Il pullman assediato, poi i petardi in campo, la guerriglia dagli spalti di Genova, le minacce, la sospensione di Italia-Serbia, lo sconcerto in diretta tv, le lacrime del campione d’Europa Dejan Stanković, letelecamere di mezzo mondo che inquadrano .
Per la cronaca il capo ultras è stato arrestato. Si chiama Ivan Bogdanov, 29 anni, e sarebbe un leader del gruppo Ultra Boys che tiene per la Stella rossa Belgrado, è stato trovato dalle forze dell’ordine dopo le perquisizioni andate avanti tutta la notte: era nascosto nel vano motore di uno dei pullman che avrebbero dovuto riportare a casa gli ultras. E’ stato identificato attraverso una data che è tatuata sull’avambraccio. Stessa sorte anche per altri 16 suoi compagni.
Ma questo rimane un problema nostro.
«È uno scandalo, quelli che hanno organizzato questi incidenti sono a Belgrado», commenta a caldo il 12 ottobre il presidente della Federcalcio serba, Tomislav Karadžić, dopo gli incidenti che hanno fermato l’incontro, valevole per le qualificazioni degli Europei. «È un attacco allo Stato e lo Stato deve risolvere questo problema», ha aggiunto Karadžić, citato dai media serbi. Dalla violenza degli hooligan di Belgrado, un doppio “avvertimento”: contro l’indipendenza del Kosovo e contro la polizia serba, intervenuta il 10 ottobre a proteggere i manifestanti del Gay Pride, aggrediti dagli estremisti.
E’ questo è un problema serbo.
Dichiara Savo Milosević, ex calciatore della nazionale di Belgrado:
«Le cose sono molto più serie e pericolose: negli ultimi vent’anni – aggiunge Savo Milosević – lo Stato non ha fatto nulla per stroncare questa violenza. Pagheremo un prezzo molto alto per la mancanza di volontà di risolvere alla radice il problema».
E questo è un problema di tutti.
Ferma la condanna di Rts, la tv pubblica serba: l’emittente di Stato, che ha duramente esecrato i gravi incidenti provocati a Genova dalla frangia violenta dei tifosi, circa un migliaio: «È una vergogna per la Serbia e per il nostro calcio», ha detto il telecronista dallo stadio Luigi Ferraris di Genova.
La cosa più grave, ha aggiunto il conduttore, è che questi incidenti sono stati provocati fuori dalla Serbia.
Secondo la tv non è escluso che le intemperanze – che hanno portato alla sospensione di Italia-Serbia, con vittoria a tavolino degli azzurri – possano essere state messe in atto volutamente, come reazione all’intervento della polizia domenica scorsa a Belgrado contro gli estremisti di destra che cercavano di impedire lo svolgimento del Gay Pride.
Sempre secondo l’emittente pubblica, si legge su “Il Giornale”, gli hooligan hanno dato fuoco a una bandiera del Kosovo e hanno scandito slogan come “Bisogna uccidere i kosovari”. Per il quotidiano “La Stampa”, quello degli hooligan serbi è ormai un problema europeo: «Tifosi avversari feriti o uccisi, anche a colpi d’arma da fuoco; poliziotti e giornalisti aggrediti o serbi poliziaminacciati; incidenti in patria e all’estero: gli ultrà serbi hanno un curriculum da brivido».
Calcio e politica: Zeljko Raznatović, il famigerato “comandante Arkan”, reclutò proprio fra gli ultras della Stella Rossa i primi 3.000 miliziani che, dal 1991, costituirono poi YUGOSLAVIA ARKAN l’ossatura delle “Tigri di Arkan”, reparti accusati di aver condotto massacri contro la popolazione, durante la guerra civile jugoslava, prima in Croazia e poi in Bosnia.
Testimone scomodo degli orrori della guerra balcanica, “Arkan” fu poi assassinato a Belgrado nel 2000 insieme a due guardaspalle; ai funerali presero parte ventimila persone, la sua ex milizia gli rese gli onori militari e in Italia fece scalpore lo striscione “Onore alla tigre Arkan” apparso a Roma sugli spalti nella curva Nord della Lazio, squadra dove allora giocava Siniša Mihajlović, oggi allenatore della Fiorentina, in gioventù amico di “Arkan” quando la futura “tigre” era il leader dei tifosi della Stella Rossa.
Impossibile non leggere nella violenza degli ultras la profonda frustrazione di vasti strati della popolazione della Serbia, che era il paese leader della Jugoslavia e in pochi anni ha vissuto come un brutale smembramento le secessioni di Slovenia, Croazia e Bosnia, appoggiate dall’Occidente.
Vittima più illustre della instabile transizione Belgrado bombardata dalla Natopost-bellica, il premier europeista Zoran Djindjić, assassinato da un cecchino nel 2003.
Dopo la separazione consensuale con la Macedonia, quel che restava della ex federazione balcanica ha perso nel 2006 l’ultimo sbocco sul mare, con il distacco del Montenegro. Ma a bruciare tuttora è l’affrettata indipendenza unilaterale del Kosovo, provincia meridionale a maggioranza albanese, dal 2008 riconosciuto come paese autonomo da 22 Stati europei e 69 nazioni Onu, mentre per i restanti Stati – Russia compresa – il Kosovo resta una semplice provincia serba, abusivamente staccatasi da Belgrado. Proprio il Kosovo fu all’origine del massacro infinito della guerra civile jugoslava: Slovenia, Croazia e Bosnia rifiutarono di appoggiare la Serbia nel contrastare le tendenze separatiste della provincia “albanese”. Nel 1999, il governo D’Alema autorizzò l’impiego dello spazio aereo italiano per il decollo, dalla base di Aviano, degli aerei Nato che su ordine del presidente Clinton bombardarono Belgrado per indurre la Serbia di Milosević a ritirarsi dal Kosovo.
Dopo 600 raid aerei, si stima che l’offensiva Nato appoggiata dall’Italia abbia provocato in Serbia migliaia di vittime.
testi libereapre presi da http://www.libreidee.org/
foto liberonews.it
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