il Padre della commedia all’italiana, Mario Monicelli morto suicida a Roma. L’ultimo “volo” senza ciak.
Il regista viareggino si è ucciso lanciandosi da una delle finestre del reparto di urologia del San Giovanni.
Nei suoi film l’Italia che cambiava; Un grande maestro che non si prendeva mai sul serio; Ha deciso tutto, fino all’ultimo; I suoi perdenti sono entrati per sempre nella storia del cinema e del nostro Paese padre della commedia all’italiana; Il regista di più di 60 pellicole; potevano essere tutti titoli e sottotitoli, ma Mario Monicelli era semplicemente l’ultimo grande maestro del cinema italiano.
Aveva 95 anni e soffriva di un tumore alla prostata.
MAESTRO CAUSTICO – Viareggino, classe 1915, Monicelli è considerato uno dei padri della commedia all’italiana. Negli ultimi anni di vita gli è toccato l’ingrato compito di commentare la morte di numerosi e cari colleghi.
Lo ha fatto con arguzia e cinismo e senza sentimentalismi. La vena caustica e amarognola delle sue opere, l’aveva di recente riservata alle sue uscite pubbliche.
Aveva preso parte al Viola Day di febbraio e al primo no B day nel dicembre scorso a Piazza San Giovanni. E aveva incitato i giovani a tenere duro: «Viva voi, viva la vostra forza, viva la classe operaia, viva il lavoro.
Dobbiamo costruire una Repubblica in cui ci sia giustizia, uguaglianza, e diritto al lavoro, che sono cose diverse dalla libertà».
Era stato anche a Montecitorio con i colleghi nel luglio 2009 per protestare contro i tagli al Fus. L’Italia era per lui «una penisola alla deriva». Il suo quartiere «d’adozione» a Roma era Monti, l’antica Suburra, con ancora gli artigiani a lavorare sull’uscio, al quale il cineasta aveva dedicato una delle sue ultime opere. Abitava al 29 di Via dei Serpenti, proprio sopra un noto gelataio.
Viveva in un piccolo loft, un bilocale dai colori sgargianti che poteva essere quello di uno studente fuori sede.
«Quello che è successo mi ha lasciato estremamente basito» ha commentato il produttore Aurelio De Laurentiis.
«Sono attonito» ha detto Carlo Verdone, accogliendo con grande sgomento la notizia della morte tragica di Mario Monicelli. «Era probabilmente una persona stanca di vivere, che non sosteneva più la vecchiaia. L’ho apprezzato molto come grande osservatore e narratore – ha aggiunto l’attore romano – anche se a volte con condividevo il suo cinismo. Era gentile, cordiale, ma di poche parole. Un anno fa – ha ricordato Verdone – mi capitò di fargli gli auguri a Natale. Rimase sorpreso: gli auguri, mi disse, non li fa più nessuno».
«Non posso andare avanti: devo dirvi che è morto Mario Monicelli. Lo avremmo tanto voluto qui, ma era malato e adesso non c’è più» ha detto Fabio Fazio durante la diretta di Vieni via con me, il programma condotto con Roberto Saviano su Raitre. Il pubblico in studio ha accolto la notizia con un lungo applauso.
«Non so che cosa si dirà domani di quello che è successo – ha commentato Giovanni Veronesi -, ma una cosa va detta: non ho mai sentito nessuno che si suicida a novantacinque anni. Era davvero speciale». Veronesi si è detto «scombussolato»: «L’avevo sentito poco tempo fa – ha spiegato – e pur sapendo che era all’ospedale, non lo sono mai andato a trovare. Peccato».
«Provo un grande dolore» ha scritto in una nota il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
I SUCCESSI
Monicelli esordì nel cinema giovanissimo con il corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. Padre della commedia all’italiana, con i colleghi come Dino Risi, Luigi Comencini e Steno, è stato regista di oltre 60 film e autore di più di 80 sceneggiature. Quella di Monicelli è stata una vita dedicata interamente al cinema, al ritmo di quasi un film all’anno. Una produzione ininterrotta da I ragazzi della via Paal (1934) fino a Le rose del deserto (2006) e la sua ultima opera, il corto della sua carriera Vicino al Colosseo…c’è Monti, in programma fuori concorso alla 65esima Mostra del Cinema di Venezia. Fra i suoi grandi successi, Guardie e ladri (due premi a Cannes nel ’51), nel pieno del suo sodalizio con Totò, I soliti ignoti (nomination all’Oscar), La Grande guerra (1959) trionfatore a Venezia con il Leone d’oro, L’armata Brancaleone (1965). Sono gli anni dell’amicizia con Risi, degli scontri con Antonioni, del controverso rapporto con Comencini, del trionfo della commedia all’italiana e dei “colonnelli della risata”. Inventa Monica Vitti attrice comica in La ragazza con la pistola (1968); nel 1975 raccoglie l’ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di Amici miei. Nel 1977 recupera la dimensione tragica con Un borghese piccolo piccolo. Seguono fra gli altri Speriamo che sia femmina (1985) e il feroce Parenti serpenti (1993) con cui dimostra di saper leggere le trasformazioni della società italiana con l’acume e la cattiveria di sempre. È del 2006 il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive, con Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d’Albania di Giancarlo Fusco.
da www.corriere.it