Nel panorama musicale italiano, pochi progetti riescono davvero a sorprendere per profondità e raffinatezza.
“Canto Conte”, il nuovo lavoro discografico di Ilaria Pilar Patassini, ci riesce. Non solo perché omaggia uno dei giganti della canzone d’autore italiana, Paolo Conte, ma perché lo fa con una voce femminile nuova, delicata e insieme potente, capace di esplorare senza timore territori noti e segreti della poetica contiana.
Presentato lo scorso 28 marzo all’Auditorium Parco della Musica di Roma, l’album nasce dalla collaborazione con Angelo Valori, direttore d’orchestra e raffinato arrangiatore, e prende vita grazie al suono degli archi della Medit Orchestra, accompagnati da solisti come Manuel Trabucco (clarinetto e sax), Danilo Di Paolonicola (fisarmonica) e, come special guest, Alessandro D’Alessandro (organetto).
Un viaggio sonoro tra nostalgia e visione
Diciotto le tracce in scaletta, tra grandi classici e perle meno battute: Alle prese con una verde milonga, Gli impermeabili, Via con me, ma anche Reveries, Elisir, Snob, Spassiunatamente. Ogni brano è un piccolo universo, riabitato con garbo e un pizzico di sana irriverenza, in un esercizio interpretativo che non si limita al tributo, ma che cerca – e riesce – a dialogare creativamente con l’originale.
Patassini non si limita a “cantare Conte”: lo attraversa, lo decodifica, lo restituisce al pubblico con una voce che si fa teatro, intimità, corpo. Come nel brano Come di, scelto come singolo apripista, che in Francia venne definita “la canzone degli addii”. Una partitura sospesa tra malinconia e commedia, che qui diventa esorcismo danzante della nostalgia.
Alla base del progetto, una scelta artistica radicale: abbandonare la rilettura fedele per spingere l’arrangiamento in direzione orchestrale. Gli archi sono protagonisti assoluti, in dialogo con le timbriche del clarinetto, della fisarmonica e con la voce di Pilar, ora calda, ora tagliente, sempre narrante. In alcuni passaggi, come in Snob, l’aria sembra sfiorare il recitativo operistico: un Conte da camera, da palcoscenico, quasi rossiniano, come nota la stessa artista. Valori, qui anche coproduttore con il Centro Adriatico Produzione Musica, firma un lavoro di scrittura musicale preciso e ispirato, che non tradisce la struttura originale dei brani ma ne esalta le zone d’ombra, gli spazi lasciati vuoti, le tensioni mai esplicitate.
Un progetto “totale” tra identità e interpretazione
“Canto Conte” è per Ilaria Pilar Patassini un progetto necessario. Non solo un omaggio, ma una dichiarazione d’identità artistica. In un’epoca frammentata, dove tutto è consumo veloce, l’artista romana sceglie la profondità, la cura, il tempo lungo. E lo fa con una coerenza rara.
“Le canzoni di Conte sono sempre state casa mia,” afferma Pilar. “Dentro ci sono la letteratura, il jazz, l’opera, il cinema, la danza, l’America Latina, la giungla, la Francia… È una geografia che mi appartiene.”
Oltre ad Angelo Valori, il disco si avvale del contributo prezioso di musicisti dalla forte identità: Danilo Di Paolonicola alla fisarmonica, Manuel Trabucco ai fiati, e Alessandro D’Alessandro con il suo inconfondibile organetto. Una menzione speciale va anche a Roberto Catucci della Fondazione Musica per Roma, che ha creduto nel progetto sin dalle sue prime fasi, supportandone lo sviluppo artistico e produttivo.
Un nuovo capitolo per Pilar
“Canto Conte” non è solo un disco, è un atto d’amore artistico, una ricerca nella voce e nella memoria della canzone italiana, un punto di svolta per una delle interpreti più raffinate della scena contemporanea.
“È un punto di arrivo. Ma forse anche un nuovo inizio,” confessa Ilaria. “Mi ha dato la misura esatta della mia vocazione come interprete, parallela a quella di autrice.”
E così, mentre il mondo là fuori urla e corre, Pilar canta. Con grazia, fermezza e verità. In silenziosa, luminosa controtendenza.
Da ascoltare con attenzione.
foto pagina social dell’artista e tratte da internet
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