Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano
Oggi la blogger Giulia Quaranta Provenzano ci propone un’intervista – di approfondimento conoscitivo sul suo percorso e sulla sua arte – alla fondatrice dell’Atelier Blu. La donna è un’orgogliosa mamma, un’instancabile pittrice, un’attenta costumista e molto altro ancora…
Buongiorno! Vorrei domandarle subito quando e mossa da quale cosiddetto motore interiore ha avuto origine il suo viaggio nell’Arte tant’è che è oggi una stimata pittrice, costumista per cinema e tv, nonché fondatrice di Atelier Blu [clicca qui https://instagram.com/instachiarina?igshid=YmMyMTA2M2Y= e clicca altresì qui https://instagram.com/chiara_maria_massa?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere al profilo IG di Chiara Maria Massa]. “Buongiorno Giulia! Il mio viaggio nell’Arte, così come giustamente lo definisce lei, è iniziato a livello inconscio a partire dalla prima infanzia. Non ricordo un solo momento della mia vita in cui io non abbia disegnato. Il regalo che preferivo ricevere, già a pochi anni d’età, era un’enorme scatola di colori. La presa di coscienza della mia inclinazione al disegno, della volontà di farne un mestiere, è giunta anni dopo… il trasferimento della mia famiglia da un piccolo paesino ligure a Milano mi ha mandata a gambe all’aria, ho sofferto profondamente tale cambiamento tanto repentino e radicale. L’arte mi ha salvata, pertanto decisi di lasciare la strada percorsa fino a quel momento (gli studi cosiddetti classici, regolari, prevedibili per la società e il contesto familiare in cui ero cresciuta) e ripartire da zero. In pochi mesi ho recuperato il tempo precedentemente perduto e mi sono assicurata l’ammissione all’Accademia di Belle Arti di Brera. Scelsi la facoltà di Scenografia e Costume, perché univa i miei due grandi amori ossia appunto l’arte e il teatro (inscindibili, per me, nei primi anni del mio percorso professionale). In seguito è arrivata nella mia esistenza la macchina da presa e ho dunque abbandonato i palcoscenici per i set, scoprendo una nuova passione travolgente che mi ha condotta per mille strade e in tutti i campi possibili della produzione audiovisiva. Naturalmente, alla luce di ciò, il gesto puramente fisico e creativo della pittura si è perduto lungo la via. Tuttavia, essendo profondamente radicato in me, mi è presto mancato tantissimo. Nel 2010 ho avuto la mia prima bambina. Fu allora che, stando a casa per dedicarmi a lei, decisi di ricavarmi un piccolo spazio e riprendere in mano tele e pennelli. Mi svegliavo prima dell’alba e capii che ciò che, confusamente e clandestinamente, finiva sulle mie tele sarebbe diventato qualcosa di più di un ritaglio di tempo. È nata in questa maniera, all’epoca, l’idea del mio Atelier Blu …spazio più mentale che fisico, divenuto ormai parte integrante della mia vita e delle mie giornate – nonché imprescindibile quanto lo sono tutte le altre attività che svolgo per lavoro o per amore”.
Da cosa deriva la scelta del nome Atelier Blu per quello che ha definitivo il suo multiverso di fili e pennelli [clicca qui https://instagram.com/atelierblu?igshid=YmMyMTA2M2Y= per accedere al profilo IG di Atelier Blu]? “I primi dipinti risalgono agli anni tra il 2010 e il 2016. Essi avevano come denominatore comune paesaggi surreali, dominati da cieli blu oltremare… il colore che definisce il mio segno. Semplicemente da ciò deriva il nome Atelier Blu. I fili sono arrivati nel mio mondo di colori solo da pochi mesi, in seguito all’intuizione di poter unire il mio lavoro di costumista e quello di pittrice”.
