CATTURA E MORTE – Nanni de Angelis quel maledetto 5 ottobre 1980
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CATTURA E MORTE – Nanni de Angelis quel maledetto 5 ottobre 1980

 

Partiamo dal ricordo pubblicato oggi sui social d Marcello De Angelis

QUARANTA ANNI FA E’ MORTO MIO FRATELLO

Lo so, non è un granché come titolo.
Ma questo è. Quaranta anni sono molti. Io ne ho sessanta, quindi sono due terzi della mia vita, trascorsi con un ricordo fisso in mente che appare quando meno lo cerchi, quando stai per addormentarti o quando ti svegli all’improvviso.
Il 5 ottobre del 1980 lo ricorderò per sempre, ogni minuto. Con chi ero, chi disse cosa, dove.
Possiamo solo dire che Nanni, a ventidue anni, quel giorno concluse il suo transito terrestre. Ognuno poi ci metta il suo.
Non ho mai accettato che mio fratello venisse considerato un eroe dei fumetti, un personaggio eccezionale: per me era e sarà sempre solo mio fratello.
Quando dopo dieci anni di esilio e tre di carcere tornai in circolazione, nel 1992, non mancava occasione che qualche sconosciuto mi dicesse: “tu forse non te lo ricorderai, ma io ero il miglior amico di tuo fratello Nanni…”. La mitomania e lo sciacallaggio non hanno limiti.
Un giorno uno, che non avevo mai visto prima, mi disse: “tu non te lo puoi ricordare perché eri troppo piccolo…”. Non riuscii a trattenermi dal dirgli che in realtà ho poco più di un anno meno di Nanni e che abbiamo dormito tutta la vita nella stessa stanza, quindi era un tantino improbabile che io non mi ricordassi chi fosse il miglior amico di mio fratello… Lui nemmeno si scompose.
Forse Nanni morì ammazzato di botte dalla polizia. Non può essere provato, ma le istituzioni fecero di tutto e senza esclusione di colpi perché non si svolgesse una vera indagine. Non voglio ripercorrere i dettagli del trattamento che subì e di come arrivò in carcere, ancora ho mal di stomaco a parlarne. Di certo è che, anni dopo, il patologo professor Umani Ronchi scrisse, a proposito della sua vicenda, che un suicidio per strangolamento è il modo più diffuso che si utilizza nelle carceri per dissimulare una morte per altre cause.
C’è poi la storia del suo coinvolgimento nella inchiesta per la strage di Bologna. Siamo davanti ad una vicenda ufficialmente lurida e squallida, eppure ci sono ancora giovani cronisti improvvisati istruiti su Wikipedia, troppo giovani anche solo per immaginare i tempi di cui stanno scrivendo, che improvvisano storie sulfuree buttandoci dentro il nome di mio fratello. Perché non hanno rispetto di nulla. Forse solo per stupidità e presunzione.
Chi ordì il depistaggio che doveva addossare la strage a mio fratello dopo la sua morte, così che non si potesse difendere da un’infamante accusa, non ha un nome. Chi ordinò alla sedicente pentita Raffaella Furiozzi di fare il suo nome, per fortuna all’interno di un teorema che non resse 48 ore, nessuno ha mai cercato di scoprirlo. La magistratura se n’è totalmente disinteressata.
C’è un’altra vicenda in cui ricorre il nome di mio fratello ed è quella della morte di Valerio Verbano.
Come tutte le vicende di cui non si è mai trovato il bandolo, sono convinto che anche in questo caso la verità non emerga perché ci si ostina a guardare in una direzione che qualcuno ha stabilito ignorando o occultando altri elementi. Come con la strage di Bologna e tanti altri “misteri” che misteri non sarebbero se qualcuno avesse indagato con gli occhi aperti e senza paraocchi ideologici.
Ma non spetta certo a me montare teorie, non è il mio mestire.
Il solo fatto certo e incontrovertibile, è che l’unico legame di Nanni con Valerio Verbano è stato il fatto di essere stato accoltellato alla schiena da quest’ultimo, con altri dieci o quindici, alla fermata dell’autobus.
Per un curioso artificio lui, vittima di un tentato omicidio, viene da quarantanni tirato fuori, di tanto in tanto, come se fosse invece un sospetto criminale. Un’altra vicenda di cui fa male allo stomaco parlare.
Detto questo, solo per soddisfare le curiosità dei cultori della materia, non ho altro da dire. Solo che mi manca. Ma ormai mi mancano così tante altre persone che, paradossalmente, il dolore della sua perdita sembra minore. Più che essere attenuato, è confuso. Confuso con la mancanza di Giorgio, con il quotidiano struggimento per la morte di mio padre. E con quello per la perdita di tante altre persone che ho amato, che fa sembrare questo mondo sempre più vuoto.
Ma poi anche con la tenerezza le gioie, sempre nuove ma antiche, che provo vedendo i miei figli e i miei nipoti crescere, notando le somiglianze. A testimoniare che il sangue è forte ed è una catena dalla quale nessuno può sfuggire
Per fortuna.
Gloria a Dio.

