CONTROPINIONE – L’opinione di Fava e della Commissione Antimafia  non ci convince… anzi
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CONTROPINIONE – L’opinione di Fava e della Commissione Antimafia non ci convince… anzi

Nebbie sui Nebrodi.. di questa stagione ci sta. Non ci sta nella stagione della Politica, dell’Antimafia, dello Stato. E la relazione della Commissione Antimafia presieduta da Claudio Fava, dopo tanti mesi di indagini, interrogatori, elaborazioni di tesi, mette in discussione tutto e tutti e praticamente non giunge ad un risultato… Un due tre Stella! fate voi.

 

Non vogliamo ora parlare di misteri nei misteri, di stragi o mancate stragi, di verità depistate, dei mascariamenti, dei pentiti, di uomini in divisa “misteriosamente” morti, di antimafia vera o presunta, nè gioire di presunte tranquillità acquisiste “visto che la morte non lo voleva morto”.

Ma rileggere le 105 pagine della relazione conclusiva inerente all’inchiesta sull’attentato a Giuseppe Antoci della Commissione Parlamentare d’Inchiesta e Vigilanza su Fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia. Relatore on. Claudio Fava, ci inquieta assai.

19 audizioni; una lunga pista di gente interrogata dai giornalisti agli uomini che quella sera c’erano; alla lettura degli atti dei pm e del decreto di archiviazione dell’inchiesta che riguardava all’inizio 14 indagati, e poi la critica alle indagini, alle procedure operative della scorta subito dopo l’agguato.

La commissione mette in dubbio testimonianze di esponenti delle forze dell’ordine ritenendo non comprensibili alcuni comportamenti come quelli del vicequestore aggiunto Daniele Manganaro che sarebbe arrivato sul luogo dell’attentato, poco dopo l’esplosione dei colpi di fucile, sventandolo; ricostruzioni digitali fatte da esperti della polizia criminale. Tesi votate poi da 10 onorevoli dell’Ars che hanno seguito con attenzione questa “inchiesta interna”,  in quanto gli altri 3 onorevoli facenti parte della commissione si sono autosospesi perchè indagati in inchieste.

Di certo tutti  si sono fatte opinioni e espresso anche giudizi e che poi all’unanimità, che spesso non è segno di forte condivisione, ma la punta dell’iceberg di fortissime pressioni “occulte”  giunge  a una conclusione che conclusione non è.

A parte la certezza che sulla morte dei poliziotti Emilio Todaro e Tiziano Granata c’è da indagare, riaprire le indagine, cercare nuove verità.

Una relazione che annaspa tra equilibrismi, passaggi “guidati” che mercanteggia tra gli interrogativi che in tanti si sono posti, che non da risposte, che non ha un approccio critico a qualunque ragionamento. E questo si può fare  senza doversi per forza “schierare” o “difendere” a priori una tesi… antimafia contro antimafia…. fava contro antoci, antoci contro fava…e forse fa emergere, aspetto certamente triste che c’è un’antimafia che evidentemente non lo è!

La Commissione,  presidente è Claudio Fava «più che esprimere conclusioni certe e definitive» dà atto «delle molte domande rimaste senza risposta, delle contraddizioni emerse e non risolte, delle testimonianze divergenti, delle criticità investigative registrate». L’auspicio è che «su questa vicenda si torni ad indagare (con mezzi certamente ben diversi da quelli di cui dispone questa Commissione) per un debito di verità che va onorato. Qualunque sia la verità».

Nei fatti accertati, Antoci stava andando a casa a Santo Stefano di Camastra, dopo un incontro a Cesarò, quando la sua auto blindata (aveva una scorta di terzo livello) venne bloccata lungo la strada da alcuni massi e vennero sparati alcuni colpi di lupara contro la vettura da persone che poi riuscirono a scappare. Antoci, che è stato responsabile legalità del Pd e ora è tornato a fare il bancario, aveva attuato un protocollo di legalità nel parco dei Nebrodi poi allargato a tutta la Sicilia e quindi diventato legge nazionale.

«L’ipotesi più plausibile è quella della simulazione».