Da piccola a cosa, forse, immaginava di dedicarsi “da grande” e che bambina è stata? “Davvero, non ricordo di aver avuto le idee chiare a codesto proposito. Ammiro molto la generazione delle mie figlie, i ragazzi di oggi, poiché – al contrario mio – hanno una progettualità piuttosto precisa in mente a riguardo dei propri obiettivi e passioni e circa le capacità che ritengono di possedere in relazione a una determinata disciplina o inerentemente a un certo argomento. Sono stata una bambina piuttosto timida, astratta e solitaria. Trascorrevo molte ore disegnando, riempivo interi quaderni di scarabocchi di ogni tipo. Ricordo, in particolare, un gioco che mi appassionava ossia disegnavo case e stanze abbandonate e trascurate nei più piccoli dettagli e mi divertivo a trasformarle in luoghi meravigliosi. Forse, l’unico indizio di un’inclinazione verso la scenografia e la decorazione mi viene da questo remoto ricordo. Nonostante ciò, se non avessi dovuto cambiare città e vita, non sono sicura che avrei seguito la mia vocazione artistica. Una volta giunta a Milano, ho lasciato che il cambiamento coinvolgesse tutto il mio mondo e ho seguito la corrente senza alcuna esitazione. Ad acque ferme, chissà… magari oggi sarei una professoressa di greco, in un liceo di provincia, inconsapevolmente felice o segretamente insoddisfatta. Non lo saprò mai”.
Ho letto che le chiedono spesso chi lei sia, cosa fa e perché lo fa. In un post su IG, con un suo dipinto, ha così risposto: “Eccomi qua, questa sono io. Non so dirlo meglio che dipingendomi: sono questo volto irregolare dai grandi occhi, non sento mai freddo, mi faccio le trecce, ho mostriciattoli e fiamme in perenne fuga dalla testa, qualche ferita, due cuori in un uovo. E cerco in quelli che avvicino tre cose terribilmente rare e difficili ossia la follia, la libertà e la grazia”. Ebbene, mi sorge spontaneo chiederle se vuole raccontarci quali sono stati e quali sono i mostri dai quali preservare i suoi Wow, i suoi affetti. “È, questa, una domanda difficile. Sono una donna con i nervi scoperti, ho poche difese che mi riparino dai venti contrari. Non sono mai stata capace di costruire una corazza tra me e il mondo. Me la vivo così, sentendo ogni cosa, come quando hai la pelle bruciata dal sole e basta un soffio di vento per rabbrividire. Fa parte di me, tale sentire appunto… e si riflette profondamente in quello che faccio, che scrivo, che dipingo e nel mio rapporto con le persone, con gli amici, con chi amo. Sono un eccesso e – per quanto mi venga sempre ricordato che dovrei andarci piano, che dovrei mettere un segno meno davanti a tutto, frenare, sgombrare, liberare – io non ne sono capace. Entra tutta la bellezza ed entra tutto il dolore ma fortunatamente so come farlo fluire, dal cuore alla testa, fino alle mani. Quando dipingo con la pelle bruciata la gente se ne accorge e si sente compresa, come se raccontassi qualcosa che appartiene a tutti (però che non tutti sanno esprimere) …non so immaginare nulla di più umanamente emozionante di ciò. Di follia ne occorre un po’ per accettare la propria natura non convenzionale e seguirla ovunque conduca. La libertà inoltre, per me, è la condizione irrinunciabile per stare al mondo e trovo che sia essenziale pure la grazia, perché siamo qui per essere felici e per diffondere felicità nei modi che ci sono stati regalati dalla sorte tant’è che è nostro preciso dovere riconoscerli, rispettarli, farli crescere e portarli a spasso per il mondo, di testa in testa, di cuore in cuore. Abbiamo tutti la responsabilità dei nostri talenti”.
