Dopo il trascorso dissesto politico economico Brolo fa ancora i conti con un’idea di ripresa lontana e tortuosa. Dentro i suoi perimetri si respira un’aria statica e rarefatta, il prolungamento di una decostruzione che oggi appare soprattutto sociale e culturale.
Ha tutta l’aria di essere un lunghissimo autunno quello che a Brolo ancora resiste sotto forma di sopravvivenza forzata dopo l’infelice caduta politica e le trascorse stagioni dei buon’umori.
Se da una parte si intravede la patina di un gorgoglìo amministrativo impegnato in tentate manovre di risanamento, dall’altra il paese sembra essersi abbandonato a una forma di stasi obbligata e vegeta, che intacca le energie territoriali nelle matrici più profonde. Un breve arco di tempo sufficiente a rannicchiare il comune dentro un angolo dissestato e angusto, un cono politico d’ombra in cui è stato necessario stipare tutte le sue ultime possibilità di crescita, tutti i presupposti residui di una rinascita.
Nonostante mare e sole continuino a sorvegliare splendidamente la costa tirrenica, la favola del bel paese ridente dei limoni non convince più le orecchie di nessuno, neppure dei più romantici (mi auguro).
Il sentore di un’opaca stagione brolese col suo marchio speciale di “era del dissesto” si avverte senza troppa difficoltà di riconoscimento per le strade vuote del paese alla sera, tra i tavoli condivisi dei bar al mattino, nelle code dei cittadini agli sportelli delle tasse.
Senza la minima intenzione di aprire il conto dei torti nel registro politico dei regnanti brolesi, il sapore di un declino interno si scova facilmente anche in mezzo a tutti gli altri strati della vita collettiva.
Un declino ben patinato attenzione, perfettamente rivestito per l’occasione (quella di un nuovo risorgimento politico), un declino sopportabile che non si confonda troppo con quello reale, più doloroso senz’altro da riconoscere, più complicato da rappresentare.
Quello di Brolo insomma è un dissesto dichiarato economicamente, un crollo finanziario riconosciuto dai chilometri di scartoffie inoccultabili, dalle briglie delle istituzioni, è una spudorata condizione di debito che si ha avuto necessità di mostrare MA, non è un dissesto sociale, non è la dichiarazione di un crepa interiore né il riconoscimento di un vuoto culturale che addenta ben altre viscere, oltre i fondi delle casse comunali.
Quello che non si dichiara, e che a me pare invece galleggiare vivo, è un declino politico più profondo e sottile, un buco sociale che c’è e che pesa, difficile a dirsi, anche sul bilancio del paese.
Dopo molti anni trascorsi sul territorio nel tentativo di portare avanti una crescita umana consapevole e attiva, dopo le porzioni di impegno e la partecipazione sociale, dopo l’associazionismo e la promozione culturale, si acquisisce nel tempo la capacità di misurare umori e possibilità di un luogo con un metro più esteso, con una certa disillusione visiva, si conquista l’abilità di guardare alla propria collettività d’appartenenza con occhi più consapevoli e attenti, si affina un’ attitudine a raccogliere e avvertire i segnali di una crisi umana riconoscibile e riconducibile.
Ammettere la ferita sociale che investe una realtà microcosmica come Brolo, storicamente sempre così difficile alle rivoluzioni culturali, è una complessa responsabilità che nel tempo si è riusciti bene a manipolare e che spesso però ci si stanca di assumersi.
Quello che oggi raccolgo, in uno dei miei periodici ritorni e dopo qualche anno di assenza, è il segno di un blocco culturale complesso, che Brolo vive parallelamente al suo disastro finanziario.
Una stasi del suo tessuto sociale profondo, una crisi identitaria più intima che è stata ed è probabilmente ancora, nascosta dalla grande macchia burocratico-finanziaria dell’ultimo anno e mezzo politico.
Un declino culturale patinato, dicevo, che si bada a edulcorare, probabilmente per il bene dei cittadini.
Probabilmente.
Lascio aperto il dubbio per chi volesse usufruire di questa interpretazione e ci aggiungo la buona intenzione, da parte delle amministrazioni, di non cedere al tranello della negatività e dello scetticismo.
Nella misura in cui i governatori brolesi sono consapevoli di questo buio culturale, mettere in moto la strategia del “va tutto bene” potrebbe risultare in effetti utile a una ripresa emotiva, essere l’antidoto ad una depressione generale.