Lo dice Claudio Fava, conversando con i cronisti dopo l’approvazione, all’unanimità, in commissione della relazione sul fallito attentato. Tre ipotesi formulate per l’attentato a Giuseppe Antoci, e che rimangono tutte in piedi: la simulazione, l’attentato mafioso e un atto puramente dimostrativo.

Per l’Antimafia «non è plausibile che quasi tutte le procedure operative per l’equipaggio di una scorta di terzo livello, qual era quella di Antoci, siano state violate; non è plausibile che gli attentatori, almeno tre (a giudicare dalle tre marche di sigarette riscontrate sui mozziconi), presumibilmente tutti armati (non v’è traccia nelle cronache di agguati di stampo mafioso a cui partecipino sicari non armati), non aprano il fuoco sui due poliziotti sopraggiunti al momento dell’attentato; non è plausibile che, sui 35 chilometri di statale a disposizione tra Cesarò e San Fratello, il presunto commando mafioso scelga di organizzare l’attentato proprio a due chilometri dal rifugio della forestale, presidiato anche di notte da personale armato, né è plausibile che gli attentatori non fossero informati su questa circostanza.

«Auspichiamo che ci sia una riapertura delle indagini da parte della magistratura per l’affermazione piena della verità sul caso Antoci, lo si deve anche a lui che è comunque vittima».

A dirlo è sempre Claudio Fava, ricordando che l’inchiesta della Procura di Messina fu archiviata l’anno scorso.

«Trasmetteremo la relazione approvata dalla commissione regionale alle procure competenti e all’Antimafia nazionale, oltre che alla presidenza dell’Assemblea», aggiunge Fava. «Il quadro che emerso è inquietante – evidenzia il presidente dell’Antimafia siciliana – Abbiamo svolto un lavoro inteso per qualità delle persone audite, mettendo insieme fatti, contraddizioni e in alcuni casi ricostruzioni poco plausibili. Quella approvata non è una relazione a tesi, partita cioè da un pregiudizio. Su un fatto così grave occorreva fare un lavoro di approfondimento, non ci siamo mossi su un filone prestabilito ma abbiamo ascoltato investigatori, magistrati e giornalisti».

E’ ovvio che dopo queste affermazioni è arrivato forte il commento proprio del Presidente Giuseppe Antoci sulla vicenda.(vedi articolo precedente)

La Relazione di Fava appare fortemente sbilanciata, come evidenzia Luciano Armeli Iapichino nell’articolo di ieri su “Antimafia 2000”.

“Si è chiesto, on. Claudio Fava, se i soggetti coinvolti (o alcuni di essi) fossero a vario livello l’un contro l’altro armati di rancore, pregiudizio, (e perché no, sete di vendetta)?

E se così fosse, quale parte far prevalere o è prevalsa?

Quale delle ricostruzioni opposte?

La documentazione acquisita dalla Sua commissione, ricca e precisa, ha tenuto conto (dalla lettura della relazione parrebbe di no) di tutti gli allegati depositati dal dott. Antoci in sede di audizione del 24 luglio 2019 e in particolare: Sentenza corte di Cassazione su Foti Belligambi Giuseppe, Stralcio intercettazioni ambientali su Foti Belligambi Giuseppe, Sentenza Tribunale su Ceraolo Mario Spurio e altri, Stralcio intercettazione ambientale di Karra Nicola – Calà Campana, Dichiarazione del Capo della Polizia Prefetto Gabrielli?

L’impressione è che si dovesse acclarare un pregiudizio già maturo in embrione anziché indagare, in nome di quel benedetto amore di verità tanto decantato, un fatto che risulta ancora monco in una sua parte.

E come se nell’inchiesta trovasse più spazio e “autorevolezza” qualche soggetto a svantaggio di qualche altro, squilibrando la bilancia dell’oggettività. Ma sono sempre opinioni, le nostre.”

