L’intervista e altro…
Antonio Albanese si propone al pubblico come regista e interprete di un film durissimo ma allo stesso tempo che traspare fragilità da ogni poro. Lo stile è semplice, essenziale, diretto
Albanese: ”Non ho usato neanche un drone (ride)”
Narrativamente il lungometraggio scorre molto lineare ed essenziale
Albanese:” il protagonista Antonio, è un uomo come tanti altri, con un unico sogno nella vita, dare alla figlia amatissima un matrimonio da sogno, come lei ha sempre desiderato, fin da piccola, quando provava con il padre il cammino verso l’altare, fianco a fianco con particolari situazioni divertenti.”
L’ambientazione è molto familiare per il regista
Albanese: “il film è stato girato nel mio paese di nascita, in provincia di Lecco e nella fabbrica in cui ho lavorato per sei anni. Mi conoscono tutti. Ricordo un momento in cui eravamo fermi perché la luce era troppo forte ed eravamo in attesa che il cielo si oscurasse. La gente era li che assisteva alle riprese. Uno di loro mi chiese “Antonio ma che stiamo aspettando?” io risposi “una nuvola perché la luce è troppo forte”. Il vicino di quest’uomo gli chiese “e allora, che ti ha detto?”, “che aspettiamo una nuvola” e tutti alzarono la testa puntando per diversi minuti il cielo”
E’ gente semplice che ha votato la vita al lavoro e alla famiglia.
Albanese: “la domanda che mi ha spinto a fare questo film è stata “quale dolore, quale sofferenza si prova quando tutti i risparmi di una vita si volatilizzano nel nulla in un istante?”
L’Europa ci considera paradossalmente un paese ricco, perché in realtà lo siamo, abbiamo delle banche molto solide che hanno grosse quantità di denaro che sono risparmi. Gli italiani risparmiano, dopo la guerra tutta l’insicurezza che ne è derivata, il boom economico ha permesso alle vecchie generazioni di costruirsi un futuro solido basato soprattutto sulla casa di proprietà e su un gruzzolo su cui contare nei momenti di difficoltà. Gli italiani non investono, mettono tutto in banca e delle banche si fidano. Hanno avuto un rapporto personale con i direttori e con gli impiegati, soprattutto in provincia. Ma ad un certo punto tutto questo è cambiato. Le banche hanno cominciato ad investire trasformando le sicure obbligazioni in cui i clienti avevano investito in azioni, raggirando le persone ignare di certi meccanismi, che in nome della fiducia personale , firmavano contratti senza leggerli, perché in realtà non li avrebbero neanche capiti e il continuo cambio di direttori ha confuso ancora di più le acque.
Le politiche di governo si muovono così a sostegno delle banche da tempo, lasciando i clienti in balia di loro stessi e di fronte ai crac li ha abbandonati. Le conseguenze sono state devastanti e a volte sono sfociate nella tragedia.
Il film di Albanese si muove su questa linea sottile, dove l’ignoranza non è concessa e la fiducia, il sentimento sul quale si basa ogni tipo di evoluzione, economica, sociale, politica, è un lusso che non ci si può più permettere.
Albanese: ”era da anni che volevo fare questo film, anni di studio sui crac bancari che hanno portato alla rovina migliaia di piccoli risparmiatori. Non ho niente contro il sistema banche, ma la possibilità di distruggere letteralmente le vite di persone semplici che hanno dedicato la vita al lavoro e alla realizzazione di piccoli sogni è qualcosa di intollerabile. Potevo essere io stesso uno di loro, lavoravo in fabbrica, dopo sei anni ho lasciato per il teatro ed è andata bene, ma se non fosse andata così?”
Albanese porta al limite un personaggio mite, semplice, sopraffatto dagli eventi, incapace a reagire perché si ritrova di fronte a qualcosa di inaspettato, incomprensibile, sono i suoi soldi quelli che non ci sono più e non capisce, non chiede altro che riavere quello che è suo.
Albanese: ”la sceneggiatura è stata scritta dopo aver palato con centinaia di persone che hanno vissuto questo dramma, che a volte è sfociato persino nel suicidio”
l’“esplosione” di un personaggio mite
Albanese porta al limite l’“esplosione” di un personaggio mite,
Albanese:”Sono persone che non avrebbero niente di cui vergognarsi e invece si vergognano di essere state fregate, di essere fallite. E persone che dovrebbero vergognarsi, invece, non lo fanno. Sono persone spesso profondamente oneste, schiette, che possono serenamente guardarsi allo specchio. E infatti Antonio si dà la colpa per qualcosa di cui in realtà non ha nessuna colpa. Non vuole lamentarsi e nemmeno “ribellarsi”. Rimane sopraffatto dalla situazione in cui si ritrova”
Cento domeniche, il titolo, riprende la storia di un uomo che ha perso tutto e che si ritrova in ospedale per un infarto”lavoravo tutti i giorni e poi la domenica mi mettevo a lavorare alla costruzione della mia casa”
I crac non sono fenomeni recenti. I primi scandali risalgono al 1893 (Scandalo della Banca Romana)
Italo: “ ciao Antonio. Questo film è un pugno allo stomaco. Il primo credo realmente drammatico che hai realizzato. Si nota la voglia di restituire l’elemento umano. La regia è pulita, molto incentrata sui personaggi. Anche tu come tua “moglie cinematografica” Paola Cortellesi avete ripreso il neorealismo e anche se il tuo film è a colori e ambientato nel presente ci riporta indietro. Senti che c’è una necessità di affrontare la realtà e non intrattenere e basta”
Albanese:”ciao Italo. Intanto io credo che il film più drammatico che io abbia fatto è “Qualunquemente” perché descrive una realtà estremamente tragica. E si, credo ci sia una necessità di rappresentare quello che ci succede intorno. Le tragedie del “popolo” i film su intellettuali in crisi nelle loro ville in montagna sono troppi. La mia regia è stata spoglia perché più che l’estetica mi interessava restituire i volti e i corpi degli attori che esprimono ferite inguaribili e tragiche”
Difficilmente l film otterrà un successo al cinema, il “caso” Cortellesi per certi versi è inspiegabile.
Resta il fatto che nonostante “C’è ancora domani” sia il 5 film italiano più visto nella storia ,superando persino “la vita è bella” di Benigni, i primi 4 sono tutti di Checco Zalone. E credo che dire “la gente ha voglia di ridere e di distrarsi” sia vero, ma il cinema sembra essere diventato un luogo dove questo non può più avvenire, perché il cinema è forse l’ultimo strumento che liberamente e in modi diversi, sta prendendo atto della necessità di mostare quello che no si dice. Per ridere c’è tik tok e i reality.
Italo Zeus