Dall’altro canto però, i retaggi storici delle ultime amministrazioni politiche itaGLIane ci hanno insegnato (?) i rischi di questo pericoloso mestiere del politico plasticamente felice.
Nella peggiore delle ipotesi, questa specie di pellicola con cui si prova a rincollare i cocci del disastro, si trasforma in una singolare parata amministrativa in cui la politica resta affare di poche intime famiglie, le stesse intime famiglie dell’imprenditoria, della libera iniziativa e della gestione economica locale.
Il divario tra la politica di palazzo e quella cittadina, DI TUTTI, aumenta favorendo le dinamiche di una gestione oligarchica e rompendo invece quelle di una partecipazione collettiva dal basso.
La vera comunità cittadina viene denuclearizzata e la partecipazione sociale e politica diventa solo affare di palazzo.
La ricostruzione resta insomma un’impresa delicata e, portarla avanti tenendo ben alta la testa, conferisce senz’altro all’ equipaggio della nave un orgoglio utile a dominare il mal di mare dopo il terremoto finanziario trascorso.
Ma limitarsi a concepire una crisi solo in chiave economica permette di isolare la risoluzione del problema a questo ambito pensando probabilmente che il limite finanziario spieghi tutto.
Credo piuttosto che Brolo si stesse preparando già da tempo a un baratro sociale e culturale imminente: attività commerciali in chiusura, gestioni improbabili e di vita breve, un turismo arenato rivolto alla terza età con fiumi di sagre tappabuco e palinsesti di scarso valore culturale, locali ostacolati nello svolgimento dell’attività economica, vita pubblica sempre più ridotta, partecipazione collettiva inconsistente, iniziative culturali svilite dalla sfiducia.
L’ autunno insomma era facile da preannunciare, ecco perché non ci interessa scovare le colpe ed ecco perché le ragioni non sono esclusivamente finanziarie.
Si, seguendo una deduzione facilissima ( e per di più vera) il disastro economico ha fatto da locomotore all’intero dissesto sociale e culturale, ma migliaia di comuni italiani vertono in situazioni di debito estremo e di baratro finanziario senza necessariamente manifestare una stagnazione sociale e culturale; per di più, le cifre stellari sperperate nel “glorioso” passato paesano, non sono mai state indispensabili alla possibilità di una crescita economica etica e intelligente per Brolo.
In una visione più caratteriale e intima il ridente villaggio dei limoni manca geneticamente a mio avviso di un senso collettivo e di collaborazione, di una fiducia reciproca nel vicino e di una capacità di sostegno e aggregazione da coltivare per il solo bene collettivo.
Manca l’idea di una comunità immaginata e organizzata che esiste oltre il perimetro privato ed economico di ciascuno e che REsiste nonostante il crollo delle istituzioni.
Attribuire insomma tutte le responsabilità ai limiti materiali di una comunità o di un territorio ci impedisce un certo grado di lucidità nel comprendere che a volte partire dalle menti serve di più, che riconoscere un fallimento socioculturale prima che economico occorre per agire da una nuova prospettiva e che guardare il vuoto è quasi sempre utile a riempirlo.
Brolo appare sfiduciata e stanca (e mi permetto di dire a ragion veduta), le sue voci di campo sembrano interrotte, quando già esistenti, paralizzate, quando appena nate, la vita pubblica è sonnolenta, i locali chiudono alle ventuno e le uniche sopravvivenze sociali sono isole di vecchi (o nuovi) centri scommesse per soci abituali accanto a improbabili investimenti dall’identità confusa e dal sapore di chiusura anticipata.
La vera partecipazione alla vita sociale e culturale del paese sembra una parentesi chiusa, malamente rimpiazzata da tutti questi maldestri tentativi di scovare un risveglio (ma di che risveglio si tratta?) e dalla nuova ediliziamangiaverde delle villette residenziali, di cui Brolo sembra non potere ormai più fare a meno.
La torre, che si eleva a luci spente sul paese vuoto, sgretolata e tradita dai suoi forzieri, diventa la metafora perfetta di questo scenario, lo specchio di un passato che si infrange e trattiene sotto braccio le macerie alla meno peggio.
Pensare una comunità è il solo presupposto per farla esistere, guardarla e ripensarla è il modo per riaggregarla e non dimenticarsene.
“Non cambierà, si che cambierà, vedrai che cambierà…
la primavera intanto tarda ad arrivare“.
Valentina Siligato
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