Una relazione che lascia perplessi anche nei passaggi dove pare che “i Procuratori siano meno credibili dei marescialli di stazione; in altri appare senza alcun dubbio trasparire che la delicatezza e la riservatezza dei questori, nel palesare alla Commissione la gestione di dinamiche tanto delicatissime quanto interne in seno alla Polizia di Stato, fossero bollate, di contro, come sollecitazioni incomplete o incomprensibili” – sempre da Antimafia2000
Una relazione che sembra essere datata in altri periodi della storia d’Italia, dove i Poteri forti sembrano scontrarsi, dove si gioco tra politica e carriere.

La commissione pare smentire anche il decreto di archiviazione sull’attentato da parte GIP, il quale classifica l’attentato come mafioso e con il deliberato scopo di uccidere. Ma è possibile, ci si chiede, On. Fava che 4 magistrati della Distrettuale Antimafia di Messina, il Gip di Messina, la squadra mobile di Messina, i Ros di Messina, la DIA di Messina, la Polizia scientifica di Roma, abbiano tutti espletato indagini in maniera erronea?

In base alle evidenze del decreto di archiviazione sembra opportuno evidenziare che le indagini siano state condotte con precisione e senza lasciare nulla al caso.

Ecco i passaggi fondanti del decreto del Tribunale di Messina del 25 luglio 2018 e della DDA del 3 maggio 2018:

1) “Innegabile che tale gravissimo attentato è stato commesso con tipiche modalità mafiose con la complicità di ulteriori soggetti che si erano occupati di monitorare tutti gli spostamenti dell’Antoci e di segnalarne la partenza dal Comune di Cesarò” ( pag. 3/8 decreto primo capoverso);

2) Si tratta di un vero e proprio agguato, meticolosamente pianificato e finalizzato non a compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere” (pag. 3/8 decreto primo capoverso);

3) “Tale azione delittuosa induce a collegare tale attentato alle penetranti azioni di controllo e di repressione delle frodi comunitarie nel settore agricolo-pastorale da tempo avviate da Antoci” (pag. 3/8 decreto secondo capoverso).

4) “Pervenivano a questo ufficio plurimi esposti anonimi che da quanto emergeva dalle indagini svolte apparivano calunniosi“. (pag. 95 richiesta archiviazione DDA Messina)

6) Attentato ricostruito con tecnica innovativa utilizzata per la prima volta in Italia e che ha anche studiato quello di via d’Amelio. Per l’attentato ad Antoci la Polizia Scientifica di Roma e per la Magistratura dichiara l’assoluta corrispondenza di quanto dichiarato e quanto minuziosamente verificato nelle ricostruzioni e dunque “collimante con le circostanze descritte dai soggetti coinvolti nei fatti” (pag. 14 richiesta archiviazione DDA Messina).

E così sempre leggendo quelle carte pare che tutto sia archietttato per offrire  confusione e idee smarcanti  ad un’opinione pubblica ora più che mai  disorientata su questa vicenda e in tempi di antimafia sempre meno credibile, frastornata dall’eco del  caso Montante e dalla sue ripercussioni e sul quale sembra sia calato il silenzio blindato di tanti.

E poi è una relazione che cerca nuovi “agnelli” da sacrificare a partire dal vice questore aggiunto Daniele Manganaro, per chissà quale colpa.

Lui con la sua squadra, quella dei poliziotti vegetariani, decimata e oggi smantellata, inesistente, con una grande mole di lavoro svolta, con indagini giunte alle conclusioni e delle quali da un anno e più ben poco si sa che fine abbiano fatto, è stato protagonista di una stagione di risveglio investigativo, di pressioni e controllo sul territorio, scompigliando le strategie dei clan dediti a reati  endemici dei nebrodi – abigeato, macellazione clandestina, truffe AGEA – facendo emergere alleanze e connivenze con i colletti bianchi. Un’azione che ha colpito duro sopratutto sotto il profilo economico, alla stregue del Protocollo Antoci. Manganaro ha fatto sue le indagini e i risultati dell’operazione Gamma Interferon.

Forse anche su questo la Commissione Antimafia dovrebbe volgere i riflettori della sua attenzione, altro che “un due tre stella!”.

la relazione della commissione… da leggere

Antimafia_Antoci

3 Ottobre 2019

Autore:

redazione


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