Il 23 settembre 1980, quando furono emessi centinaia di mandati di arresto in seguito alla strage di Bologna, molti dei quali mandati riguardavano attivisti di estrema destra tra cui anche Nanni e il fratello. Va ricordato e sottolineato che tutti ragazzi arrestati in quella circostanza risultarono naturalmente del tutto estranei ai fatti, ma molti di loro rimasero ingiustamente in carcere diversi mesi. Per Nanni, innocente, non ci fu altra scelta che la latitanza, ma il 3 ottobre fu arrestato in via Sistina a Roma insieme con Luigi Ciavardini. I due avevano appuntamento con qualcuno che avrebbe dovuto fornire loro documenti falsi. Ma gli inquirenti ascoltavano le telefonate. Nel corso della movimentata cattura, De Angelis è più volte colpito duramente con i calci delle pistole. Secondo i giornali, in seguito si apprese che in questura fu fatto passare tra due file di poliziotti e massacrato di botte, perché scambiato pererore per uno dei partecipanti al commando che aveva ucciso il poliziotto Evangelista davanti al Giulio Cesare.

Nanni De Angelis fu trovato morto il 5 ottobre pomeriggio

Il giorno successivo, il 5 ottobre, Nanni viene trovato morto in cella di isolamento a Rebibbia e le autorità forniscono immediatamente una versione di “suicidio”. La famiglia viene per ore tenuta all’oscuro della morte, appresa poi dal telegiornale. All’arrivo in questura De Angelis sta abbastanza bene, pur con una botta in testa, ma poi il giovane, aggravatosi, viene ricoverato al craniolesi del San Giovanni perché accusa forti dolori alla testa, colpita dal calcio della pistola di un poliziotto. Ma anziché rimanere nell’ospedale, poco dopo De Angelis viene trasferito a Rebibbia, dove neanche c’è il medico. Il trasferimento avviene in barella poiché il giovane non è in condizioni di camminare.

Secondo la cronaca di allora del Tempo, il giovane aveva lo sguardo fisso nel vuoto e guardava il fotografo del quotidiano romano senza però vederlo, immerso in uno stato di stordimento. Alle 18 viene trovato morto, impiccato con una corda ricavata dai lenzuoli, senza che nessuno abbia visto o sentito niente. Il Msi senza mezzi termini in interrogazioni parlamentari (firmate da Almirante, Romualdi, Caradonna, Rauti, Miceli e Greggi) sostiene che il giovane sia stato colpito in questura e rianimato addirittura con l’intervento di un medico, e che la sua morte non sia dovuta a suicidio ma ad altre cause. Marchio nella sua interrogazione chiede poi se corrisponda al vero che i giovani appena arrivati in questura siano stati aggrediti da agenti perché qualcuno aveva detto che erano responsabili della morte di un loro collega. Michele Marchio in un’altra interrogazione – stavolta al Senato – sostiene anche che la Digos fece fotografare solo Ciavardini e non De Angelis dopo l’ingresso in questura e chiede chi abbia autorizzato il trasferimento di De Angelis dal San Giovanni al carcere. A questo si aggiunge la inspiegabile crudeltà nei confronti della famiglia, mai avvisata né dell’arresto e del trasferimento del giovane né della sua misteriosissima morte.

