I campanelli imbrattati di strani simboli. Sono comparsi all’improvviso, nei giorni scorsi, in alcune vie di Patti, poi i furti.
Casualità?
Non è la prima volta che capita, anche in altre paese. Da qualche giorno si sono visti a Brolo.
In via Mazzini, in qualche traversa di via Trento.
Mitomani, ragazzi egoici, rom, ladri? E i residenti, allarmati, ora si sono rivolti alle forze di polizia. Hanno paura che possa trattarsi di una mappa. Una sorta di indicazione. Un codice lasciato da malintenzionati per indicare che la palazzina è stata controllata. E se, e quando, i proprietari rimangono in casa.
Psicosi? Forse.
Ma intanto i cittadini hanno paura.
Da tempo circola anche una legenda.
A ogni ‘ghirigoro’ una spiegazione.
Dalle questure di tutta Italia raccomandano di non farsi prendere dal panico, che si tratta (spesso) di sciocchezze.
Appunto. Scherzi, bravate di ragazzini.
Intanto, su Facebook, è nato un gruppo. «Qualcuno parla di leggenda metropolitana poiché da almeno 20 anni si parla di questa lista di simboli — si legge nella presentazione —. Le Iene hanno trasmesso un servizio dimostrando la veridicità di tale fenomeno… Quindi, visto che ‘prevenire è meglio che curare, vi consiglio di controllare i vostri citofoni o il campanello di casa e se notate la presenza di uno di questo segni nell’immagine, provvedete subito a cancellarlo».
La prudenza non è mai troppa.
E su quest’alfabeto della paura ecco cosa ha scritto http://sdz.aiap.it/notizie/10256
Sapete qual’è l’articolo di Sdz più letto dell’ultimo anno?
Cartina di tornasole della percezione generalizzata di paura e insicurezza che avvolge la penisola, la pagina di questo blog su cui più si è cliccato (oltre 10.000 volte) è quella dedicata all’alfabeto degli zingari.
Non si tratta però di un risorto interesse linguistico verso le tipologie espressive di gruppi marginali.
No. Sono comuni cittadini che cercano disperatamente informazioni sui simboli che un’organizzazione ladresca, segnatamente rom in questo caso, ha apposto sulla loro abitazione in vista di un imminente svaligiamento.
A poco serve dire che si tratta di una leggenda metropolitana o “bufala” — almeno nei termini in cui viene presentata — più volte denunciata. Come nei più classici casi di psicosi collettiva tutti, anche persone affidabili e di cultura, conoscono almeno una persona — un amico, un parente, il vicino — la cui casa è stata visitata dai ladri e che si è accorto di strani segni tracciati sui campanelli o nelle vicinanze dell’abitazione. Una psicosi cui contribuiscono, purtroppo, le stesse forze dell’ordine e i media che periodicamente ridanno notorietà al sedicente “alfabeto degli zingari” distribuendone e pubblicandone copie.
Vedi ad esempio il fobico articolo di Grazia Longo su La Stampa di Torino del 23 novembre scorso corroborato dalla testimonianza del Comandante dei Carabinieri di Torino Antonio De Vita (altri esempi nel Tg5 del 23-11-2007, in La Repubblica a Firenze il 23-11-2005 e ne Il Gazzettino a Padova il 29-6-2003).
Il successo popolare di questa leggenda è facilmente spiegabile. La casa “segnata” è un retaggio fin dai tempi biblici (ricordate l’angelo della morte?) e gli zingari rappresentano, col loro nomadismo, la nostra rappresentazione più atavica e profonda del diverso, anzi di un popolo diverso frammisto a noi — forse più degli stessi ebrei a cui, non a caso, furono accumunati nella soluzione finale dai nazisti.
Al volantino coi “segni di riconoscimento utilizzati da zingari e ladri d’appartamento” ed alla sua diffusione in Francia — citiamo dal Centro per la raccolta delle voci e delle leggende metropolitane — sono stati dedicati alcuni importanti saggi come quello di Jean-Noel Kapferer “Le voci che corrono. I più antichi media del mondo” (Longanesi, 1988, p. 18) e un’accurata analisi sul significato di “codice segreto” e la sua origine nell’articolo del sociologo francese Jean-Bruno Renard dal titolo “Le tract sur les signes de reconnaissance utilisés par les cambrioleurs: rumeur et réalité” (in “Le Réenchantement du monde. La métamorphose contemporaine des systèmes symboliques”, a cura di Patrick Tacussel, L’Harmattan, Parigi 1994, pp. 215-241).
