Cronaca

CASO ANTOCI – I riferimenti azzeranti le dichiarazioni di Fava rimbalzano anche all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario

“Mere congetture non meritevole di apprezzamento contrastanti alternative ricostruzione dei fatti”

L’intervento del Procuratore Generale, Vincenzo Barbaro, all’Assemblea Generale della Corte di Appello di Messina per l’inaugurazione
dell’Anno Giudiziario 2020, rammenta anche i fatti accaduti, tra ricostruzioni, politica e relazioni della commissione antimafia regionale, diventando una sorte di mega difesa istituzionale sul lavoro compiuto dagli inquirenti e dalle forze investigative sul caso.

Ed intanto, da Radio Radicale, anche Federico Cafiero De Raho, – procuratore nazionale antimafia dal novembre 2017 – in un evidente riferimento a Fava, si toglie qualche sassolino dalle scarpe.

https://www.radioradicale.it/scheda/596727?i=4089364

Per loro l’unica “verità storica è quella ricostruita dai magistrati“.

Di certo sembra un preludio di altro.

Ma tornando a quando ascoltato in aula a Messina.

Il Procuratore Generale, Vincenzo Barbaro dopo aver portato i suoi saluti “ai colleghi del mio Ufficio, al Signor Prefetto, al Presidente della Corte, a tutte le autorità religiose, civili e militari intervenute, ai rappresentanti del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministro della Giustizia, agli esponenti dell’Avvocatura, delle forze dell’ordine – cui va sempre il nostro incondizionato ringraziamento per la proficua attività svolta con professionalità e abnegazione a tutela della collettività – e da ultimo, ma certamente non per ordine di importanza, a tutto il personale amministrativo che rende possibile, con il suo costante impegno, il funzionamento della complessa macchina della Giustizia.” ha sviluppato la sua relazione articolata in una quindicina di fogli (leggi il documento allegato).

Si è soffermarsi sul fronte propriamente investigativo: “va ricordato che le indagini svolte dalla locale DDA hanno ancora una volta evidenziato che gli interessi economici ed i “settori di intervento” della criminalità, oltre le abituali estorsioni e al traffico di stupefacenti, investono anche la c.d economia legale, attraverso il coinvolgimento di imprenditori “vicini all’organizzazione”, e quello particolarmente diffuso dello sfruttamento dei contributi comunitari.

La provincia di Messina, ed in particolare l’area tortoriciana e nebroidea, ha registrato, come emerso nel corso degli anni e non solo di recente, il flusso di imponenti somme di denaro erogate sotto forma di contributi comunitari; tali “aiuti” hanno costituito e costituiscono oggetto di interesse da parte della criminalità, la quale non ha esitato a ricorrere a sistemi fraudolenti per conseguire i relativi finanziamenti.

Per il Procuratore, “Il meccanismo che governa il fenomeno presuppone la disponibilità, da parte di ogni azienda, di un certo quantitativo di terreno, solitamente concesso in affitto da privati o enti pubblici, quali i comuni o lo stesso Ente Parco dei Nebrodi. In passato, i terreni erano stati concessi da comuni ed enti pubblici senza svolgere alcuna gara preventiva fra richiedenti, ed in sostanza violando la normativa sull’evidenza pubblica ed in materia di normativa antimafia. In seguito, con l’approvazione e l’adesione da parte degli enti comunali al protocollo di legalità predisposto dal presidente del parco dei Nebrodi, dr. Giuseppe Antoci, poi divenuto legge dello Stato, il meccanismo è cambiato poiché detto protocollo prevede che tutte le aziende che intendono affittare terreni devono obbligatoriamente munirsi della certificazione antimafia da parte della Prefettura competente, non essendo più sufficiente le mera autocertificazione. Quindi, il protocollo di legalità in questione ha indubbiamente comportato condizioni più restrittive per le aziende rispetto a quanto non previsto dalla pregressa normativa antimafia.

Poi si è soffermato sull’attentato ad Antoci: “Per quanto riguarda l’attentato commesso nel 2016 in danno di Antoci, la cui causale è assai verosimilmente riconducibile all’adozione del protocollo cui abbiamo fatto riferimento, va detto che nonostante le lunghe e capillari indagini svolte su tale grave episodio dalla DDA di Messina, consistite in intercettazioni telefoniche e ambientali, svolte anche in diversi pubblici uffici, accertamenti tecnici a mezzo di organi centrali della Polizia, analisi di tabulati, acquisizioni testimoniali ed attività a riscontro, non è stato possibile risalire alla identificazione degli autori, tant’è che il G.I.P., ritenendo le indagini complete e non suscettibili di ulteriori approfondimenti, su richiesta dell’ufficio inquirente, ha emesso decreto di archiviazione nel settembre del 2018.
In proposito va osservato che secondo vigenti regole processuali il giudice è l’unica autorità preposta al controllo della correttezza e completezza delle indagini poste in essere dal P.M., essendo egli in posizione di assoluta terzietà rispetto alle parti ed ai fatti ed avendo a disposizione la totalità degli atti di indagine, comprovanti nella specie un’attività di ricerca degli elementi di prova incessante e orientata a 360 gradi. Consegue che in mancanza di ulteriori, specifici e diversi elementi di prova, la ricostruzione operata in sede giurisdizionale deve ritenersi, al momento, l’unica in grado di assumere la dignità di verità storica, dovendo essere confinate nell’alveo delle mere congetture non meritevoli di apprezzamento contrastanti e alternative ricostruzioni dei fatti.

Poi guardando a quanto succede nell’area barcellonese e Messina città il Procuratore ha evidenziato:“si deve registrare che sono divenute irrevocabili le condanne emesse con rito abbreviato nel processo Gotha 6, mentre recentemente si è conclusa la requisitoria dei pubblici ministeri innanzi della Corte di Assise di Messina, con la richiesta in totale di n. 30 ergastoli per 8 dei 10 imputati. Per Gotha 7, con la sentenza resa in sede di giudizio abbreviato dal GUP di Messina in data 3 aprile 2019 si sono registrate condanne per 29 imputati ed una assoluzione, ed è stata appieno confermata l’impostazione accusatoria. Le indagini sulla mafia della città di Messina si sono tradizionalmente concentrate sulla lotta al narcotraffico e sulla repressione del fenomeno delle estorsioni, attività nelle quali sono, da sempre, stati impegnati alcuni dei più pericolosi gruppi criminali operanti nei quartieri di “Camaro”, “Mangialupi” e “Giostra”. 

Da leggere: Relazione intervento anno giudiziario 2020

Redazione Scomunicando.it

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