 

Da leggere ancora l’articolo di Ugo Maria Tassinari su “Fascinazione” e i contributi tratti da  “Guerrieri”

Tornato nell’ambito di Terza posizione, in quei giorni mi sto dando da fare per aiutare i latitanti a espatriare. In questo mio agitarmi per Roma la polizia intercetta una mia telefonata: ma De Angelis non c’entra niente. Mi stava solo accompagnando.

La cattura di Nanni

Nanni tenta di impugnare il revolver, un’arma rapinata a Pescara. È capitano della squadra campione di football americano e per immobilizzarlo sono costretti a picchiarlo duramente, davanti a decine di passanti, a piazza Barberini. Poi, evidentemente, ci prendono la mano e continuano anche dopo averlo neutralizzato. Le modalità dell’arresto sono descritte in una lettera alla signora De Angelis, spedita da un anonimo spettatore:

Mi scusi se vengo a turbare il suo profondo dolore, ma sento il dovere di informarLa che la cattura di suo figlio è avvenuta in circostanze da film western, con la più spietata ferocia. Pensi che alcuni uomini presenti al fatto sono addirittura svenuti per quello che i poliziotti sono stati capaci di fare ai due ragazzi arrestati. Afferratili, li hanno gettati a terra e li hanno ripetutamente colpiti al capo con i tacchi delle loro scarpe. Quello che è successo a suo figlio era il minimo che potesse accadergli dopo un simile trattamento. Per sincerarsi meglio di quanto ho sin qui detto può far interrogare, non penso che Lei personalmente ne avrebbe mai la forza, qualcuno dei negozianti i cui esercizi si affacciano sul luogo dell’arresto. Non so di cosa fosse responsabile suo figlio, ma so che la scena cui abbiamo assistito mi ha riempito di angoscia e ci ha reso ancora più disorientati. Vorrei tanto firmarmi ma ho paura. Le più sentite condoglianze.

https://youtu.be/ZLs7AgNn3OU

Il pestaggio di Nanni in Questura

Il pestaggio riprende in Questura: si sparge la voce che è stato catturato il killer di “Serpico”. Il branco sfoga la voglia di vendetta su De Angelis, che dei due sembra il capo, al punto da

indurre successivamente la Digos a far fotografare e riprendere dalla televisione solo il Ciavardini, mentre dopo diverse ore di permanenza nei locali della Questura il De Angelis veniva trasportato in ospedale (…) Gli agenti di pubblica sicurezza lo hanno immediatamente disarmato, lo hanno messo per terra e si sono divertiti a pestargli il cranio… portato in Questura il De Angelis è stato fatto passare tra due file di poliziotti ai quali è stato detto: ecco il responsabile dell’assassinio di Serpico.

La sua agonia è descritta con dettagli raccapriccianti in un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Michele Marchio.

La mattina del 5 ottobre Nanni è portato all’ ospedale San Giovanni dove gli sono ricucite una ferita alla nuca e una alla tempia.

Nonostante sette giorni di prognosi e l’evidente stato di stordimento per i postumi del duplice pestaggio è trasferito in cella d’isolamento a Rebibbia e non al centro clinico di Regina Coeli, come prescritto dai medici del pronto soccorso.

La matricola registra l’ingresso alle 14,10. L’agente che distribuisce la cena lo trova impiccato con un lenzuolo alla finestra della cella alle 17,20. La famiglia si impegna in una dura battaglia legale per dimostrare che Nanni non si è tolto la vita ma che il suicidio è stato simulato per coprire la morte in cella in conseguenza dei colpi alla testa.

