in poesia non è importante trovare la spiegazione semplice e immediata, piuttosto la bellezza di una lirica sta proprio nella polisemia, nel fascino dell’indeterminato, così in questa “Smisurata preghiera”
Fabrizio_De_AndreLa preghiera si conclude così:
Signore, non dimenticare il volto di questi esclusi e marginalizzati, che, dopo tanto vagare con passi incerti è appena giusto che la fortuna aiuti come se nel suo costante giro per una svista abbia rivolto a loro uno sguardo come compiendo un’anomalia nella storia in cui i vincitori sono sempre la maggioranza come distraendosi per un attimo dalla logica che darwinianamente premia i potenti, come compiendo un dovere a cui anche la fortuna è chiamata se non altro per dare pari opportunità.
Inutile dire che tanti ci sentiamo parte di questa minoranza che contesta, che viaggia in direzioni ostinate e contrarie: studenti, precari, cassintegrati, operai, diversabili, minoranze etniche, drogati e prostitute; inutile dire che Smisurata preghiera sembra scritta appena ieri, a dimostrare l’immobilità di una società malata, a dimostrare l’acume analitico di Fabrizio. Fabrizio ha cantato i deboli che la fiumana del progresso lascia per via; tutti i noi del mondo, nessuno escluso.
Fabrizio è stato e continua ad essere la nostra voce … perché con lui crediamo in un riscatto possibile, in una società inclusiva e solidale.
Ancora oggi cantiamo e leggiamo Faber per tutto questo, perché a chi ci dice che il mondo sta morendo per mancanza d’amore rispondiamo: non ci crediamo.
Come non ci credeva Faber.
Prof.ssa Maria Lucia Lo Presti
23 Gennaio 2011

Autore:

admin


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