Desta dunque impressione come, parallelamente alla campagna dei media italiani sull’insicurezza —e della cui percezione, pur irrazionale, non vogliamo dubitare —, si sia andata montando una ondata di apprensione e preoccupazione basata su questo sedicente alfabeto di cui già ampiamente si è dimostrata l’infondatezza. Come una sorta di “Protocolli dei saggi di Sion” in versione volantino non è possibile arrestarne la diffusione né la credulità sull’argomento.
Alcuni fatti a proposito dell’alfabeto degli zingari
Ma cerchiamo di individuare l’origine di questi segni.
Come possiamo vedere la rappresentazione più diffusa in Italia, sotto forma di volantino, appare scritta a macchina e probabilmente riprodotta a ciclostile. Pertanto presumibilmente l’immagine dei segni attualmente diffusa online risale almeno agli anni ’80 se non prima. In questi giorni gira, come volantino, una versione ricomposta in digitale con alcune differenze nei testi.
La versione diffusa in Italia inoltre sembra derivare direttamente dal linguaggio dei segni cosidetto “degli hobo e zingari francesi” (French hobo and gypsy sign system secondo la dizione di Carl G. Liungman nel suo Symbols. Encyclopedia of Western Signs and Ideograms). Ad esempio il primo segno in alto, un rombo, per gli hobo inglesi significa “qui vive gente generosa, ma comportatevi bene mostrando rispetto”, mentre per quelli francesi significa “qui non vive nessuno”, da cui la definizione del nostro elenco “casa disabitata”.
L’intento tuttavia di drammatizzare il significato dei segni nella traduzione italiana emerge con evidenza in alcuni punti. Il terzo segno dall’alto, i quattro cerchi, nella versione francese significa “qui vive gente molto ospitale” che nel nostro documento diventa “casa molto buona da rubare”. La sorta di D che viene indicata con la spiegazione “domenica momento buono per il colpo”, è nell’originale “qui non danno nulla”. Gli altri segni alfabetici latini presenti, che indicano i periodi migliori per il furto con N per notte, AM per pomeriggio (après midi?) e M per mattina, non risultano presenti nell’originale francese né in nessun altro alfabeto di segni.
Da questi pochi dati certi si possono trarre alcune considerazioni.
I segni di cui parliamo provengono dalla tradizione del linguaggio figurato degli hobo, termine americano con cui si designa le persone senza fissa dimora
— in termini comuni “vagabondi” — che si muovevano attraverso gli stati e che raggiunsero un numero particolarmente elevato durante la crisi economica del ’29 dello scorso secolo. Muovendosi in continuazione da un punto all’altro del continente e raggiungendo località isolate, e spesso accessibili tramite una sola strada, si stabilì fra gli hobo l’abitudine di indicare a chi sarebbe seguito, attraverso dei segni convenzionali tracciati a gesso sui cartelli (fig. 3), il grado di ospitalità o di rifiuto che si sarebbe incontrato o più semplicemente indicazioni pratiche sull’acqua e il cibo.
Non risulta in nessun caso che i segni siano stati mai utilizzati per indicare dove compiere furti o reati.
Il linguaggio dei segni degli hobo è oggi considerato uno degli elementi più caratteristici di questa cultura marginale di cui hanno fatto esperienza personaggi come Woody Guthrie, Jack London, John Steinbeck e Jack Kerouak.
Il linguaggio dei segni degli hobo è diverso da nazione a nazione. In Europa — Francia, Germania, Svezia, Inghilterra — si indica indistintamente tale tipologia di segni come linguaggio dei “vagabondi” (hobo) e degli zingari. È probabile tuttavia che non vi sia nessuna connessione tra i segni degli hobo e gli zingari, ma che popolarmente si sia identificato nella stessa tipologia chiunque, nomade o vagabondo, si presentasse di passaggio suscitando sospetto e preoccupazione.
Il linguaggio degli hobo, così come la loro esperienza di vita, è ormai caduto in disuso da più di quarant’anni se vogliamo considerare l’ultima grande ondata di vita nomade degli anni Sessanta.
Conclusioni
Il cosiddetto linguaggio degli zingari che viene diffuso in Italia
– è stato formalmente redatto almeno venti anni fa
– riprende i segni del linguaggio hobo francese risalenti a più di quarant’anni fa
– modifica il significato di alcuni segni dandogli un senso criminale
– aggiunge alcuni segni collegati al momento in cui compiere furti
Possiamo perciò affermare che l’alfabeto degli zingari non è altro che un falso costruito sulla base di modelli reali, e che niente ha a che fare né con gli zingari né con i furti negli appartamenti.
Ahi, come siamo ridotti!