Dimitri: si è ucciso (dopo i pestaggi)

Al suicidio, invece, crede Peppe Dimitri. Nella prima intervista all’uscita del carcere racconta:

Ho vissuto mesi di durissimo isolamento totale. C’è chi ha scelto di uccidersi. Un mio amico, Nanni De Angelis, trascinato nel braccio d’isolamento, dopo essere stato pestato a sangue durante l’arresto, si è impiccato nella cella accanto alla mia.

Di un senso di colpa per la tragedia parlerà anche Ciavardini:

Nanni era un ragazzo di una vitalità incredibile, dava piacere a guardarlo. Era allegro, una forza della natura. La sua morte, il rimorso di non averlo potuto aiutare, mi è sembrato quasi di aver ucciso un’altra persona (…).

L’omaggio dei camerati

Nonostante il clima da scene di caccia in bassa Baviera decine di camerati rendono omaggio a Nanni, vittima della brutalità poliziesca, varcando il portoncino del villino dei Parioli, per stringersi intorno alla famiglia.

Quella casa la conoscono tutti: negli anni dell’impegno pubblico ha rappresentato per molti l’occasione di un pasto caldo e di un materasso su cui riposare nei ristrettissimi tempi che una militanza forsennata lasciava alle più strette necessità fisiologiche.

Rosa, una piccola ed energica napoletana, quattro figli militanti in Tp (“Nanni”, Marcello, Giorgio e Germana, il quinto è un bambino ma ha già preso confidenza con le perquisizioni all’alba e i mitra puntati), non ha mai sbattuto la porta in faccia a nessuno. Quando qualche mese dopo il Telegiornale annuncia l’uccisione di un poliziotto, il piccolo esulta, la donna lo rimprovera: «Pensa alla madre, poverina» e lui, pronto: «Perché, Nanni non ce l’aveva una mamma?».

L’impegno di Giorgio

A difendere la memoria del fratello, girando per le redazioni, ci pensa Giorgio: Marcello è anch’egli latitante e tocca a lui – un ragazzino robusto e laconico, diciott’anni ma è già un campione di rugby – spiegare a un redattore di Paese Sera che Nanni non era mai stato missino ma un militante antisistema. Il simbolo che gli hanno trovato al collo, precisa, era amerindio: il loro mito. In tempi in cui imperavano i martelli di Odino, il cugino Lele Macchi aveva scoperto la storia dei pellerossa come archetipo di una civiltà guerriera e nomade, non materialista né gerarchica e Nanni, caratterialmente irriducibile a qualsiasi catena, era stato il primo adepto del nuovo culto.
La sua stanza è rimasta tappezzata dei manifesti di Geronimo e Cavallo Pazzo.

Nanni era amatissimo dai camerati, ma anche da molti ragazzi di sinistra che gli erano amici. Il ritratto collettivo che viene restituito dai tanti che l’hanno pianto è quello di una persona buona e gentile: un artista (suoi i primi murales di destra) che non ha mai alzato un dito per teppismo o inutile violenza. Alto quasi un metro e 90, Nanni non si è mai tirato indietro nel bisogno, anche se alla noia della sezione preferisce il cazzeggio da bar e la caccia alle donne. Dei tanti caduti tra i “guerrieri senza sonno” Nanni sarà il più noto tra le generazioni successive.

Nanni è Piccolo Attila

Gabriele Marconi, cantautore e scrittore, ci racconta come e perché:

