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COMUNICANDO – Il “Maestro” ed i Ragazzi

La notizia della sua morte arriva improvvisa a scuotere la pigrizia, compagna di un sabato pomeriggio invernale, grigio, freddo e silenzioso. Irrompe come fosse la dipartita di una persona di famiglia, che da subito fa sentire la sua mancanza perché lascia un posto vuoto attorno a noi.

Termino di leggere l’articolo e cerco fra i libri di casa i suoi libri.

Chi era Vincenzo Consolo per i Siciliani?

Perché mi dolgo per la sua scomparsa?

Mia figlia mi dice di averlo conosciuto a scuola, in una delle sue visite al Liceo, qualche anno fa.

Mi partecipa i suoi ricordi di quell’incontro ed sembra tutto così naturale e spontaneo, anche lei lo aveva vissuto come una persona speciale e vicina, non distante dal mondo giovanile.

Mi racconta, con poche battute, della facilità di comunicazione istauratasi  fra autore e studenti e del fascino che sprigiona il dialogare con un letterato.

Aveva quattordici anni eppure il professore Consolo le aveva trasmesso una piccola dose di amore per la conoscenza.

Timidamente ed intimidita cerco di dare delle risposte e, dentro di me, ne trovo solo una: è morto un altro grande scrittore italiano, un pensatore siciliano, indagatore dell’animo umano, amante della nostra Terra e sostenitore dei suoi ideali e delle sue convinzioni.

La pigrizia ha già lasciato posto alla voglia di scrivere di lui per ricordarlo e, ingenuamente immagino di accomiatarmi da lui, io sua lettrice, io una delle tante che lo hanno chiamato Maestro.

Nello scorrere le interviste da lui rilasciate e raccolte in rete estrapolo questa sua risposta:  

È necessario comunque scrivere, ma scrivere in una forma che sia non più dialogante […], spostarsi sempre di più verso la parte espressiva, la parte poetica, perché la poesia è un monologo e quindi ti riduci nella parte del coro dove non puoi che lamentare la tragedia del mondo.

Racconta come un poeta.

Le parole hanno suono e colore.

Mia figlia mi chiede in cosa consista la sua bravura di scrittore.

Le porgo l’opera di esordio “La ferita dell’Aprile” invitandola a capirlo da sé.

Sfoglia a casaccio il libro e legge: “Buttò la bacinella d’acqua nel cortile, e, ciaffe, la polvere s’alzò a larghe falde. […] La campagna e le colline parevano squagliarsi con quel loro tremolio di vapore rasoterra: se durava così, se non pioveva, qualche giorno potevano bruciarsi.

Le faccio notare che in quelle frasi senti lo scroscio d’acqua e vedi la polvere sollevarsi da terra; senti lo scirocco avvolgere le colline e vedi i colori della campagna.

Il Maestro era solito villeggiare a Capo d’Orlando e non mancavano occasioni per coinvolgerlo in manifestazioni culturali a fianco di altri dotti originari dei nostri luoghi.

Mi riferisco al poeta Basilio Reale, morto l’anno scorso, al regista Vittorio Sindoni ed a tanti altri suoi colleghi ed amici.

Aveva avuto la fortuna di frequentare il poeta Lucio Piccolo di Calanovella e di essere grande amico di Leonardo Sciascia.

Telefono al Preside Angelo Villa perché ricordo che in passato mi aveva parlato del suo rapporto con lo scrittore.

Il Preside apprende costernato la notizia ed anche lui, come mia figlia, mi racconta della disponibilità che aveva Consolo verso gli studenti e cita due circostanze in cui il Maestro era stato ospite nell’Istituto professionale di cui allora era dirigente. Vincenzo Consolo era un uomo colto che sapeva trovare le parole adatte ad ogni platea, come i suoi racconti.

La ricercatezza del lessico e lo stile letterario armonioso ed elaborato non creavano distanze con il lettore di media cultura, anzi lo incoraggiavano ad andare avanti nella lettura.

Perché Consolo era di tutti, non solo dei letterati; Consolo raccontava di sé, di politica, di mafia e di profumi che solo la Sicilia conosce.

 

 

 

foto – Cinzia Scaglio e google

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