…Un libro, “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll, ricco di spunti sui cui riflettere a riguardo della propria crescita personale. Nell’imparare a conoscersi e nel comprendere cosa si vuole fare-essere-avere, la propria specificità in che relazione sta – almeno per ciò che la concerne – con la socialità e con l’aggregazione, con la vita sociale? E l’ampia e profonda diversità d’approccio all’esistere e nel come vivere rispetto alla maggioranza a cosa le sembra che porti? “Per quello che riguarda i capi d’abbigliamento da me creati e le mie tele, solo il recente Bianconiglio si riferisce ad “Alice nel paese delle meraviglie”…richiesto su commissione, mi sono comunque divertita molto a disegnarlo e a dipingerlo. Il detto libro di Lewis Carroll non è tra i miei preferiti ma, nonostante ciò, l’ho sempre guardato con interesse per via della condizione alterata in cui è stato scritto. La storia dell’arte è ricca di capitoli legati alla creatività sotto effetto di stupefacenti, è un argomento che ho studiato a lungo e di cui mi sono interessata per comprendere a fondo come influiscano proprio tali comportamenti sull’opera finale. Io sostengo fermamente l’esigenza della lucidità nel gesto artistico, non potrei mai concepire un’opera in stato di coscienza alterato e nemmeno ho mai avuto vizi simili – tuttavia le visioni lisergiche di Carroll mi hanno sempre incuriosita. Per quanto concerne la mia vita sociale, ho una famiglia e ho molti amici e, alla luce del lavoro che svolgo, conosco e frequento decine di persone delle più disparate provenienze, nature, estrazioni sociali e culturali. La bambina timida, che ero, è diventata una donna estroversa e rumorosa. Il mio approccio all’esistere si declina teneramente con le mie figlie, diventando trasmissione di passione e conoscenza… mentre con gli amici di sempre, in feste e viaggi, interpreto immancabilmente il ruolo della casinista …chitarra in braccio e pennelli in valigia, sempre pronta. Io sono quella strana ma per chi amo, questo mio essere, non è mai stato un problema”.
Cosa rappresenta per lei la Bellezza, l’Arte e quale ritiene che sia il loro principale pregio? “La Bellezza è un anestetico naturale contro i dardi del destino. Se non ci fossero la beltà e l’arte, se non ci fosse qualcuno che si prende la briga di permettere all’umanità un certo numero frequente di <<Wow>>, avremmo soltanto di che tormentarci con l’idea della nostra caducità. Mi pare dunque, quello per l’appunto della bellezza e del’arte, un pregio piuttosto importante”.
Quale ruolo le pare che giochi e quale le piacerebbe avesse l’immagine visiva nella società e nel veicolare significati nei più differenti campi della vita – ad esempio a livello emozionale, d’impegno verso un qual certo “quid”, psicologici a riguardo di sé e di coloro con i quali ci si interfaccia? “Vivo piuttosto inconsapevolmente l’effetto che, nel mio piccolo, produco con le mie immagini (e, a livello sociale, realmente non ne ho idea). So però per certo – osservando i miei clienti – che riconoscersi in un’opera, e farla propria, suscita enormi emozioni. Così come, per me, solleva maree profondissime capire che una tela sta prendendo la forma che immaginavo e che la visione che mi era balenata nel cervello sta diventando reale. Non capita ogni volta. Ci sono dipinti, che ho realizzato di getto, che mi assomigliano moltissimo e che sento profondamente autentici e sinceri… sono, questi, quelli più amati anche dal mio piccolo pubblico. Credo, quindi, di poter affermare che il “quid” che distingue un’opera valida sia la sincerità”.
Ha piacere di condividere con noi alcuni titoli di libri, canzoni e opere d’arte visiva che l’hanno toccata nell’intimo e fatta significativamente riflettere? “Sono una divoratrice di libri, leggo molto e velocemente. Ascolto musica ogni momento. Canto, suono… male, ma con gioia. Un viaggio in Messico, nel 2007, mi ha fatta innamorare di Frida Kahlo e – da allora – tanta parte di lei e della cultura messicana della sua epoca è entrata nella mia vita e nella mia arte. Se dovessi dire qual è la mia canzone emblematica, sarebbe “Creuza de mä” di Fabrizio De André. L’opera di arte visiva che, invece, mi toglie il fiato è la “Vocazione di San Matteo” di Caravaggio, dipinto che è sito nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma”.
Infine, prima di salutarci, vuole anticiparci quali sono i suoi prossimi progetti e magari svelare pure qualche eventuale chicca in anteprima? “Ho in mente alcuni dipinti a tema fiabesco, per un progetto propostomi da una direttrice editoriale… Chissà che non ne esca proprio Alice!”.