La prima canzone? Piccolo Attila, scritta in ricordo di Nanni De Angelis. Inverno 1980. Nanni era morto da un paio di mesi, trovato impiccato alle sbarre di una cella d’isolamento dove non avrebbe dovuto essere. Quella sera del 5 ottobre, insieme a lui, moriva un sogno durato poco più di due anni (il sogno nostro, dico quello di chi era cresciuto dentro Terza posizione).
All’improvviso il potere si era accorto di noi e muovendo un solo dito (ma neanche tanto piccolo…), ci aveva schiacciati come mosche fastidiose. L’illusione di poter essere, com’è scritto in La rivoluzione è come il vento, «angeli con la spada» in un mondo che non si formalizzava ad usare le bombe atomiche, finì proprio quel giorno. La retata contro Tp c’era stata il 23 settembre, d’accordo, ma il giorno a cui associo la parola “fine” per il nostro movimento, non c’è dubbio, è quello della morte di Nanni ( …) Avevo 19 anni, stavo da solo e mi spaccavo il cuore di rabbia, d’impotenza e di nostalgia. I miei amici erano a Roma (oppure in galera, o fuori dall’Italia) e a parte lettere e telefonate non avevo nessuno con cui sfogarmi.
Per questo nacque Piccolo Attila: un passaggio dalla storia (la storia nostra, ovviamente) al mito (e non per niente il primo titolo della canzone era La leggenda di Piccolo Attila), sulle note di Foggy dew, quella ballata irlandese che cantava Alain Stivell durante il concerto dei 15 luglio, sempre a Roma, a Villa Torlonia, finito nell’incredibile scontro che ho cercato di descrivere nel testo. (…)
Solo qualche anno dopo, a un concerto di musica celtica organizzato dal Fdg a piazza dei Popolo, scoprii nella maniera più imprevedibile che quella mia prima canzone (registrata in maniera più che casareccia su una cassetta di Marcello, da sua sorella Germana), era andata ben più lontano di dove arrivava la mia voce: quando la bandaveva attaccato Foggy dew, infatti, un ragazzino, dando di gomito a un amico, gli disse: “Aoh, la senti? Piccolo Attila in inglese!”, e attaccò a cantarla con le parole che avevo scritto io. E piano piano a lui si unì il suo amico e poi altri, e altri… Non ci volevo credere. Beh, se c’è un Dio, quella sera ho sentito una sua carezza.

La battaglia di Villa Torlonia

Emozione analoga è toccata una decina di anni dopo a Marcello De Angelis, reduce dall’esilio londinese, che ha sentito le sue canzoni ormai quasi dimenticate diventare la colonna sonora del raduno nazionale del Fdg. Tra queste quella dedicata al fratello, registrata su un nastro di fortuna e febbrilmente riprodotta da centinaia di giovanissimi trasmettitori della memoria.

Così Marconi trasfigura la piccola storia di Nanni che guida la carica contro un gruppo numericamente preponderante di compagni in occasione di un concerto di musica celtica a Villa Torlonia nel luglio 1980:

Tutti in piedi ci alzammo e davanti a noi
gli sciacalli già fremevano.
Avanzaron ghignando sicuri già
d’inseguire schiene nude.
Ma la mano di Piccolo Attila
contro il cielo stellato si levò.
Seminando il terrore calava giù
l’orda buia non rideva più.
E con la forza di un fiume in piena poi
caricammo. E la terra sotto noi
rimbombando tremava e gli alberi
ondeggiavano nel vento.
E mai più, mai più quel prato rivedrà
una sera come un anno fa.
Non si scioglierà mai la Compagnia
ma c’è chi non è più sulla via.

La fiaba di Marcello

De Angelis, invece, trova il distacco necessario a raccontare la tragedia nella forma della fiaba:

C’era un grande guerriero, con lo sguardo sereno che giocava con te. Combatteva senz’armi, era senza cavallo, ma è lo stesso per te. Ora è partito, ma ritornerà, tornerà quando tu chiamerai. Ora è partito, ma se lo vorrai tornerà quando sogni da te. Era forte, era grande, ma non era cattivo, lui correva con te. C’ è chi è cattivo e ha paura di chi è troppo forte e paura non ha. Nanni è partito a combattere chi vuole un mondo dove il gioco non c’è. Nanni è partito, ma ritornerà, tornerà quando tu chiamerai. L’orco lo fece prigioniero e una porta per scappare lui non la trovò. E allora divenne un uccello e attraverso le sbarre nel cielo volò.

 

5 Ottobre 2020

Autore:

redazione


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